LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20347-2013 proposto da:
B.G., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, LIDIA CARCAVALLO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 210/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 02/04/2013 R.G.N. 630/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato CARLO DEANGELIS per delega verbale avv. BOER;
udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 210/2013, accogliendo l’appello dell’Inps, rigettava la domanda proposta da B.G., titolare di pensione di anzianità con decorrenza dal 1/1/2008, intesa ad ottenere la riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base della cosiddetta neutralizzazione dei periodi di minore contribuzione percepiti dall’1/8/2000 al 31/12/2005 relativi all’ultima fase dell’attività lavorativa.
A fondamento della sentenza la Corte rilevava che nel caso di specie era incontestato che le retribuzioni percepite dall’appellata per il periodo dedotto in giudizio fossero state inferiori rispetto a quelle percepite negli anni precedenti; che la decisione di primo grado non era condivisibile perchè finiva con l’applicare il principio della neutralizzazione per un periodo superiore ai cinque anni previsti dalla legge, “a fronte di una decisione della Corte Costituzionale n. 264/1994che non ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della cosiddetta neutralizzazione limitata a soli cinque anni”; ma al contrario ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che, nel caso di svolgimento durante l’ultimo quinquennio di attività lavorativa meno retribuita da parte del datore di lavoro, la pensione non possa essere inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima; per cui risultava fondata la tesi dell’Inps secondo la quale la neutralizzazione era ammissibile solo se la riduzione della retribuzione avesse avuto inizio nelle ultime 260 settimane di contribuzione e per un periodo non superiore a cinque anni, con la conseguenza che non era fondata la richiesta della B. di vedersi neutralizzare gli anni indicati, dato che la riduzione si era realizzata ben prima dell’ultimo quinquennio.
Contro la sentenza ha proposto ricorso B.G. con un motivo illustrato da memoria, al quale l’Inps si è opposto con controricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 8; la violazione degli artt. 1,3,35 e 38 Cost. da cui discende il principio di irriducibilità del livello virtuale di pensione già raggiunto in itinere, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; ciò in quanto, ad avviso della ricorrente, la neutralizzazione può trovare applicazione anche quando l’effetto depressivo del trattamento pensionistico è imputabile alla contribuzione che si colloca oltre cinque anni dall’ultimo contributo, atteso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 264/1994, aveva inteso fare applicazione del principio di razionalità di cui all’art. 3 Cost. rimuovendo il rigido meccanismo fissato dal legislatore in favore di un criterio più elastico in forza del quale i periodi di contribuzione affluiti nella parte finale del rapporto contributivo, dopo il requisito contributivo richiesto per il tipo di pensione spettante, possono prendersi si in considerazione solo se comportano un ulteriore incremento del livello di pensione già virtualmente raggiunto. Secondo la ricorrente quindi la neutralizzazione deve estendersi a tutti i periodi finali il cui computo comporti una riduzione del trattamento già virtualmente conseguito prima della maturazione del diritto a pensione, purchè la contribuzione residua garantisca il requisito contributivo richiesto per il tipo di pensione da liquidare.
2.- Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
La disamina della questione posta con il ricorso all’esame dev’essere inserita, ratione temporis, nel contesto normativo concernente il trattamento pensionistico in godimento. Ebbene, i criteri alla stregua dei quali, dal 1 gennaio 1993, deve essere individuata la retribuzione pensionabile, sono stati modificati dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 3.
3.- Giova ricordare che, in forza della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2 la retribuzione pensionabile per le pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30 giugno 1982, era “costituita dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione”.
Il riferimento alle sole retribuzioni percepite negli ultimi cinque anni di lavoro era fondato, nel sistema introdotto dal legislatore del 1982, sul presupposto che le retribuzioni dell’ultimo ciclo della vita lavorativa fossero quelle più favorevoli per il lavoratore.
4.- Il descritto quadro normativo è radicalmente mutato per effetto della Legge di delegazione, 23 ottobre 1992, n. 421, che ha delegato la potestà legislativa al Governo al fine di emanare uno o più decreti legislativi per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, con l’osservanza, fra gli altri, dei seguenti criteri direttivi: “graduale elevazione del periodo di riferimento per la determinazione delta retribuzione annua pensionabile da duecentosessanta a cinquecentoventi settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione”…”per coloro che possono far valere una anzianità contributiva inferiore a quindici anni nell’assicurazione generale obbligatoria, nelle forme sostitutive ed esclusive del regime generale e nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, il periodo di riferimento per la individuazione della retribuzione pensionabile è determinato aggiungendo al periodo stabilito dalla normativa vigente nei singoli ordinamenti quello intercorrente tra il 1 gennaio 1993 e la data di decorrenza della pensione…”; “estensione della disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, limitatamente ai lavoratori di nuova assunzione privi di anzianità assicurativa, con riferimento del calcolo della pensione alla contribuzione dell’intera vita lavorativa” (art. 3, comma 1, lett. h), lett. o), L. n. 421 del 1992 cit.).
