Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28155 del 05/11/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15445/2014 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ANTONELLI 50, presso lo studio dell’avvocato ERNANI D’AGOSTINO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NICOLA SALVINI, ROBERTO PIGNATTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.C. & N.A. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PUCCINI 10, presso lo studio dell’avvocato MARIO FERRI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO MAERO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1103/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 17/12/2013 r.g.n. 1567/2012.

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Saluzzo, in accoglimento del ricorso proposto da G.M. nei confronti della s.n.c. N. Dott. C. e N. Dott. A., aveva condannato quest’ultima a corrispondere al ricorrente somme diverse a titolo di differenze provvigionali. Il G. aveva svolto attività di subagente assicurativo professionista in forza di contratto a tempo indeterminato sottoscritto il 31.10.2002 prevedente la corresponsione di provvigioni d’acquisto e di incasso, con la precisazione che, “nel caso di annullamento anticipato di una polizza che comporti lo storno provvigionale, dovrà restituire la corrispondente provvigione in ragione della residua durata del contratto”;

2. per quanto rileva nella presente sede, il Tribunale aveva accolto le domande anche in relazione allo storno sulle provvigioni per Euro 6.316,76, ritenuto illegittimo per essersi il contratto sciolto per scelta dell’assicurazione o per mutuo consenso, a seguito di accordo con la ditta Airaudo, che come tale non era idoneo a riverberare effetti pregiudizievoli sugli agenti, non essendovi stata prova agli atti dello storno operato dall’assicurazione ai danni dell’agenzia e per essere escluso lo storno in caso di “scioglimento o riduzione potestativamente disposti dall’impresa”, ai sensi dell’art. 9, lett. F dell’A.E.C.;

3. con sentenza del 17.12.2013, la Corte di appello di Torino riformava quasi integralmente la decisione di primo grado, salvo che per la parte riguardante la condanna al pagamento di rivalutazione monetaria ed interessi in relazione a provvigioni corrisposte in ritardo;

4. osservava la Corte: che la polizza con l’Airaudo era stata sottoscritta in data 11.5.2005 per la durata di 10 anni e che, in ragione di ciò, il G. aveva percepito provvigioni anticipate calcolate sull’intera durata del contratto; che la polizza era stata poi annullata il 30.4.2006 dalla compagnia assicuratrice; che, ai sensi dell’art. 4 del mandato, aveva richiesto la restituzione della quota di provvigioni corrispondente al periodo restante; che per questo la s.n.c. N. aveva preteso di rivalersi a sua volta sul subagente recuperando le dette provvigioni; che la vicenda sottostante era relativa ad una richiesta di risarcimento che la ditta Airaudo aveva inoltrato per un infortunio che la Reale Mutua, all’esito delle risultanze peritali, aveva ritenuto non risarcibile; che le ragioni di annullamento della polizza erano da rinvenirsi esclusivamente nelle condotte dei due subagenti a cui non spettavano le provvigioni percepite;

5. la Corte, richiamato l’art. 4, comma 4, del mandato, da leggersi insieme con l’art. 9 dell’A.E.C., evidenziava che l’annullamento della polizza – stipulata in sostituzione della precedente, ma comunque annullata per le vicende che l’avevano preceduta – non era frutto nel mero arbitrio della mandante, ma di una vicenda contrattuale condizionata dall’avanzamento, da parte dell’assicurata Airaudo, di una pretesa risarcitoria dimostratasi infondata; che lo storno della Reale Mutua Ass.ni nei confronti della N. era confermato da una mail dell’ufficio contabilità agenzie e che tanto era sufficiente a far ritenere fondata la pretesa dell’appellante e viceversa insussistente il diritto del subagente a pretendere provvigioni per un contratto che, pacificamente, non aveva regolarmente spiegato i suoi effetti scontando le conseguenze della pretesa risarcitoria dell’Airaudo infondatamente avanzata dall’assicurato. Aggiungeva che ciò che rilevava ai detti fini, indipendentemente dall’emergenza del dato contabile, era la prova circa la presenza dei presupposti che, a norma di mandato e di contratto, giustificavano l’annullamento della polizza con recupero di provvigione;

6. di tale decisione domanda la cassazione il G., affidando l’impugnazione a due motivi, illustrati nella memoria, depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., cui resiste la società, con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, si denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1425 e 1453 c.c., dell’art. 9 Accordo Nazionale Agenti 23.12.2003, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservandosi che il contratto di mandato fa riferimento ad un’ ipotesi di annullamento e non ad un’ ipotesi di scioglimento o di risoluzione e ritenendosi che l’espressione non possa essere interpretata in senso atecnico proprio per i riflessi che le vicende hanno sulla posizione di terzi, subagenti. Si richiamano le ipotesi di storno legittimo da parte dell’impresa prevista dall’art. 9 dell’accordo nazionale Agenti e quelle costituenti eccezioni a tale principio, nonchè le previsioni a loro volta costituenti deroga al regime di ripetibilità e si sostiene che, sulla base delle dichiarazioni dei testi R. e B., era da escludersi che la causa dell’annullamento della polizza fosse rinvenibile nelle condotte dei due subagenti e che piuttosto la scelta era stata effettuata di comune accordo fra agenzia ed impresa per ragioni di opportunità, laddove ben poteva essere data prosecuzione alla stessa polizza pure in presenza di un contrasto con l’assicurato in ordine all’estraneità dell’evento al rischio assicurato, sicchè doveva ritenersi contraddittorio l’assunto della Corte del merito in ordine all’esclusione della riconducibilità dell’annullamento ad arbitrio della società mandante, che avrebbe determinato l’irripetibilità delle provvigioni;

