LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14354/2013 proposto da:
B.S., c.f. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO RICCARDI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI CALIULO, unitamente agli avvocati SERGIO PREDEN, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1753/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/05/2012, R.G.N. 8644/2008.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 1753/2012, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede di reiezione della domanda con cui B.S. aveva chiesto il riconoscimento dei benefici contributivi di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 18 per esposizione ultradecennale ad amianto, nel corso dell’attività svolta come operaio presso Agip Petroli s.p.a.;
la Corte riteneva che, riguardando le prove dedotte solo il tipo di mansione e l’impiego di amianto presso il datore di lavoro, esse non fossero inidonee a fornire la prova dell’esposizione richiesta, non ottenibile neppure sulla base di c.t.u., in quanto di connotato meramente esplorativo;
il B. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, poi illustrati da memoria, resistiti dall’I.N.P.S. con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo è addotta la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 112 c.p.c. per non esservi stata pronuncia su vari rilevi sollecitati con l’atto di appello;
il secondo motivo afferma la violazione, sotto la rubrica dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 per non essere stata ammessa c.t.u. valutativa dell’esposizione rispetto alle mansioni allegate, nè acquisite le c.t.u. di altre cause di colleghi del ricorrente concluse favorevolmente per essi;
attraverso il terzo motivo si assume, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 421,213 e 210 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. per non essersi provveduto alle indagini, anche officiose, necessarie alla ricostruzione dell’esposizione sofferta;
il quarto ed il quinto motivo affermano, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, rispettivamente, la violazione art. 116 c.p.c., per errata valutazione degli elementi documentali e dell’art. 244 c.p.c. per non essere state ammesse le prove testimoniali finalizzate alla prova delle mansioni e dell’esposizione;
i motivi, esaminabili congiuntamente per la loro connessione, vanno accolti;
come emerge dalla stessa sentenza impugnata ed è sostanzialmente pacifico tra le parti, il ricorrente ha allegato le mansioni di addetto alle bombole, da lui svolte presso l’Agip, senza espressamente dedurre il superamento dei limiti di 0,1 ff/cm3 necessari ad attribuire rilevanza giuridica all’esposizione ad amianto per i fini di cui al beneficio rivendicato;
l’assolvimento dell’onere di allegazione sugli elementi costitutivi della domanda deve ritenersi tuttavia insito nella deduzione dei fatti concernenti la presenza dell’esposizione nociva e del rischio morbigeno nell’ambiente di lavoro e nell’invocazione del diritto previsto dalla legge, elementi che, sulla base di quanto appena detto, senza dubbio ricorrevano nel caso di specie (Cass. 14 marzo 2017, n. 6543);
questa Corte ha anche ritenuto, al fine di non rendere impossibile il riconoscimento del beneficio gravando il lavoratore di una probatio diabolica, che sotto il profilo probatorio non sia necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di una rilevante probabilità di superamento della soglia indicata dalla legge (Cass. 20 settembre 2007, n. 19456; Cass. 1 agosto 2005, n. 16119);
la Corte territoriale ha dunque errato nel non prendere in considerazione le mansioni addotte dal lavoratore e nell’omettere di valutare, in prima battuta, se esse fossero incontestate o altrimenti provate oppure, in caso contrario, nel non avere ammesso le prove dedotte al fine di dimostrare l’attività svolta, procedendo quindi, una volta acquisiti i dati in ordine alle mansioni esercitate, alla stima dell’esposizione ad amianto sulla base di c.t.u., necessaria e non denegabile allorquando, come è nei casi in questione, si debba formulare un giudizio spiccatamente tecnico che non può dirsi in sè esplorativo, in quanto viceversa fondato sull’apprezzamento, secondo le cognizioni proprie del settore, delle probabili conseguenze di una data lavorazione, negli anni di riferimento, presso una determinata industria (Cass. 6543/2017 cit.);
pertanto il ricorso va accolto;
la sentenza impugnata va quindi cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione perchè proceda ai necessari accertamenti nei termini prima indicati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 6 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018
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