Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28158 del 05/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14302/2016 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO RAFFIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso la sede della Società, avvocato DORA DE ROSE, rappresentata e difesa dall’avvocato CESARE GRANIERO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7791/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/11/2015, R.G.N. 5182/2014.

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva ritenuto legittimo il termine apposto al contratto intercorso tra G.G. e Poste Italiane s.p.a. nel periodo dal 5 luglio al 26 ottobre 2012, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, evidenziando che non era necessario indicare una specifica causale. Che la disposizione sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea era stata ritenuta legittima e conforme alla Direttiva in tema di contratti a tempo determinato ed all’Accordo Quadro. Ha del pari rigettato l’eccezione di violazione dei limiti di contingentamento fissati dal decreto avendo accertato che la documentazione a tal fine prodotta non era stata specificatamente contestata dalla lavoratrice. Ha escluso infine che l’adibizione a servizi di sportelleria esulasse dall’ambito di applicazione della disposizione.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre G.R. che articola sei motivi ai quali resiste con controricorso la Poste Italiane s.p.a.. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis 1. c.p.c..

CONSIDERATO

Che:

3. I motivi di ricorso.

3.1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2,comma 1 bis, in relazione agli artt. 2697 e 2699 c.c.; la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c.; la violazione dell’art. 416 c.p.c. e art. 2719 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c.. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto assolto l’onere di provare l’avvenuto rispetto della percentuale di contingentamento sebbene il primo giudice si fosse limitato ad affermarne la sussistenza sulla base di inutile documentazione prodotta dalla Società e nonostante nell’appello la decisione fosse stata contestata.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata ancora la violazione dell’art. 2, comma 1 bis cit., con riguardo alla mancata prova del rispetto della percentuale ed alla prova dell’avvenuta comunicazione alle organizzazioni sindacali di categoria. Ritiene la ricorrente che la Corte non abbia fatto un buon governo delle prove acquisite ed in particolare lamenta l’utilizzazione di un documento riepilogativo proveniente dallo stesso datore di lavoro.

3.3. Con il terzo motivo si propongono analoghe considerazioni sotto il diverso profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.4. Il quarto motivo di ricorso investe la pronuncia per essere la motivazione non conforme al disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.. Sostiene la ricorrente che la sentenza non conterrebbe la manifestazione del complessivo percorso logico con riguardo alle allegazioni ed argomentazioni sviluppate sia in primo grado che in appello.

3.5. Con il quinto motivo di ricorso ci si duole dell’annessa pronuncia sull’eccezione relativa al personale da considerare ai fini del calcolo delle percentuali di contingentamento in relazione agli artt. 112 e277 c.p.c.. Della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, anche in relazione all’art. 1 dello stesso decreto, D.Lgs. n. 261 del 1999, artt. 1, 3 e 23, artt. 2082 e 2555 c.c., D.Lgs. n. 385 del 1993 e D.Lgs. n. 58 del 1998 e del D.P.R. n. 144 del 2001, con riguardo al calcolo dell’organico avendo quale riferimento i soli addetti al servizio postale, degli artt. 1362 c.c.e segg., in relazione al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 3, con riguardo all’interpretazione della nozione di “servizio postale universale” ed infine violazione dell’art. 2, comma 1 bis, più volte citato con riguardo all’art. 2697 c.c., ed agli artt. 115 e 116 c.p.c.. In estrema sintesi la ricorrente deduce che tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di servizi estranei a quello specificatamente postale (i c.d. servizi finanziari) non possono essere inclusi nell’organico aziendale che costituisce il parametro per stabilire se, nell’anno dell’assunzione, era stato o meno superato il limite percentuale di assunzioni a tempo determinato del 15% osservando che una diversa interpretazione del complesso normativo si porrebbe in contrasto con i principi dettati anche in sede costituzionale. Osserva poi che, ancora una volta, la Società non avrebbe offerto la prova del rispetto del limite del contingentamento calcolato su parametri errati, errore avallato dalla sentenza impugnata.

