Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28156 del 05/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28982-2013 proposto da:

M.P., nato a SAN MARTINO DI FINITA il 13/04/1959;

ON LINE SRL, in persona del signor M.P. n.q. di amministratore e legale rapp.te p.t. (p.i. *****), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MARAZZA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO MARAZZA giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del Ministro p.t., Direzione Provinciale del Lavoro di Milano in persona del legale rapp.te p.t. (c.f. *****), domiciliati per legge in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende in forza di legge;

– controricorrente –

e contro

DIREZIONE REGIONALE DEL LAVORO MILANO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1918/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/10/2013 R.G.N. 351/2010.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 1918 del 2012, ha rigettato l’appello proposto da M.P., in proprio, e da On Line s.r.l. in persona del legale rappresentante, nei riguardi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione regionale del lavoro Direzione provinciale del lavoro di Milano, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto il ricorso di M.P. e di On Line s.r.l. teso all’annullamento e o alla revoca del verbale di accertamento del 9.10.2007 e del verbale di diffida D.Lgs. n. 124 del 2004, ex art. 13 e dell’ordinanza ingiunzione con la quale erano stati contestati diversi illeciti amministrativi riferiti a rapporti di lavoro intercorsi con i settantanove operatori addetti al cali center indicati nei medesimi atti, dal 1.1.2003 al 16.5.2007;

la Corte territoriale, condividendo quanto sostenuto dal primo giudice, ha ritenuto che al procedimento di accertamento regolato dalla L. n. 689 del 1981 non può applicarsi il disposto della L. n. 241 del 1990 in tema di procedimento amministrativo, inoltre, la procedura era stata corretta quanto a rispetto dei tempi ed i contratti di lavoro oggetto di contestazione non potevano essere considerati – come preteso dai ricorrenti- come effettivi lavori a progetto e, dunque, non subordinati, perchè erano privi di un vero e valido progetto, dotato di contenuto specifico e caratterizzato ed erano incompatibili rispetto ai contenuti della circolare 17 del 2006, emanata dal Ministero proprio con riferimento al lavoro a progetto nei call center;

avverso tale sentenza M.P. e la On Line s.r.l. propongono ricorso per cassazione fondato su tre motivi illustrati da memoria;

il Ministero del lavoro – Direzione regionale per la Lombardia Direzione Provinciale di Milano resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), lamenta motivazione carente in ordine al punto 9.1 ritenuto temporalmente risolvente, illustrato a pag. 19 del ricorso introduttivo ed a pag. 39 (punto 49) dell’atto d’appello, avente ad oggetto la richiesta di prova della circostanza che i contratti di lavoro oggetto di contestazione avevano avuto inizio, quali lavori a progetto, dal settembre 2005, mentre in precedenza avevano avuto natura di collaborazioni coordinate e continuative; di tale risolutivo argomento, tuttavia, la sentenza si era del tutto disinteressata, motivando esclusivamente attraverso il rilievo della genericità dei progetti e senza considerare che ciascun rapporto era sorto ben prima del 2005; il secondo motivo si riferisce alla violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 e dell’art. 1362 c.c. nell’interpretazione del contratto a progetto posto che il giudizio della Corte territoriale rispondeva al contenuto degli articoli citati nella forma successiva al periodo contestato, introdotta dalla L. n. 92 del 2012, che aveva eliminato la possibilità di considerare l’assegnazione al lavoratore di un programma o di una fase di lavoro e che il progetto coincidesse con l’oggetto dell’attività d’impresa;

il terzo motivo lamenta la violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 22, 23 e 24 e del D.M. n. 757 del 1994 per aver ritenuto inapplicabili tali disposizioni, in materia di accesso agli atti amministrativi, anche al procedimento di ordinanza/ingiunzione con ciò frustrando i diritti di difesa delle parti;

il primo motivo è inammissibile in ragione del fatto che l’insufficienza della motivazione attiene alla affermata mancata considerazione della concreta data di inizio di ciascuno dei rapporti di lavoro a progetto che, ad avviso dei ricorrenti, dovrebbe di per sè dimostrare l’erroneità del giudizio sulla insussistenza della natura non subordinata dei medesimi; tale prospettazione, tuttavia, si rivela idonea solo ad insinuare un dubbio sulla effettiva correttezza della motivazione e suggerisce la necessità di ulteriori approfondimenti sui reali contenuti delle singole prestazioni lavorative nel periodo precedente all’anno 2005;

i fatti, dunque,non hanno portata tale da condurre necessariamente ad un giudizio difforme da quello adottato dalla sentenza impugnata che mostra di aver considerato in primo luogo i concreti contenuti degli obblighi lavorativi imposti ai lavoratori, desunti dai contratti i cui contenuti non sono stati contestati e, quindi, di averne ricavato la conseguente non configurabilità di lavori a progetto;

dunque, il motivo è inammissibile vista la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, che deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014; n. 21257 del 2014);

il secondo motivo è infondato giacchè questa Corte di cassazione (Cass. n. 17127 del 2016) ha avuto modo di chiarire che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, (“ratione temporis” applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso; dunque nessuna applicazione retroattiva si è determinata nel caso di specie;

anche il terzo motivo è infondato atteso che Corte di legittimità, con orientamento consolidato, ha affermato che in tema di sanzioni amministrative, il procedimento preordinato alla loro irrogazione sfugge all’ambito di applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, in quanto, per la sua natura sanzionatoria, è compiutamente retto dai principi sanciti dalla L. 21 novembre 1981, n. 689 (Cass. n. 4363 del 2015; n. 4873 del 2007; n. 8763 del 2010), dunque, come rilevato dalla sentenza impugnata, la pienezza della cognizione riconosciuta specificamente al giudizio di opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 nel caso di specie preceduto dalla regolarità formale del preventivo procedimento amministrativo di accertamento, giustifica l’esclusione dell’applicazione della L. n. 241 del 1990 e le generali tutele ivi previste, invocate dai ricorrenti sotto il profilo dell’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori interessati;

il ricorso va, dunque, rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;

sussistono i presupposti, stante il rigetto del ricorso, per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018

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