LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10029/2014 proposto da:
CIDAC S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato FILIPPO D’URGOLO, presso il cui studio in Roma, piazzale della Province 11, elettivamente domicilia per procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Z.A., dapprima nella qualità di amministratore di sostegno di Z.T., rappresentata e difesa dall’Avvocato SALVATORE COLETTA, presso il cui studio in Roma, viale Mazzini 114/B, era elettivamente domiciliata per procura speciale a margine del controricorso, e poi, insieme a Z.M. e ZA.AL., nella qualità eredi di Z.T., rappresentate e difese dall’Avvocato VINCENZO MAGARI ed elettivamente domiciliate a Roma, via di Santa Costanza 27, per procura speciale agli atti;
– controricorrenti –
nonchè
C.P., rappresentata e difesa dall’Avvocato GIOVANNI PAOLETTI presso il cui studio a Roma, piazza di Spagna 35, elettivamente domicilia per procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e Z.M. e ZA.AL., nella qualità di eredi di Z.E., nonchè Z.P., ZA.AS., ZA.EL. e Z.E.A., elettivamente domiciliati a Roma, viale Carlo Felice 103, presso lo studio associato BERCHICCI e rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dall’Avvocato ALDO TATTA e dall’Avvocato SAMANTHA TRATTA, per procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 1172/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/2/2013;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30/5/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. PATRONE Ignazio, il quale ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
sentito, per la società ricorrente, l’Avvocato FULIPPO D’URGOLO;
sentito, per la controricorrente C.P., l’Avvocato GIOVANNI PAOLETTI;
sentito, per Z.M., Za.Al., Z.P., Za.As., Za.El. ed Z.E.A., l’Avvocato SAMANTHA TRATTA;
sentito, per Za.Al., Z.A. e Z.M., nella qualità di eredi di Z.T., l’Avvocato VINCENZO MACARI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 3/7/1984, i fratelli Z.E., P., As., El. ed E.A. hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Latina, la CIDAC s.r.l. e C.G. chiedendo che fosse pronunciata sentenza che trasferisse, in loro favore, il 26% degli immobili siti in *****, distinti dalla p.lla ***** del foglio *****, come da permuta del 26/3/1980, oltre al risarcimento dei danni.
A sostegno delle domande proposte, gli attori hanno dedotto di aver stipulato con la CIDAC un contratto di permuta avente ad oggetto la costruzione di manufatti con l’obbligo di trasferire ai cedenti unità immobiliari pari al 26% della consistenza realizzata.
La CIDAC, tuttavia, hanno aggiunto gli attori, non ha realizzato ovvero ha realizzato in modo difforme le opere pattuite (parcheggi interrati, balconi, marciapiedi), consegnandole in ritardo, con conseguente danno.
La CIDAC s.r.l. ha contestato la domanda proposto dagli attori sul rilievo che il ritardo fosse imputabile a modifiche del progetto in corso d’opera, proponendo domanda riconvenzionale per il pagamento delle diverse opere oggetto di appalto.
Nel corso del giudizio, si è costituito Z.T., chiamato in causa dagli attori, facendo proprie le domande proposte da questi ultimi.
Interrotto il giudizio a seguito del decesso di C.G. e riassunto dagli attori nei confronti della figlia P., il tribunale di Latina, con sentenza del 21/2/2006, ha accertato il ritardo nella consegna dei manufatti ed ha, conseguentemente, condannato la CIDAC, oltre che al trasferimento in favore degli attori del 26% della superficie edificata, a risarcire i danni arrecati agli stessi in conseguenza del ritardo. Il tribunale, infine, ha condannato gli attori ed il chiamato in causa ad adempiere ad ogni obbligo formale dagli stessi contrattualmente assunto al fine di far conseguire l’intestazione in proprietà alla CIDAC s.r.l. delle unità immobiliari eccedenti la percentuale del 26% prevista a titolo di corrispettivo dell’intervenuta permuta.
