Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28175 del 05/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15089/2017 proposto da:

I.S., I.B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LAGO DI LESINA 15, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA ANTONINI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIORGIO GALAVOFFI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI RICCIONE, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato LUCIO NICOLAIS, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO CAMPOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3343/3/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA, depositata il 25/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito del D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue;

Con sentenza n. 3343/3/2016, depositata il 25 novembre 2016, non notificata, la CTR dell’Emilia – Romagna accolse l’appello proposto dal Comune di Riccione nei confronti dei signori I.S. e B. avverso la sentenza di primo grado della CTP di Rimini, che aveva invece accolto il ricorso proposto dai contribuenti avverso avvisi di accertamento ICI relativi agli anni 2008 e 2009 per area ritenuta dall’ente impositore fabbricabile.

Avverso la sentenza della CTR i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Il Comune di Riccione resiste con controricorso.

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la decisione impugnata ha affermato la natura edificabile dell’area in oggetto, essendo essa compresa in territorio urbanizzabile in base al P.S.C. (piano strutturale comunale) del Comune di Riccione, sebbene il regolamento edilizio comunale fosse stato approvato solo in data 26 marzo 2009 e soprattutto essendo intervenuto il piano attuativo (Piano Operativo Comunale – POC) solo nel 2013 con successiva previsione di variante nel 2014.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere omesso la sentenza impugnata di pronunciarsi sulla domanda subordinata proposta sin dal ricorso introduttivo, relativa ad una minore valutazione del valore dell’area rispetto a quella desumibile dalla relativa delibera comunale, o comunque, per avere del tutto omesso la motivazione al riguardo.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ancora violazione o falsa applicazione degli artt. 112,115 e 132 c.p.c., per avere assolutamente omesso la motivazione o per aver reso comunque motivazione contraddittoria e/o erronea sulla contestazione del valore venale attribuito alle aree ricomprese nella zona urbanizzabile dal comune di Riccione ai fini dell’imposizione ICI.

4. Il primo motivo è inammissibile in relazione al disposto dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155), avendo la decisione impugnata giudicato in conformità al principio di diritto secondo cui l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicazione del criterio di determinazione della base imponibile, fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita dal piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione di esso da parte della Regione e dell’adozione di strumenti urbanistici attuativi, affermato dalla Sezioni Unite di questa Corte 30 novembre 2006, n. 25506, anche alla stregua della norma d’interpretazione autentica di cui al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, lett. 1)) del citato decreto; principio, giova qui ricordare, costantemente ribadito dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass. sez. 5, 27 luglio 2007, n. 16174; Cass. sez. 5, 16 novembre 2012, n. 20137; Cass. sez. 5, 5 marzo 2014, n. 5161; Cass. sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4091; Cass. sez. 6-5, ord. 27 aprile 2017, n. 10476) in un quadro di riferimento segnato anche da pronuncia della Corte costituzionale (ord. 27 febbraio 2008, n. 41), che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della succitata norma d’interpretazione autentica.

4.1. Dette considerazioni evidentemente sono esattamente riproponibili nel rapporto tra previsione generale di piano e norme attuative, quali siano le denominazioni in concreto assunte anche secondo le legislazioni regionali (si veda in proposito, con specifico riferimento a rapporti tra piano strutturale comunale e piano operativo comunale nell’ambito della legislazione urbanistica di riferimento dell’Emilia Romagna, Cass. 5, 27 gennaio 2017, n. 2109).

Nè i ricorrenti hanno addotto argomenti idonei a giustificare un mutamento d’indirizzo interpretativo al riguardo.

5. Il secondo motivo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi.

5.1. Essi sono inammissibili.

Di là dalla loro contraddittoria formulazione quanto, in particolare, al denunciato vizio motivazionale (se la motivazione è omessa assolutamente non può essere contraddittoria) deve osservarsi che le questioni poste con riferimento all’erroneità della motivazione in diritto – suscettibile comunque di correzione in relazione all’art. 384 c.p.c., u.c., che sfociano in realtà in generica denuncia di violazione di legge per non avere la CTR valutato come eccessivo il valore attribuito all’area secondo la stima del Comune, una volta affermatane la natura edificabile – debbono intendersi precluse in sede di legittimità, essendo inerenti a domanda subordinata non espressamente riproposta dai contribuenti in grado d’appello ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, essendo i contribuenti rimasti contumaci nel giudizio di secondo grado (cfr. al riguardo, più di recente, Cass. sez. 3, ord. 17 gennaio 2018, n. 907).

6. Il ricorso va pertanto rigettato.

7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018

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