Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.28147 del 05/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23734-2014 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA R.

GRAZIOLI LANTE 16, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BONAIUTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BONAIUTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.T.A.C. S.P.A., – Azienda per la mobilità, (già Metro S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI ROGAZIONISTI 16, presso lo studio dell’avvocato SIMONA FLAMMENT, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1605/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/04/2014 R.G.N. 5595/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SIMONA FLAMMENT.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n.1605 del 2014 la corte d’Appello di Roma ha riformato la sentenza del tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda di M.C., dipendente in pensione della Metropolitana di Roma spa – poi A.T.A.C. spa – e condannato la società al pagamento di Euro 4733,97 a titolo di ferie non godute negli anni 2001, 2002 e 2003, perchè ha ritenuto che la posizione di distacco e non di aspettativa del M. consentiva la maturazione a carico della datrice di lavoro dell’indennità sostitutiva di ferie.

La corte romana ha escluso invece che l’aspettativa sindacale del M. presso il dopolavoro Acrotal – in qualità di consigliere di amministrazione – dal 1982 sino alla messa in quiescenza in data 31.5.2004, configurasse un distacco, ritenendo comunque che nel caso in esame, indipendentemente dalla qualificazione della fattispecie come distacco o aspettativa, difettasse il presupposto oggettivo del diritto all’indennità sostitutiva delle ferie atteso che, nonostante l’invito rivolto dalla società al dipendente nel gennaio 2004 a smaltire il complessivo numero di 76 giorni ferie non godute dal 2001 al 2003, il dipendente non aveva fatto pervenire alcuna notizia, così che la società aveva posto il dipendente in “congedo forzato” dal mese di maggio, a completamento delle ferie maturate sino al 31.10.2003, che non erano state godute stante la messa in quiescenza.

La corte territoriale poi ritenuto che, stante l’irragionevole rifiuto del M. di porsi in congedo sebbene invitato ad effettuare un piano ferie, non poteva addebitarsi alla datrice di lavoro il loro mancato godimento, con conseguente insussistenza del diritto alla relativa indennità sostitutiva.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il M., affidato ad un solo motivo, a cui ha resistito la società con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il motivo di ricorso il M. deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1334 c.c., in combinato disposto degli artt. 1727 e 2967 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo il ricorrente, diversamente da quanto rilevato dalla corte territoriale, l’invito ad usufruire delle ferie maturate non sarebbe stato fatto dalla società solo nel gennaio 2004, emergendo dalla sentenza di primo grado la diversa circostanza di più solleciti rivoltigli anche negli anni precedenti. Inoltre non sarebbe stata offerta alcuna prova da parte della società di aver recapitato al dipendente la raccomandata del 4.1.2004 con l’invito a usufruire di dette ferie. Ed ancora il ricorrente deduce che, quando anche la società non fosse stata mai messa a corrente dalle OOSS della situazione sulle effettive presenze in aspettativa e/o in distacco del personale, ai fini della determinazione del monte ferie sarebbe stato comunque onere della datrice di lavoro, nel rispetto del più generale principio di correttezza e di buona fede, farsi carico di verificare che il dipendente avesse effettivamente fruito delle ferie, configurando la mancata verifica un inadempimento ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Infine, a dire del ricorrente, dalla corrispondenza intercorsa tra Acotral e la datrice di lavoro ATAC Spa, versata in atti dalla società, emergeva chiaramente che la società, pur a conoscenza della mancata fruizione di tali giorni di ferie, solo nel gennaio 2004 aveva sollecitato in realtà al dipendente la presentazione di in pano ferie, senza tuttavia fornire prova dell’avvenuta ricezione della relativa raccomandata, di cui il ricorrente aveva avuto conoscenza solo nel giudizio di primo grado, come verbalizzato dal proprio difensore all’udienza del 7.6.2007.

Il motivo è inammissibile per mancanza di specificità, oltre che per difetto di autosufficienza, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6.

Ed infatti diversamente da quanto indicato in rubrica,dove si deduce la violazione di norme di diritto, la censura si concentra esclusivamente sull’iter motivazionale della sentenza avente ad oggetto la condotta del M. e in particolare la sua mancata ottemperanza alla richiesta datoriale di predisporre un piano di godimento delle ferie, condotta che aveva legittimato la società a non monetizzare i giorni di ferie non goduti.

I motivi di doglianza quindi muovono da censure che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, lamentano in realtà un’erronea applicazione della legge ma in ragione di una non condivisa ricostruzione della fattispecie concreta, mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.

Come più volte ribadito da questa Corte il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (cfr Cass. 25332/2014).

Ma ancora il ricorrente censura la sentenza anche nella parte in cui ha ritenuto conosciuta la richiesta fatta dalla società, in data 16.1.2004, della predisposizione di un piano di godimento delle ferie arretrate, sebbene non fosse stata fornita prova dell’ avvenuta ricezione della raccomandata contenente detta richiesta, eccezione che il ricorrente assume aver svolto nei giudizi di merito, ma non indica specificatamente quando, dove ed in che esatti termini tale contestazione sia stata formulata, essendo del tutto inidonea l’incompleta trascrizione di un verbale di udienza del procedimento di primo grado (documento del quale neanche si indica l’esatta collocazione nei fascicoli di parte), al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr Cass. n. 17915/2010).

Il ricorso deve pertanto dichiararsi inammissibile. E il ricorrente, soccombente, va condannato al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo. Segue altresì il pagamento del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018

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