Gli attori, con citazione notificata il 23/3/2007, hanno proposto appello nei confronti della sentenza pronunciata dal tribunale. Gli appellanti, con il primo motivo, hanno lamentato la mancata realizzazione da parte della CIDAC della maggior parte della superficie per parcheggi interrati, chiedendo il trasferimento integrale di quelli realizzati, rientranti nella misura del 26% del progetto originario. Con il secondo motivo, gli appellanti hanno chiesto il risarcimento del danno derivante dalla mancata realizzazione di parte dei parcheggi interrati. Con il terzo motivo, gli appellanti hanno chiesto un’indennità per la mancata utilizzazione dei parcheggi interrati. Con il quarto ed il quinto motivo, gli appellanti hanno contestato il computo da parte dei giudice di prime cure del danno da ritardo, deducendo, peraltro, un errore materiale nella liquidazione dei danni da parte del tribunale.
La CIDAC ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto e proponendo, a sua volta, appello incidentale.
Nel corso del giudizio, si è costituito Z.T..
La corte d’appello, con sentenza depositata il 28/2/2013, dopo aver dichiarato improcedibile l’appello di Z.T., ha così provveduto:
– ha accolto l’appello principale ed, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato la CIDAC e C.P. in solido, al risarcimento dei danni in favore degli attori, in ragione del ritardo nella consegna dei primi otto appartamenti e della mancata realizzazione del nono, liquidando i primi nell’importo di Euro 12.600,70, oltre interessi, ed i secondi nella somma di Euro 42.369,92, oltre interessi;
– ha condannato la CIDAC a trasferire agli appellanti l’ulteriore metratura di 172,06 mq ovvero a pagarne il valore, determinati in Euro 195.495,46, oltre interessi;
– ha riformato la sentenza del tribunale nella parte in cui aveva condannato gli attori ed il chiamato in causa ad adempiere ad ogni obbligo formale dagli stessi contrattualmente assunto al fine di far conseguire l’intestazione in proprietà alla CIDAC s.r.l. le unità immobiliari eccedenti la percentuale del 26% prevista a titolo di corrispettivo dell’intervenuta permuta.
La corte d’appello, infine, ha rigettato l’appello incidentale proposto dalla CIDAC, confermando, per il resto, le statuizioni della sentenza di primo grado.
La corte d’appello, innanzitutto, ha proceduto, nell’esame dei primi tre motivi d’appello, a valutare la mancata realizzazione da parte della CIDAC dei parcheggi interrati, originariamente previsti nella convenzione del 26/3/1980.
Al riguardo, la corte, dopo aver accertato, in fatto, che:
– la CIDAC ha realizzato solo 386 mq di garage;
– la metratura destinata a parcheggi interrati corrispondeva, nell’originaria concessione edilizia n. *****, all’intera superficie edificabile e, quindi, a complessivi mq 3.924, corrispondente alla superficie edificabile di mq. 4.125 decurtata di 201 mq;
– i convenuti hanno presentato una variante planimetrica e distributiva senza aumenti di volumi che rimodellava consistentemente la fisionomia delle erigende costruzioni (concessione n. 32 del 1982);
e dopo aver escluso, in diritto, che la sottoscrizione, apposta dagli appellanti sui progetti allegati a tale variante edilizia, che non contemplavano la presenza di parcheggi, potesse essere interpretata, come invece ritenuto dal tribunale, quale rinuncia da parte degli stessi alla realizzazione dei garage interrati;
ha ritenuto che, oggettivamente, la mancata realizzazione dei parcheggi interrati costituisse un inadempimento da parte della CIDAC delle obbligazioni originariamente assunte con l’atto di permuta del 1980, dovendosi, tuttavia, verificare se tale inadempimento fosse imputabile alla stessa CIDAC a norma dell’art. 1218 c.c., ovvero se, come da questa eccepito, non fosse ad essa imputabile in quanto il parcheggio precedentemente contemplato non era più realizzabile sia perchè in contrasto con il PRG di Formia entrato in vigore nelle more, sia perchè gli stessi Z. non avevano messo a disposizione della CIDAC l’area n. 588 di loro esclusiva proprietà, sia, infine, per le intervenute modifiche del progetto.
Al riguardo, la corte, sulla base di quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio, vale a dire la parziale consegna del terreno (mq. 3.694), l’impossibilità di realizzare l’interrato nelle zone non messe a disposizione e la conseguente necessità di ottenere per le varianti da apportare all’originario progetto una nuova concessione edilizia, ha condiviso le eccezioni sollevate dalla CIDAC, ritenendo, in definitiva, che la realizzazione dei parcheggi interrati avrebbe richiesto una nuova concessione edilizia, che comprendesse le zone destinate a parcheggio, e che, di conseguenza, la CIDAC, a fronte della conseguente nullità del contratto di appalto, aveva correttamente omesso di realizzare l’opera “trattandosi di manufatto preventivamente non assentito dal Comune”.
