LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17228-2016 proposto da:
SERECO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 109, presso lo studio D’AMICO, rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO VINCENZO PAPADIA e MARIA ANTONIETTA PAPADIA, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
R.L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN, rappresentato e difeso dall’avvocato VITANTONIO GALLUZZI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 818/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 19/04/2016, R.G.N. 171/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato FRANCESCO VINCENZO PAPADIA;
udito l’Avvocato VITANTONIO GALLUZZI.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 818/2016 la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado che, in accoglimento del ricorso proposto R.L.E., aveva accertato la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo a questi intimato da Sereco s.r.l. e condannato la detta società alla reintegra del dipendente nel posto di lavoro ed alle retribuzioni medio tempore maturate.
1.1. Secondo il giudice di appello, “la forte contrazione dell’attività di installazione di macchine ed apparecchiature” addotta a giustificazione del recesso datoriale, determinata, come chiarito dalla società nel corso del giudizio di primo grado, dalla chiusura del cantiere Hera di *****, non integrava il giustificato motivo oggettivo di licenziamento trattandosi di evento che rientrava nel normale e prevedibile corso della tipologia di attività svolta dalla Sereco s.r.l. operante nell’ambito dell’industria metalmeccanica. Il giudice di appello ha, inoltre, osservato che la società datrice di lavoro non aveva provato l’impossibilità di utile ricollocazione lavorativa del R., considerato che la Sereco era attiva presso diversi cantieri su tutto il territorio nazionale, il fatto che nel contratto di lavoro il dipendente aveva espresso la propria disponibilità ad eventuali trasferimenti o missioni e che la società si era riservata la facoltà di servirsi delle sue prestazioni in uffici distaccati, cantieri o sede secondari, nonchè il fatto che la società aveva trascurato la qualifica e la professionalità maturata dal R. il quale, assunto come operaio saldatore di 4^ livello, aveva, dopo il primo contratto a termine, prestato la propria attività come operaio generico. La parte datrice aveva giustificato il licenziamento del R. con l’assunto della non necessità di operai generici ed in questa prospettiva aveva trasferito dal cantiere di ***** presso un altro cantiere un lavoratore qualificato come saldatore, assunto dalla Sereco in epoca successiva all’assunzione del R..
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Sereco s.r.l. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 C.C. nonchè della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto non assolto dalla società datrice l’onere di dimostrazione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo. Sostiene che il giudice di appello non aveva motivato sulle prove offerte da essa Sereco e che non era dato comprendere su quali basi era stata ritenuta la esistenza sul territorio nazionale di altri cantieri, oltre lo stabilimento di *****; lamenta, inoltre, la pretermissione di alcune testimonianze relative all’inutilizzabilità di operai generici, la mancata considerazione della decadenza dalla prova testi nella quale era incorsa controparte e del fatto che questa non aveva offerto indicazioni sulla possibilità di ricollocazione del R. presso lo stabilimento Sereco di *****.
2. Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 111 Cost.. Censura la sentenza impugnata per non avere tenuto conto delle inoppugnabili prove circa le ragioni tecniche, organizzative e produttive che avevano determinato il licenziamento del lavoratore, così finendo con il sindacare i criteri di gestione dell’impresa in violazione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost..
3. I motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono da respingere.
3.1. La censura, formulata con il secondo motivo di ricorso – che per ragioni di ordine logico giuridico viene esaminata per prima -, secondo la quale, in violazione del disposto dell’art. 41 Cost. la sentenza impugnata si sarebbe ingerita nelle scelte organizzative riservate alla parte datoriale non trova riscontro nelle ragioni alla base del decisum di secondo grado.
3.2. Si premette che secondo orientamento consolidato di questa Corte, la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone, da un lato, l’esigenza di soppressione di un posto di lavoro, dall’altro, la impossibilità di diversa collocazione del lavoratore licenziato (repechage), consideratane la professionalità raggiunta, in altra posizione lavorativa analoga a quella soppressa (cfr. ex plurimis, Cass. n. 4460 del 2015, Cass. n. 5592 del 2016, Cass. n. 12101 del 2016, Cass. n. 24882 del 2017, Cass. n. 27792 del 2017).