3.6. L’ultimo motivo affronta la medesima questione sotto il diverso profilo del vizio di motivazione. Sottolinea che è incontroverso che la questione del superamento del limite di contingentamento era stata oggetto di discussione tra le parti, sollevata in primo grado e reiterata in appello, e la società, secondo la ricorrente non avrebbe offerto la prova che su di lei gravava del suo avvenuto rispetto.

4. Le censure, che investono tutte, reiteratamente e sotto vari profili, il capo della decisione che ha ritenuto provato l’avvenuto rispetto del limite del 15% del contingentamento previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per le assunzioni a termine acausali consentite dalla citata disposizione di legge, sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

4. Con più sentenze questa Corte ha tracciato il perimetro entro il quale può ritenersi rispettato l’obbligo, previsto anche per i contratti conclusi ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, di assumere con contratto a termine un numero di lavoratori che non superi la percentuale del “15% dell’organico aziendale, riferito al 1 gennaio dell’anno a cui le assunzioni si riferiscono”.

5. In particolare è stato precisato che del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, nel prevedere che il numero dei lavoratori assunti a termine dalle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste non può superare il limite percentuale del quindici per cento dell’organico aziendale, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte cost. con sentenza del 14 luglio 2009, n. 214, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore (cfr. Cass. 19/04/2018 n. 9726 e Cass. 15/01/2018 n. 753). La norma nulla dispone in relazione alla tipologia delle mansioni esercitate dai dipendenti ai fini della possibilità di assunzione a termine e una limitazione è estranea anche alle motivazioni adottate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 214 del 2009. In tale pronuncia, premesso che la disposizione in esame costituisce la tipizzazione legislativa di un’ipotesi di valida apposizione del termine, il giudice delle leggi ha affermato che tale valutazione, preventiva e astratta, non è manifestamente irragionevole, atteso che la garanzia alle imprese in questione, nei limiti percentuali previsti, di una sicura flessibilità dell’organico, è direttamente funzionale all’onere gravante sulle imprese stesse di assicurare lo svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali, nonchè la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica i quali costituiscono attività di preminente interesse generale, ai sensi del D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 1 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio). Il giudice delle leggi ha escluso la sussistenza di un profilo di incostituzionalità del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, rispetto ai principi di cui all’art. 3 Cost., avendo ritenuto non manifestamente irragionevole che, ad imprese tenute per legge all’adempimento di simili oneri sia riconosciuta una certa flessibilità nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo determinato. E ciò è tanto più valido in quanto il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, nell’imporre alle aziende di comunicare ai sindacati le richieste di assunzione a termine, prevede un meccanismo di trasparenza che agevola il controllo circa l’effettiva osservanza, da parte datoriale, dei limiti posti dalla norma.

Fermo perciò l’onere della Società di dimostrare l’avvenuto rispetto delle soglie percentuali, questa Corte ha poi ritenuto che costituisce elemento probatorio liberamente valutabile il documento prodotto dall’ente e sottoscritto da un dirigente nominativamente indicato, attestante i numeri dei dipendenti assunti e dei contratti a tempo determinato stipulati nel periodo di riferimento, senza la necessità di una conferma testimoniale ovvero di una diversa verifica (cfr. Cass. 23/05/2018 n. 12801 oltre alla già citata Cass. n. 753 del 2018).

5. Venendo allo specifico esame delle censure mosse alla sentenza ritiene il Collegio che il primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente poichè investono tutti sotto vari profili la prova dell’avvenuto rispetto delle percentuali di contingentamento stabilite dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis e sono in parte infondate ed in parte inammissibili.

5.1. Inammissibili le censure formulate con il primo motivo poichè, pur enunciando una lunga serie di violazioni nella rubrica, nella sua esposizione, poi, si limita a riprodurre il contenuto del motivo di appello mosso alla sentenza di primo grado e non articola una specifica censura con riguardo invece alla sentenza della Corte di appello.