La corte, poi, ha esaminato le censure con le quali tanto gli appellanti, in via principale, quanto la società appellata, in via incidentale, hanno lamentato l’erroneo calcolo del danno da ritardo, determinato dal tribunale sulla base del valore locativo di mercato attualizzato per dieci mesi. La corte, sul punto, ha ritenuto che la motivazione del giudice di primo grado fosse “congrua e convincente”, per la portata sostanzialmente novativa dell’accordo tra le parti teso a sostituire la fisionomia delle opere originariamente contemplata dalla concessione n. ***** con quella prevista dalla concessione n. *****, e che, dunque, fosse incongruo e contrario a buona fede pretendere che il termine per l’adempimento decorresse dall’atto notarile del 2/4/1981 anzichè dal rilascio della nuova concessione in data 12/2/1982. Ne consegue, ha aggiunto la corte, che, essendo la consegna degli alloggi pacificamente intervenuta in data 9/4/1984, il ritardo nell’adempimento non appare superiore ai dieci mesi. Quanto, poi, al valore locatizio assunto come parametro dal consulente tecnico d’ufficio, la corte ha ritenuto che non vi fossero ragioni per discostarsi dalla sua prudente ed argomentata scelta.
Quanto, invece, alla domanda riconvenzionale, con la quale la CIDAC ha agito per la liquidazione dei danni subiti in conseguenza della ritardata consegna delle porzioni immobiliari di sua spettanza, la corte d’appello, pur condividendo l’assunto contenuto nell’appello incidentale, secondo il quale l’impossibilità di alienare tali immobili ha causato alla società appellata, che aveva quale scopo sociale la costruzione e la vendita di immobili, danni che il tribunale ha omesso di accertare e liquidare, ha nondimeno ritenuto che la società convenuta non avesse assolto all’onere di provare in giudizio tanto la sussistenza, quanto l’entità dei danni patiti, la cui liquidazione, nonostante la loro alta verosimiglianza, non può essere devoluta, come l’appellata ha suggerito, ad un consulente tecnico d’ufficio.
La corte, invece, ha ritenuto che la sentenza impugnata, nella parte in cui il tribunale ha omesso di trascrivere uno zero nell’importo da liquidare alla parte attrice, fosse inficiata, in fatto, da un mero errore contabile, provvedendo, quindi, a correggerla nella misura in cui la condanna per il ritardo nella consegna degli appartamenti è stata determinata in Euro 1.260,07 e non nella somma di Euro 12.600,72.
La corte, invece, ha ritenuto fondato il motivo con il quale gli appellanti hanno censurato il giudizio di compensazione effettuato dal tribunale tra le ragioni di parte attrice, privata della superficie destinata a parcheggi interrati, e quella di parte convenuta, cui spettava una metratura aggiuntiva rispetto a quanto edificato in ragione della maggiore cubatura realizzata, non ravvisandosi, ha osservato la corte, ragioni per giudizi o effetti “reciprocamente compensativi” in un giudizio che si svolge non secondo equità ma secondo diritto.
Nè appare condivisibile, ha aggiunto la corte, l’opinione del giudice di primo grado che ha determinato la misura spettante agli attori, pari al 26%, avendo riguardo alla superficie planimetrica di cui alle due concessioni succedutesi nel tempo. Secondo la corte, la corretta interpretazione del contratto di permuta del 1980, fondata non solo sulla lettera del contratto, che pure prevedeva la ripartizione del 26% e del 74% con l’esplicita estensione ad eventuali varianti, bensì sulla comune intenzione delle parti, induce a ritenere che “il criterio della ripartizione tra le parti nelle rispettive misura del 26%-74% fosse nella prospettazione delle parti un criterio di carattere generale da leggersi quale parametro generale anche in relazione a future ed eventuali modifiche progettuali”: “sia nel caso di cubatura aggiuntiva sia nell’ipotesi di impossibilità di realizzazione dell’intera cubatura le parti rapportavano le rispettive proprietà nella misura astratta del 74/26%”. Ne consegue, ha aggiunto la corte, che, alla luce della relazione del consulente tecnico di ufficio, gli appellanti, che hanno già ricevuto 915 mq, devono ricevere ulteriori 172,06 mq, posto che il 26% dell'”areale fuori terra realizzato” è pari a complessivi 4.181 mq, per cui il 26% corrisponde a 1.087,06 mq.. La società appellata, quindi, ha concluso la corte, dev’essere condannata a trasferire agli attori l’ulteriore superficie di 172,06 mq ovvero il suo valore, pari ad Euro 195.495,46 (Lire 2.200.000 mq x 172,06 = Lire 378.532.000), oltre interessi dalla data di deposito della terza consulenza tecnica d’ufficio (22/1/2001) ad oggi.
