LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – Consigliere –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18330-2014 proposto da:
K.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO IMBARDELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
IMEG S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 94/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 19/03/2014 R.G.N. 416/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato FABRIZIO IMBARDELLI per delega verbale Avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 94/2014, depositata il 19 marzo 2014, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Lucca aveva rigettato la domanda di K.N. diretta ad ottenere il pagamento del corrispettivo per attività ulteriore e diversa, rispetto a quella di membro del Consiglio di amministrazione, svolta per la Imeg S.r.l., osservando come tale attività, finalizzata alla formulazione di un piano industriale, alla collaborazione nella ricerca di nuovi soci per realizzare un aumento di capitale, alla gestione dei rapporto con le banche e, più in generale, al salvataggio dell’impresa in un momento di difficoltà, fosse riconducibile alla gestione dell’impresa stessa, così da rientrare pienamente nei compiti di un consigliere di amministrazione.
2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il K. con tre motivi, assistiti da memoria.
3. La Imeg S.r.l. in liquidazione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce omessa e comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5) per avere la Corte trascurato di compiere un esame completo delle dichiarazioni testimoniali, limitandosi ad un riassunto di quelle rese dal teste S. e senza valutarle unitamente alle dichiarazioni di altro e attendibile testimone.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2380 bis cod. civ. per non avere la Corte considerato che il contenuto dell’incarico di consigliere di amministrazione di una società deve essere rapportato all’oggetto sociale dell’impresa secondo un criterio di normalità, che tenga presente la gestione caratteristica dell’attività della stessa.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte abbia omesso ogni motivazione in relazione alla quantificazione del corrispettivo, così come indicato nella domanda.
4. Il primo motivo è inammissibile.
5. Esso, infatti, non si conforma al modello legale del nuovo vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte nel 2012, a fronte di sentenza depositata il 19 marzo 2014 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore della riforma.
6. Come precisato da questa Corte, l’art. 360, n. 5, come riformulato con la novella del 2012, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Sez. U n. 8053 e n. 8054 del 2014 e successive conformi).
7. Il secondo motivo è infondato, essendosi la Corte esattamente uniformata al principio di diritto, per il quale “l’amministratore di società cui sia demandato lo svolgimento di attività estranee al rapporto di amministrazione ha per queste diritto (ai sensi dell’art. 2389 cod. civ.) ad una speciale remunerazione sempre che tali prestazioni siano effettuate in ragione di particolari cariche che allo stesso siano state conferite e che esulino dal normale rapporto di amministrazione, ossia dal potere di gestione della società, il cui limite deve individuarsi nell’oggetto sociale, talchè rientrano tra le prestazioni tipiche dell’amministratore tutte quelle che siano inerenti all’esercizio dell’impresa, senza che rilevi (salvo che sia diversamente previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto) la distinzione tra atti di amministrazione straordinaria ed ordinaria” (Cass. n. 11023/2000).
8. Nè a conclusione diversa può pervenirsi sulla base dell’art. 2380 bis cod. civ. (peraltro inserito dal D.Lgs. n. 6 del 2003con decorrenza 1/1/2004, posteriore tanto al compimento dell’attività di cui è chiesta la remunerazione, come all’instaurazione della controversia).
9. Tale norma, infatti, conferma gli esiti della precedente elaborazione giurisprudenziale, poichè definisce (co. 1) l’ambito di competenza gestionale dell’organo amministrativo con riguardo a tutti gli atti che si pongono in rapporto strumentale con il raggiungimento dell’oggetto sociale, il quale resta, quindi, l’unico limite dell’azione degli amministratori.
10. Il terzo motivo risulta palesemente inammissibile, in quanto non individua alcuno dei vizi di cui all’art. 360 cod. proc. civ. e difetta di interesse ad impugnare, la mancata pronuncia, da parte del giudice di appello, sulla quantificazione del corrispettivo essendo evidente conseguenza della ritenuta infondatezza della domanda.
11. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
12. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, la società essendo rimasta intimata.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018