Nel sistema così delineato risulta dilatato il periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile, dalle ultime 260 settimane di contribuzione anteriore alla decorrenza della pensione (L. n. 297 del 1992, ex art. 3 cit.) fino alla contribuzione dell’intera vita lavorativa (per i lavoratori iscritti dopo il 1 gennaio 1993).
La predetta legge di delegazione è stata attuata con i D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 e D.Lgs. 11 agosto 1993, n. 373.
In particolare, per quanto in questa sede rileva, la posizione dei lavoratori già titolari di anzianità contributiva al 1 gennaio 1993, è stata disciplinata dal decreto legislativo n.503 del 1993, distinguendo, in tale ambito, tra lavoratori con anzianità contributiva inferiore o maggiore di 15 anni, alla predetta data.
Ebbene, per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a 15 anni alla data del 31 dicembre 1992, “la retribuzione annua pensionabile è determinata con riferimento ai periodi indicati alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, commi 8 e 14 incrementati dai periodi contributivi che intercorrono tra la predetta data e quella immediatamente precedente la decorrenza della pensione”.
L’arco temporale entro il quale si calcola la retribuzione pensionabile risulta, dunque, ampliato, rispetto alle 260 settimane previste dalla L. n. 297 del 1982 cit., dovendo sommarsi, ad esse, le settimane comprese fra il 1 gennaio 1993 e la decorrenza della pensione.
Per i lavoratori che possano far valere un’anzianità contributiva superiore ai 15 anni, la retribuzione annua pensionabile, di cui ai commi ottavo e quattordicesimo della L. 29 maggio 1982, n. 297, “è determinata con riferimento alle ultime 520 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione con conseguente adeguamento dei criteri di calcolo ivi previsti”.
Per questi ultimi, quindi, il periodo entro il quale si calcola la retribuzione pensionabile è raddoppiato rispetto a quello previsto dalla L. n. 297 del 1982.
Con disposizione transitoria, al fine di far salvi i diritti quesiti e in conformità al criterio direttivo per l’introduzione della disciplina transitoria per il calcolo delle pensioni da determinare in quota parte in base alla previgente normativa a garanzia dei diritti maturati (art. 3, comma 1, lett. u), L. n. 421 del 1992 cit.), il D.Lgs. n. 503, art. 13 per le pensioni liquidate dopo il 1 gennaio 1993, dispone che l’importo della pensione sia determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta (determinata sulla retribuzione pensionabile corrispondente alle ultime 260 settimane) che a tal fine resta confermata in via transitoria; b) della quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 1993, calcolato secondo le nuove regole introdotte dal D.Lgs. n. 503 del 1992.
Dunque, i trattamenti pensionistici liquidati dopo il 1 gennaio 1993 sono l’esito della sommatoria delle due quote appena indicate (quota A e quota B), con una progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile fino ad arrivare, a regime, a far coincidere detto periodo con l’intera vita lavorativa dell’assicurato (D.Lgs. n. 373 del 1993, art. 1 cit.).
5.- La neutralizzazione richiesta in questo come in altri ricorsi all’esame del Collegio, incentrata sull’asserita dilatazione oltre il quinquennio, si inserisce in questo mutato contesto normativo e nel nuovo sistema di calcolo della pensione in riferimento al quale la parte ricorrente tenta di accreditare la tesi secondo cui una volta ampliato a 520 settimane il periodo di riferimento del calcolo della retribuzione pensionabile sarebbe coerente con la ratio che ha sorretto la giurisprudenza costituzionale estendere, al medesimo periodo, anche l’area di operatività della neutralizzazione.
Invero, l’eventualità che nella determinazione del quantum della pensione vengano intercettati periodi a retribuzione ridotta non costituisce sintomo di irrazionalità della disciplina, come nel precedente sistema di calcolo fondato sulle ultime 5 annualità sul presupposto che fossero le più favorevoli per il lavoratore, sebbene rappresenta il logico sviluppo del mutato sistema di calcolo del trattamento pensionistico apprestato dalla riforma pensionistica del 1992.
L’ampliamento dell’arco temporale nel quale la retribuzione si calcola obbedisce alla ratio di rendere l’importo della pensione il più possibile aderente all’effettiva consistenza di quanto percepito dal lavoratore nella sua intera vita lavorativa, superando il precedente sistema che, restringendo il periodo di riferimento all’ultimo segmento del rapporto lavorativo, era di fatto volto ad intercettare e a valorizzare le sole migliori retribuzioni.
Peraltro se dal 1 gennaio 1996 non fosse entrato in vigore il sistema contributivo previsto dalla L. n. 335 del 1995, l’arco temporale di riferimento sarebbe andato a coincidere con l’intera vita lavorativa dell’assicurato.