La corte, infine, ha accolto il motivo con il quale gli appellanti hanno eccepito il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado nella parte in cui, accogliendo la domanda riconvenzionale della CIDAC, ha accertato la spettanza alla stessa della percentuale residua del 74% dell’edificato, senza considerare che tale domanda, non essendo stata espressamente riproposta nelle conclusioni dalla stessa rassegnate, era da considerarsi implicitamente abbandonata. La corte, infatti, dopo aver accertato, da un lato, che la domanda, con la quale la CIDAC nella memoria del 27/2/2002 aveva chiesto che fossero dichiarate di sua proprietà tutte le unità del fabbricato A/1 eccedenti la percentuale del 26%, non era stata riproposta nelle conclusioni precisate all’udienza del 12/5/2005, e, dall’altro lato, che la CIDAC non aveva dedotto alcunchè in ordine all’attribuzione delle unità immobiliari eccedenti la percentuale del 26% nelle scritture conclusionali, ha ritenuto che, alla luce della condotta processuale della parte, la predetta domanda sia stata effettivamente abbandonata.
La CIDAC s.r.l., con ricorso spedito per la notifica l’8/4/2014, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente non notificata.
Hanno resistito: C.P., con controricorso notificato il 25/7/2014, deducendo di aver rinunciato all’eredità di C.G. con atto del 5/11/2013; Z.A., nella qualità di amministratore di sostegno di Z.T., con controricorso notificato il 24/5/2014; Z.M. e Za.Al., nella qualità di eredi di Z.E., nonchè Z.P., Za.As., Za.El. e Z.E.A., con controricorso notificato il 5/6/2014, i eccependo l’inammissibilità del ricorso principale, per invalidità della procura, in quanto rilasciata dal legale rappresentante della CIDAC s.r.l. senza alcuna specifica indicazione della carica rivestita all’interno della compagine sociale e proponendo, per tre motivi, ricorso incidentale.
Con atto del 2/5/2018, Za.Al., Z.M. e Z.A., nella qualità di eredi di Z.T., si sono costituite in giudizio, facendo proprie e reiterando tutte le richieste, le eccezioni e le argomentazioni già avanzate dal de cuius.
La società ricorrente ed i controricorrenti Z.M., Za.Al., Z.P., Za.As., Za.El. ed Z.E.A. hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dai controricorrenti, per invalidità della procura, in quanto rilasciata dal legale rappresentante della CIDAC s.r.l. senza alcuna specifica indicazione della carica rivestita all’interno della compagine sociale, è priva di fondamento. In effetti, ai fini della validità della procura al difensore da parte di una persona giuridica, qual è la società a responsabilità limitata, ove l’atto contenga l’espressa menzione, in capo al firmatario della procura, del potere di rappresentanza dell’ente che sta in giudizio, non produce nullità della procura la mancata indicazione della carica ricoperta o della funzione svolta dalla persona che l’ha sottoscritta quando, almeno nel caso in cui ne sia controverso il potere di rappresentanza, la funzione o carica ricoperta da chi ha rilasciato la procura sia desumibile con certezza per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese. Nel caso di specie, non vi è alcuna incertezza in ordine ai poteri che ha esercitato, con il rilascio della procura speciale, il sig. D.M.O., il quale, nella incontestata qualità di liquidatore unico della CIDAC s.r.l. al momento del ricorso (emergente, del resto, dalla visura camerale depositata ai sensi dell’art. 372 c.p.c., dagli stessi controricorrenti), ha, per legge, la rappresentanza della società, come indicato in ricorso, e può, come tale, compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, salve le limitazioni che risultano dalla legge o dall’atto costitutivo, qui neppure denunciate, compreso, evidentemente, il conferimento di procura ad litem (art. 76 c.p.c., comma 3).
