LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12111/2014 proposto da:
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI N. 35, presso lo studio dell’avvocato MARISA PAPPALARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO ERCOLANI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SANTA MARIA MAGGIORE 112, presso lo studio dell’avvocato ALDO DI LAURO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO RAVETTA, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 324/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/01/2014 R.G.N. 1729/2012.
rilevato che:
il Tribunale di Voghera, con sentenza nr. 38 del 2012, riconosceva il credito di C.F. nei confronti di G.V., per l’attività di sostituzione professionale, in qualità di medico di base, e, a detto titolo, condannava il G. al pagamento di Euro 49.741,77 in favore del C., oltre interessi legali;
la Corte di Appello di Milano, con sentenza nr. 324 del 2014, accoglieva parzialmente il gravame di G.V. e rideterminava il quantum debeatur in Euro 4.887,20 oltre interessi legali;
per quanto di rilievo in questa sede, la Corte di appello, premesso che l’attore era gravato dell’onere di prova dell’attività di sostituzione (causa petendi della domanda), osservava che risultavano depositate nove comunicazioni del sostituito (id est: Dott. G.) all’ASL comprovanti lo svolgimento di detta attività, difettando, per il resto, la prova dei fatti costitutivi del diritto azionato;
ha proposto ricorso per cassazione, C.F., affidato a tre motivi:
con il primo motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e artt. 112 e 113 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, motivazione insufficiente ed infine violazione dell’art. 2697 c.c. (la parte ricorrente si duole, in particolare, che la Corte di appello non avrebbe considerato le risultanze delle numerose testimonianze assunte nonchè quelle dell’interrogatorio formale);
con il secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale (approvati con D.P.R. n. 484 del 1996) ed il particolare dell’art. 23;
con il terzo motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2232-2233 c.c. (con i due motivi, congiuntamente illustrati, la sentenza è censurata per non aver considerato che le comunicazioni inviate all’ASL dal medico sostituito non dimostravano l’effettiva attività di sostituzione ma solo una minima parte di essa);
ha resistito, con controricorso, G.V.;
ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., C.F..
considerato che:
deve, in via preliminare, rigettarsi la preliminare eccezione di nullità della notifica del presente ricorso;
più volte questa Corte ha precisato che “qualora la parte si sia costituita nel giudizio a quo a mezzo di due procuratori con uguali poteri di rappresentanza ed uno solo di essi sia stato designato come domiciliatario, la notifica della impugnazione è valida ancorchè eseguita (come nella specie) presso il procuratore non domiciliatario” (cfr., ex plurimis, Cass. nr. 19452 del 2004; Cass. nr. 11357 del 2000; in motivazione nr. 9689 del 2009); in ogni caso, la rituale costituzione del controricorrente ha sanato il denunciato profilo;
i motivi del ricorso possono trattarsi congiuntamente, presentando comuni profili di infondatezza;
rispetto ai contenuti delle censure, sono del tutto inconferenti le assunte violazioni di norme processuali e sostanziali;
le doglianze complessivamente svolte, infatti, investono la sentenza in relazione alla valutazione del materiale probatorio, di modo che anche la deduzione delle violazioni di legge contenuta nella rubrica dei motivi scherma in realtà deduzione di vizi di motivazione;
ripetutamente è stato osservato come siano riservati al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, potendo egli privilegiare, in via logica, alcuni mezzi di prova e disattenderne altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio;
nel caso in esame, la Corte di Appello ha ritenuto idonee alla prova dei fatti (id est: dell’avvenuta sostituzione) le comunicazioni inoltrate all’ASL da parte del medico sostituito (del tutto inconferente rispetto al decisum è peraltro la deduzione di violazione del D.P.R. n. 484 del 1996, art. 23) mentre ha giudicato inadeguati gli altri elementi di prova, pure astrattamente idonei;
tale valutazione resta insindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti in cui lo è il vizio di motivazione, secondo la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ratione temporis vigente;
la sentenza è soggetta al regime stabilito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con L. n. 134 del 2012, essendo stata depositata nel 2014; oggetto del vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, è, dunque, l’omesso esame circa un ” fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
non costituiscono “fatti” il cui omesso esame possa cagionare il vizio di motivazione: 1) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. nr. 14802 del 2017; Cass. nr. 21152 del 2015); 2) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, nr. 8053 del 2014); iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa”(cfr. Cass. n. 21439 del 2015);
il fatto deve, inoltre, avere carattere “decisivo” (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia: ex multis, Cass., sez. un. nr. 19881 del 2014) ed essere, infine, controverso tra le parti;
nessuno dei rilievi mossi alla sentenza impugnata configura l’ipotesi delineata dal legislatore, sicchè il ricorso va complessivamente respinto;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 17 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018
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