6.- La giurisprudenza costituzionale in tema di neutralizzazione (in particolare, Corte Cost. nn. 428 del 1992, 264 del 1994, 388 del 1995, tutte analiticamente richiamate, da ultimo, da Cass. 14 maggio 2018, n. 11649, alla quale si rinvia) dalle quali la parte ricorrente pretende di desumere un principio generale di irriducibilità del livello virtuale di pensione raggiunto in itinere, alla stregua del quale una volta perfezionato il requisito minimo, l’ulteriore contribuzione non potrebbe compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata fino a quel momento, ha scrutinato esclusivamente la L. n. 297 del 1982 e vagliato lo specifico sistema di calcolo introdotto in quel contesto normativo.
In altre parole, come riconfermato da ultimo da Corte Cost. n. 82 del 2017, il solco segnato dalla giurisprudenza costituzionale si fonda sull’intrinseca irragionevolezza del meccanismo implicante, per la fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, un decremento della prestazione previdenziale in antitesi con la finalità di favore perseguita dalla legislazione (antecedente alla riforma pensionistica del 1992), nel considerare il livello retributivo, tendenzialmente più elevato, degli ultimi anni di lavoro. Le menzionate decisioni della Corte costituzionale hanno vagliato la conformità ai canoni costituzionali della legislazione pensionistica volta a valorizzare il maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni della vita lavorativa non sono applicabili al mutato contesto normativo che, con la regolazione in via transitoria a corredo della riforma pensionistica del 1992 e la sommatoria delle due quote, vede la posizione dei pensionati coinvolti nel nuovo sistema di calcolo del trattamento pensionistico adeguatamente tutelata con la previsione della quota A della pensione, calcolata in ossequio al disposto della L. n. 297 del 1982, art. 3 cit., con la neutralizzazione delle eventuali retribuzioni ridotte percepite nelle ultime 260 settimane di contribuzione, arco di tempo entro il quale la norma prevede debba calcolarsi la retribuzione pensionabile.
7.- Quanto fin qui argomentato risulta in continuità con i precedenti di questa Corte (v. Cass. 3 novembre 2016, n.22315) secondo cui “la sentenza della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 264 del 1994)…si riferisce ad una legislazione diversa e ad un periodo diverso e…sarebbe arbitrario applicarla a seguito dell’entrata in vigore di un regime legislativo nuovo, considerazioni che hanno portato la Corte d’appello ad escludere il denunciato contrasto con gli artt. 3,36 e 38 Cost.considerato che “nel nuovo sistema l’individuazione del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, che…rientra nell’ambito della discrezionalità politica, non persegue la finalità di garantire al lavoratore una più favorevole base di calcolo per la liquidazione della pensione onde rispetto al sistema oggetto di sindacato nella pronuncia invocata…non appare dar luogo a risultati palesemente irrazionali o comunque contrari ai principi costituzionali” (così Cass. n.22315 del 2016 cit.).
Più di recente, inoltre, questa Corte (v. Cass. n. 11649 del 2018 cit.) ha espressamente reputato non condivisibile la pretesa di estendere la neutralizzazione a periodi anteriori all’ultimo quinquennio, richiamando altra decisione del Corte costituzionale, sentenza n. 82 del 2017 che, nell’accogliere l’eccezione di inammissibilità svolta dall’Avvocatura generale dello Stato, con riguardo alla richiesta di estendere la neutralizzazione dei contributi per disoccupazione e integrazione salariale anche oltre i limiti dell’ultimo quinquennio che prelude alla decorrenza della pensione, ha precisato che: “L’intervento auspicato si riverbera sulla determinazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile, che esprime una scelta eminentemente discrezionale del legislatore (sentenza n. 388 del 1995, punto 4 del Considerato in diritto, e sentenza n. 264 del 1994, punto 3 del Considerato in diritto), volta a contemperare le esigenze di certezza con le ragioni di tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori”.
8.- Va dunque ribadito, con Cass. n. 11649 del 2018, da ultimo richiamata, che l’opzione chiaramente espressa dalla Corte Costituzionale induce ad escludere profili di irrazionalità nel limite temporale alla neutralizzazione posto dalle disposizioni sopra citate e nel diverso meccanismo di determinazione della retribuzione pensionabile non più correlato all’ultimo scorcio della vita lavorativa.
Del pari va riaffermato (con Cass. n.82 del 2017 CIT.) che il rimedio eccezionale della neutralizzazione, connaturato ad un sistema di calcolo del trattamento pensionistico preordinato a garantire al lavoratore una più favorevole base di calcolo per la liquidazione della pensione, correlata all’ultimo scorcio della vita lavorativa, quale quello delineato dalla L. n. 297 del 1982, art. 2 non si presta ad essere applicato oltre i limiti indicati dalle sentenze della Corte costituzionale.
Da tale orientamento ermeneutico il Collegio non intende discostarsi, non ravvisando nelle argomentazioni della parte ricorrente elementi di giudizio che già non siano stati tenuti presenti dalle precedenti decisioni di legittimità assunte al riguardo.
9.- La sentenza impugnata si sottrae, pertanto, alle censure svolte e il ricorso deve essere rigettato.
La particolare complessità ricostruttiva e il consolidamento del richiamato orientamento giurisprudenziale di legittimità solo in epoca successiva al deposito del ricorso consigliano la compensazione delle spese del giudizio.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018