2. Egualmente infondata è l’eccezione, sollevata dalla ricorrente, di inammissibilità dei controricorsi per mancanza di procura speciale. E’ infatti consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, l’orientamento secondo cui la procura apposta in margine al ricorso (ovvero del controricorso: artt. 83,370 e 366 c.p.c.) deve per ciò solo ritenersi “speciale”, giacchè deve presumersi, fino a prova contraria che è onere della controparte fornire, che al momento della sottoscrizione della procura il ricorso fosse stato già esteso sullo stesso foglio (Cass. n. 29312 del 2017, in motiv.). Nel caso di specie, tanto il controricorso proposto da Z.A., nella qualità di amministratore di sostegno di Z.T., quanto il controricorso di Z.M. e Za.Al., nella qualità di eredi di Z.E., nonchè di Z.P., Za.As., Za.El. e Z.E.A., recano, a margine, le procure rilasciate, rispettivamente, all’avv. Salvatore Coletta ed agli avv.ti Aldo Tatta e Samantha Tatta, delle quali, pertanto, in difetto di prova da parte della ricorrente che che al momento della loro sottoscrizione i controricorsi erano stato già redatti sullo stesso foglio, deve presumersi la specialità.
3. Inammissibile, infine, è la dedotta rinuncia all’eredità compiuta da C.P. con atto del 5/11/2013, se non altro perchè involge, sia pur implicitamente, una censura alla sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello l’ha condannata per un debito del de cuius, da dedurre in giudizio solo proponendo, a sua volta, ricorso incidentale.
4. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la determinazione, operata dal tribunale, del danno da ritardo avendo riguardo al valore locativo di mercato attualizzato per dieci mesi, omettendo, in tal modo, di esaminare e di pronunciarsi, al pari del tribunale, sulla domanda riconvenzionale, poi riproposta come motivo di appello incidentale, con la quale la CIDAC aveva dedotto che il ritardo nella consegna delle unità immobiliari era stato determinato sia dall’approvazione delle varianti, che dalle numerose modifiche e migliorie richieste dai Z., delle quali aveva fornito prova scritta, che la corte ha omesso di esaminare e valutare.
5. Il motivo è fondato. Gli atti del giudizio d’appello, cui la Corte accede direttamente a fronte dell’error in procedendo dedotto con la censura in esame, dimostrano che, in effetti, la CIDAC s.r.l., con la comparsa di costituzione nel giudizio d’appello, aveva proposto appello incidentale nei confronti della sentenza pronunciata dal tribunale di Latina, espressamente deducendo (p. 19) che il ritardo nella consegna era dovuto, da un lato, al fatto che era stato presentato un progetto di variante assentito dagli stessi Z., e che costoro avevano preteso varianti e migliorie non previste in progetto, che avevano allungato i tempi di esecuzione delle opere e, dall’altro lato, al fatto che gli attori non avevano messo a disposizione l’area dove era ubicato un vecchio edificio da demolire nonchè la superficie di pertinenza, pari a mq. 854 (e cioè l’intera particella *****), e chiedendo, per l’effetto, che, in accoglimento dell’appello incidentale, gli appellanti fossero condannati, in solido, al risarcimento dei danni da quantificarsi a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio. La corte d’appello, invece, si è pronunciata sull’appello incidentale proposto dalla CIDAC, rigettandolo, limitatamente al profilo dell’erroneità del calcolo del danno da ritardo liquidato agli appellanti, determinato dal tribunale sulla base del valore locativo di mercato attualizzato per dieci mesi, e cioè limitatamente al quantum, senza, tuttavia, preliminarmente esaminare il profilo logicamente antecedente, parimenti dedotto, relativo all’an di siffatta responsabilità, in quanto, in ipotesi, esclusa dai fatti, se e nella misura in cui siano ritenuti veritieri, in precedenza esposti, ed anzi idonea, nella prospettazione dell’appellante incidentale (che, in tal modo, finisce inevitabilmente per censurare non solo la mancata condanna in suo favore, ma anche la sua stessa condanna in favore degli attori, sicchè nessun giudicato sul punto si è implicitamente formato) a fondare un’autonoma responsabilità risarcitoria degli appellanti principali nei suoi confronti.