3.3. Numerose pronunzie di legittimità hanno puntualizzato, in tema di verifica della legittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, che il sindacato giurisdizionale è limitato al controllo in ordine alla effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, escludendo che possa essere sindacata la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. (Cass. n. 15157 del 2011, Cass. n. 3040 del 2011, Cass. n. 24235 del 2010, Cass. n. 6559 del 2010).
3.4. La sentenza impugnata risulta conforme al principio richiamato in quanto il giudice di appello ha limitato il proprio sindacato alla verifica di effettività delle ragioni addotte dalla parte datrice a fondamento del licenziamento, senza esprimere alcuna valutazione in termini di opportunità della scelta datoriale, in particolare con riguardo alla scelta di dismissione del cantiere al quale era addetto il dipendente.
3.5. Nell’ambito del sindacato consentito il giudice di appello, premesso che la società si era limitata ad addurre una “forte contrazione dell’attività di installazione di macchine e apparecchiature”, ulteriormente precisando, nel corso del giudizio di primo grado, che ciò era dipeso dalla dismissione del cantiere ***** al quale era adibito il lavoratore, ha ritenuto che la chiusura del singolo cantiere non poteva incidere sull’attività produttiva della società tanto da determinare la soppressione del posto di lavoro del R. e che la società non aveva dimostrato l’effettiva e concreta impossibilità di un diverso utilizzo del lavoratore.
3.6. Il primo motivo di ricorso, inteso a contrastare la ricostruzione fattuale alla base della sentenza impugnata, risulta inammissibile in quanto parte ricorrente, senza dedurre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alcun omesso di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, si limita a sollecitare un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679 del 2013, Cass. n. 2197 del 2011, Cass. n. 20455 del 2006, Cass. n. 7846 del 2006, Cass. n. 2357 del 2004). E’ ancora da evidenziare che le censure articolate con il primo motivo investono essenzialmente la questione relativa alla mancata prova della possibilità di “repechage” vale a dire solo una delle due autonome rationes decidendi alla base della statuizione di conferma della illegittimità del recesso datoriale di talchè risultano inidonee, già in astratto, alla valida censura della decisione impugnata.
4. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
4.1. Parte controricorrente ha depositato nota spese con la quale ha chiesto la liquidazione per compensi professionali in misura pari a Euro 7.290,00, oltre spese generali nella misura del 15% e spese vive come da documentazione allegata.
4.2. Dalla specifica delle singole voci si evince che la liquidazione dei compensi professionali è stata calcolata sulla base del parametro di cui alla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014 riferito alle cause di valore da Euro 52.000,01 a Euro 260.000,00.
4.3. Premesso il valore indeterminabile della causa, secondo quanto anche dichiarato nel ricorso per cassazione, gli importi richiesti risultano in astratto coerenti con il disposto del D.M. n. 55 del 2014, art. 5, comma 6 il quale, per la parte che qui rileva, così recita: “Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia… “.
4.4. In concreto la richiesta di liquidazione del compenso professionale sulla base del parametro corrispondente allo scaglione tariffario più elevato, relativo alle cause di valore compreso tra Euro 52.000,01 e Euro 260.000,00, non appare giustificata in ragione della non particolare complessità della controversia, evincibile sia dalla unica questione trattata (limitata alla verifica della legittimità del giustificato motivo oggettivo di licenziamento) sia dal modesto numero dei motivi (due) di ricorso per cassazione, sia, infine, dalla evidenza delle ragioni di rigetto del ricorso.
4.5. In base alle considerazioni che precedono e tenuto altresì conto che i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio ex D.M. n. 55 del 2014, costituiscono criteri di orientamento che individuano la misura economica “standard” del valore della prestazione professionale di talchè il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi (Cass. 15/12/2017 n. 30286), si ritiene di determinare la misura del compenso professionale in Euro 5.000,00., oltre spese forfettarie nella misura del 15%.
4.6. Le spese di trasferta e soggiorno, nella misura documentata, pari a Euro 413,00, sono dovute al professionista ai sensi del comb. disp. del D.M. n. 55 del 2014, artt. 11 e 27.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 483,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 % e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018