2. con il secondo motivo, si lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., dell’art. 2697c.c., dell’art. 2702c.c., dell’art. 115 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sul rilievo che, per esercitare il diritto alla rifusione delle provvigioni, l’agente deve provare al subagente l’avvenuto storno, cioè dare la prova del pagamento effettuato alla società mandante, quindi nella specie lo storno della Reale Mutua nei confronti della N., a tal fine non essendo sufficiente la mail presa a riferimento dalla Corte di appello (si assume la necessità di produrre documentazione bancaria attestante l’esecuzione del bonifico);

3. entrambi i motivi sono inammissibili;

4. a prescindere dalla improprio richiamo agli articoli del cod. civ. (1425 e 1453) ritenuti violati, il ricorrente ha formulato la censura di cui al primo motivo senza alcun preciso riferimento all’erronea applicazione dei criteri ermeneutici validi in tema di interpretazione della portata del mandato, essendo a tali fini peraltro necessario non solo l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione previste dal codice civile che si assumono violate (non indicate nella specie), ma anche la specificazione dei criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, il modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole (cfr., tra le altre, Cass. 28.11.2017 n. 28319, Cass. 15.11.2013 n. 25728, Cass. 4.6.2010 n. 13587, Cass. 19.3.2010 n. 6748);

5. quanto alla dedotta erroneità dell’interpretazione dell’art. 9 A.E.C., in realtà il motivo dedotto non si limita ad individuare l’esatta portata della norma in assunta contrarietà con quella fornita dal giudice del merito, ma sconfina nella diversa ricostruzione del fatto da sussumere in una delle ipotesi previste dalla norma del c.c.n.l., con ciò prospettando una diversa valutazione della vicenda fattuale non consentita nella presente sede di legittimità. Al riguardo deve richiamarsi quanto già affermato da questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge (o di norma del ccnl) consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il quale era stata proposta una lettura alternativa delle risultanze di causa rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito, in assenza di qualsivoglia censura dei criteri ermeneutici asseritamene violati o di specifica indicazione di un preciso “error in iudicando”) (cfr. Cass. 13.10.2017 n. 24155);

5. tutto quanto sin qui detto prescinde, poi, dal rilevo che il ricorrente non ha proceduto ad indicare i dati necessari a consentire la reperibilità di tali atti (anche del mandato) nell’ambito del giudizio di merito, come prescritto normativamente e ritenuto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16/03/2012 n. 4220; Cass. 09/04/2013, n. 8569; Cass. 15/07/2015 n. 14784).

In particolare, non è stato depositato il richiamato A.E.C. nel suo testo integrale, se non quale allegato alla memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c., notificato ai sensi dell’art. 372 c.p.c., omettendo di indicare i dati necessari a consentirne la reperibilità nell’ambito degli atti del giudizio di merito, come prescritto alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16/03/2012 n. 4220; Cass. 09/04/2013, n. 8569; Cass. 15/07/2015 n. 14784) e, soprattutto, in dispregio del principio, pure affermato da questa Corte, sebbene in relazione al procedimento di cui all’art. 420 bis c.p.c., secondo cui “la parte ha l’onere di depositare, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il testo integrale del contratto o accordo sul quale il ricorso si fonda, atteso il carattere strumentale dell’indicato adempimento rispetto all’adeguato esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte di Cassazione; nè la declaratoria di improcedibilità è impedita dal deposito ex art. 372 c.p.c., stante l’incompatibilità di tale deposito con le finalità sottese alla normativa legale sull’accertamento pregiudiziale” (cfr. Cass. 16619 del 16.7.2009);

6. quanto alla prospettazione del vizio di omesso esame, le argomentazioni che si leggono nel motivo di ricorso si collocano al fuori del novero dei motivi di censura spendibili ex art. 360 c.pc.., comma 1 e, segnatamente, di quello di cui al relativo n. 5, secondo la nuova formulazione della norma (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 in poi e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata) nell’interpretazione fornitane da Cass. a s. u. 7.4.2014 n. 8053;

8. anche le dedotte violazioni di cui al secondo motivo sono inammissibili, perchè non si indicano i criteri ermeneutici specificamente disattesi nell’interpretare la clausola contrattuale (mandato al subagente) e non si critica specificamente l’affermazione secondo cui ciò che rilevava era soltanto “la prova circa la presenza dei presupposti che, a norma di mandato e contratto, giustificavano l’annullamento (rectius: risoluzione anticipata) della polizza, con recupero della provvigione”, omettendosi di trascrivere il contenuto della mail richiamata;

9. peraltro, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, non può dipendere o essere in qualche modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale probatorio. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; abbia invertito gli oneri probatori. E poichè, in realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste. Nella specie, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito, di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

10. alla stregua delle svolte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

11. alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

12. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472