5.2. Infondati il secondo ed il terzo poichè la Corte di merito ha preso atto della produzione, da parte di Poste, di una nota firmata dal dirigente del Servizio Risorse Umane che indicava il numero dei dipendenti al 1.1.2007 ed il numero, inferiore al 15% dei contratti a tempo determinati stipulati in quell’anno, ed ha evidenziato che le contestazioni mosse a tale produzione erano generiche. Esse infatti, come risulta dalla lettura degli atti trascritti erano riferite solo all’inidoneità probatoria del documento e non anche allo specifico contenuto se non per quanto concerne i criteri di calcolo da applicare, qui oggetto delle altre censure (in particolare il quinto ed il sesto motivo) al cui esame si rinvia. Va allora ricordato che questa Corte, con recenti pronunce, nel ribadire che è onere della Società dimostrare l’avvenuto rispetto delle soglie percentuali, ha poi ritenuto che costituisce elemento probatorio liberamente valutabile il documento prodotto dall’ente e sottoscritto da un dirigente nominativamente indicato, attestante i numeri dei dipendenti assunti e dei contratti a tempo determinato stipulati nel periodo di riferimento, senza la necessità di una conferma testimoniale ovvero di una diversa verifica (cfr. Cass. 23/05/2018 n. 12801 oltre alla già citata Cass. n. 753 del 2018).

5.3. Da ultimo, e con riguardo alla dedotta mancata comunicazione alle OO.SS. provinciali di categoria delle richieste di assunzione va rilevato che la censura è solo accennata e non è affatto sviluppata. In ogni caso va qui ribadito che in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, la violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di comunicare alle organizzazioni sindacali provinciali di categoria le richieste di assunzione ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2,comma 1 bis, non è prevista come requisito di validità del negozio, non essendo ravvisabile, pertanto, nè una nullità testuale, nè una cd. virtuale, ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, per violazione di norma imperativa di legge, in quanto le modalità del controllo sindacale come normativamente previste nella specie – mirano soltanto ad agevolare una verifica eseguibile anche altrimenti e che resta fondamentalmente garantita dall’onere probatorio (della legittimità del termine) incombente sul datore di lavoro, oltre che dalla possibilità di far valere l’inosservanza dell.’obbligo come condotta antisindacale reprimibile ex art. 28 st.lav.” (cfr. Cass. 09/03/2018 n. 5718).

6. Quanto alla dedotta carente motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., va rilevato che la sentenza ha con chiarezza ricostruito il percorso logico seguito per rigettare la domanda tenendo ben presenti le allegazioni delle parti e le prove raccolte sicchè la censura si risolve piuttosto nella richiesta di un nuovo esame delle emergenze istruttorie non consentita al giudice di legittimità.

7. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso con i quali ci si duole della omessa pronuncia sull’eccezione relativa al personale da considerare ai fini del calcolo delle percentuali di contingentamento in relazione agli artt. 112 e 277 c.p.c.. Della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, anche in relazione all’art. 1 dello stesso Decreto, del D.Lgs. n. 261 del 1999, artt. 1, 3 e 23, artt. 2082 e 2555 c.c., D.Lgs. n. 385 del 1993, D.Lgs. n. 58 del 1998 e del D.P.R. n. 144 del 2001, con riguardo al calcolo dell’organico avendo quale riferimento i soli addetti al servizio postale, degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 3, con riguardo all’interpretazione della nozione di “servizio postale universale” ed infine violazione dell’art. 2, comma 1 bis, più volte citato con riguardo all’art. 2697 c.c. ed agli artt. 115 e 116 c.p.c. e si deduce che tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di servizi estranei a quello specificatamente postale (i c.d. servizi finanziari) non possono essere inclusi nell’organico aziendale anche sotto il diverso profilo del vizio di motivazione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

7.1. Come si è ricordato al punto 4, l’organico aziendale a cui fare riferimento nel calcolare le percentuali di contingentamento è, per quanto concerne l’art. 2, comma 1 bis, quello complessivo di tutto il personale a prescindere dalle mansioni svolte. Oltre a quanto già ricordato va qui evidenziato che l’art. 2, comma 1 bis, a differenza del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1, non contiene alcun riferimento ai “servizi sopra indicati”. L’elisione di questa precisazione in una disposizione che nel resto richiama facendoli propri i requisiti previsti per i servizi aeroportuali di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1, conferma, la bontà dell’interpretazione estensiva della nozione di organico adottata.

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018

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