6.Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.(p.)c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pronunciandosi sulla domanda riconvenzionale, finalizzata alla liquidazione dei danni subiti dalla CIDAC in conseguenza della ritardata consegna delle porzioni di immobili di sua spettanza, ha ritenuto che l’alta verosimiglianza di aver subito un danno non esimesse l’attore in riconvenzionale dalla prova del danno patito, che non può essere devoluta, come l’appellata aveva suggerito, ad un consulente tecnico d’ufficio, omettendo in tal modo di considerare che qualunque indagine di mercato svolta dalla società sarebbe pur sempre stata un atto di parte, dotato di scarsa rilevanza probatoria, laddove, al contrario, un consulente tecnico d’ufficio avrebbe potuto compiere indagini presso l’agenzia delle entrate o presso le agenzie immobiliari e quantificare così l’ammontare dei danni subiti dalla convenuta. Ne consegue che, non avendo la corte assecondato la richiesta di consulenza tecnica di ufficio, ha impedito alla convenuta di assolvere all’onere della prova.
7. Il motivo è infondato. La consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. n. 30218 del 2017).
8. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1552 e 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto fondato il motivo d’appello relativo al giudizio di compensazione effettuato dal tribunale tra le ragioni di parte attrice, privata della superficie destinata a parcheggi interrati, e quella di parte convenuta, cui spettava una metratura aggiuntiva rispetto a quanto edificato in ragione della maggiore cubatura realizzata, laddove, in realtà, in base alle clausole contenute nel paragrafo 3 del contratto di permuta, da interpretare avendo riguardo alla comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, i permutanti avevano il diritto di ottenere il 26% della consistenza immobiliare realizzata, indipendentemente dal fatto che si trattasse di parcheggio interrato o di altri manufatti, sicchè correttamente il tribunale, in attuazione delle clausole contenute nel contratto di permuta, aveva provveduto ad attribuire le superfici ed i volumi effettivamente realizzati alle parti contraenti.
9. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362-1363, 1367 e 1418 c.c. e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha condiviso l’opinione del giudice di primo grado, che aveva riferito la misura spettante agli attori del 26% alla superficie planimetrica di cui alla due concessioni succedutesi nel tempo, ed ha, quindi, attribuito agli attori la maggior superficie di mq. 172,06, omettendo, in tal modo, di considerare che, già nel giudizio di prime cure, come in quello d’appello, la CIDAC aveva eccepito che la superficie realizzata in più, rispetto alla planimetrie assentite con le due concessioni, non poteva rientrare nella percentuale di permuta del 26% spettante agli appellanti in quanto non assentita dal Comune e, quindi, incommerciabile, come emerge dal certificato del Comune di Formia, che attesta il mancato rilascio della concessione in sanatoria e che la corte d’appello ha completamente omesso di esaminare.
10. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. L’interpretazione di un atto negoziale è, in linea di principio, un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che, ratione temporis, nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del cd. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dagli artt. 1362 c.c. e segg. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.; Cass. n. 7927 del 2017). Nel caso in esame, la ricorrente, per un verso, non ha dedotto con la dovuta specificità quali fatti, oggetto di discussione tra le parti e decisivi ai fini della decisione, la corte d’appello abbia trascurato di esaminare nell’interpretazione del contratto intercorso tra le parti e, per altro verso, non ha chiarito in quale modo il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali d’interpretazione previsti dagli artt. 1362 c.c. e segg., che pure ha invocato. Eppure, com’è noto, “in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità” (Cass. n. 27136 del 2017). D’altra parte, “per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 6125 del 2014).
11. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la domanda, con la quale la CIDAC aveva chiesto che fossero dichiarate di sua proprietà tutte le unità del fabbricato a/1 eccedenti la percentuale del 26%, in quanto non riproposta nelle conclusioni rassegnate all’udienza del 12/5/2005, doveva ritenersi abbandonata. Sennonchè, ha osservato la ricorrente, il trasferimento alla CIDAC della superficie e delle volumetrie eccedenti il 26%, e cioè il residuo 74%, era pacifico ed incontestato tra le parti. Gli stessi attori hanno riconosciuto l’appartenenza alla CIDAC delle unità immobiliari eccedenti la percentuale del 26%. La CIDAC, poi, ha richiesto, in prime cure e poi in appello, il risarcimento dei danni per non avere gli attori provveduto alla cessione in proprietà in suo favore delle unità immobiliari eccedenti il 26%. La domanda volta a far dichiarare di proprietà della CIDAC tutte le unità del fabbricato A/1 eccedenti il 26% era stata proposta nella comparsa di risposta del giudizio di primo grado, riproposta nella memoria del 27/2/2002 e richiamata nel verbale di udienza del 26/11/2002, mentre nelle comparse conclusionali del 12/9/2003 e nella memoria di replica del 30/9/2003 è esplicito il richiamo alle conclusioni già precisate. Ne consegue, ha concluso la ricorrente, che, alla luce delle circostanza prima esposte, deve ritenersi superata la presunzione di abbandono della domanda non riproposta all’udienza di precisazione delle conclusioni.
12. Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. n. 1754 del 2007; Cass. n. 1603 del 2012; Cass. n. 15860 del 2014; Cass. n. 17875 del 2015), affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, dovendosi, invece, necessariamente accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte ovvero dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa. L’accertamento relativo alla sussistenza, o meno, di un contegno processuale complessivamente idoneo a superare tale presunzione, è rimesso, tuttavia, in via esclusiva al giudice di merito, al quale soltanto, in effetti, spetta di interpretare la volontà delle parti (Cass. n. 12482 del 2002; Cass. n. 10569 del 2004). Nel caso di specie, escluso ogni rilievo agli atti processuali cui la ricorrente ha fatto riferimento, non avendone riprodotto il contenuto in ricorso nè indicato la precisa collocazione tra gli atti del giudizio di merito, la Corte rileva come il giudice distrettuale, dopo aver accertato, in fatto, che la domanda con la quale la CIDAC aveva chiesto che fossero dichiarate di sua proprietà tutte le unità del fabbricato A/1 eccedenti la percentuale del 26%, non era stata riproposta nelle conclusioni precisate all’udienza del 12/5/2005, e che la stessa CIDAC non avesse dedotto alcunchè in ordine all’attribuzione delle unità immobiliari eccedenti la percentuale del 26% nelle scritti conclusionali, ha correttamente e coerentemente ritenuto che, alla luce della complessiva condotta processuale della parte, la domanda in questione, in quanto non riproposta, doveva ritenersi, in realtà, abbandonata. Nè può valere la circostanza che la società convenuta aveva domandato, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni conseguenti al mancato (come dedotto in ricorso, p. 12) o tardivo (come precisato, peraltro inammissibilmente, nella memoria illustrativa, p. 12) trasferimento in suo favore delle unità immobiliari di sua spettanza, se non altro perchè l’attivazione di una siffatta pretesa non implica affatto, quale suo necessario antecedente logico, la domanda di ottenere l’attribuzione in proprietà di quest’ultime al punto che la proposizione della prima non possa che determinare, ancorchè non riproposta, la proposizione della seconda.
13. Il ricorso principale dev’essere, quindi, accolto, limitatamente al primo motivo, rigettati gli altri, ed, in relazione a tale motivo, la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
14. Con il primo motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, oltre che degli artt. 1346 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la natura abusiva dei garage sottostanti l’edificio A/1 costituisse causa ostativa all’accoglimento del gravame proposto dagli appellanti in quanto volto ad ottenere il trasferimento in loro favore di detti garage, laddove, in realtà, gli appellanti, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, sono già proprietari, per accessione, dell’intero fabbricato A/1, che è sorto su un terreno rimasto di loro proprietà, chiedendo, quindi, che la CIDAC fosse condannata non già al trasferimento, quanto alla consegna dei garage realizzati sotto il predetto fabbricato. La corte d’appello, tuttavia, si è pronunciata sulla domanda di trasferimento di tali garage, che però gli appellanti non avevano proposto, mentre ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di consegna dei garage, che non integra la violazione delle norme sulla commercializzazione degli immobili abusivi.
15. Il motivo è infondato. Intanto, non risulta in alcun modo che il thema decidendum, così come incontestatamente ricostruito nella sentenza impugnata, abbia riguardato la consegna dei garage realizzati in favore degli appellanti sul presupposto che gli stessi, in quanto edificati al di sotto di un edificio del quale sono rimasti proprietari, sono già di loro proprietà. Ed è, invece, noto che i motivi del ricorso per cassazione devono riguardare questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001). Secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004), pertanto, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. I controricorrenti, del resto, si dolgono, a ben vedere, dell’interpretazione che la corte d’appello ha dato della domanda dagli stessi proposta, che avrebbe avuto ad oggetto la mera consegna e non anche il trasferimento dei predetti garage. Ed è, tuttavia, noto che, in tema d’interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione (Cass. n. 16057 de 2016): ciò che, nel caso di specie, non è accaduto. D’altra parte, come è noto, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Cass. n. 26159 del 2014).
16. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le pari, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di indennizzo per la ritardata consegna dei garage realizzati e di risarcimento del danno conseguente alla mancata realizzazione della restante parte sul rilievo che la CIDAC aveva correttamente omesso di realizzare l’opera “trattandosi di manufatto preventivamente non assentito dal Comune”, in tal modo, però, omettendo di esaminare elementi probatori regolarmente acquisiti al processo che, se valutati, avrebbero determinato una decisione diversa da quella adottata e, sul punto, favorevole agli appellanti. La corte, infatti, ha del tutto omesso di esaminare le dichiarazioni rese dal consulente tecnico d’ufficio, il quale, infatti, ha evidenziato che gli Z. avevano consegnato tutto il terreno oggetto dell’accordo, e cioè 2.463 mq venduti alla CIDAC e 1.231 mq per la realizzazione del fabbricato A/1 sicchè, essendo stato il progetto approvato sull’intera superficie a disposizione, non era obbligo degli Z. presentare al Comune un nuovo progetto per ottenere una nuova concessione sulla minor superficie assertivamente messa a disposizione.
17. Il motivo è infondato. Premesso che, a ben vedere, tanto i controricorrenti, quando affermano di aver messo a disposizione della CIDAC tutto il terreno per il quale si erano impegnati, e cioè 2.463 mq ed 1.231 mq, quanto il consulente tecnico d’ufficio, quando rileva che il terreno era stato consegnato solo parzialmente, e cioè per 3.694 mq., concordano sulla medesima estensione del terreno effettivamente consegnato alla CIDAC, rileva la Corte che la sentenza impugnata, in quanto depositata dopo l’11/9/2012, è assoggettata all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 del 2014), tale norma consente di denunciare in cassazione solo l’anomalia motivazionale che – relativamente al solo giudizio di fatto – si tramuta in una violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi (che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza) in cui tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione), al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo come omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017). Nel caso in esame, i controricorrenti hanno indicato, quale fatto che le corte d’appello avrebbe trascurato di esaminare, l’avvenuta consegna del terreno nella misura complessivamente dovuta, pari, come detto, a mq. 3.694. In realtà, come detto, si tratta di un fatto che il giudice di merito ha senz’altro esaminato quando, in particolare, riportando le conclusioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio, ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che, in considerazione proprio della (minor) estensione del terreno messo a disposizione della CIDAC, per mq. 3.694, ha tratto, in modo logicamente coerente, la conclusione che la realizzazione dei parcheggi interrati avrebbe richiesto una nuova concessione edilizia e che, dunque, in difetto della stessa, la CIDAC aveva correttamente omesso di realizzare l’opera “trattandosi di manufatto previamente non assentito dal Comune”. Ed è noto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora, come nel caso di specie, il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. SU n. 8053 cit.; Cass. n. 9253 del 2017). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile, invero, ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (Cass. n. 11176 del 2017). Ed è noto che non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
18. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, i controricorrenti, lamentando la violazione degli artt. 75,182 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha erroneamente indicato, quale parte del processo, la CIDA s.r.l. in luogo della CIDAC s.r.l. in liquidazione, così come citata in giudizio, sia in primo, che in secondo grado, dagli attori, in tal modo violando le norme che presiedono alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nonchè al controllo sulla regolare costituzione delle parti ed ai poteri di rappresentanza delle persone giuridiche ed alla loro capacità processuale.
19. Il motivo è infondato. La pronuncia della sentenza resa dalla corte d’appello nei confronti della CIDAC s.r.l., in luogo della CIDAC s.r.l. in liquidazione, dà luogo, in mancanza di dubbio sulla identità della parte in causa, ad un mero errore materiale, del tutto privo di rilievo giuridico.
20. Il ricorso incidentale è, quindi, infondato.
21. La Corte dà atto, relativamente al ricorso incidentale, della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte così provvede: accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri; rigetta il ricorso incidentale; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, anche ai fini delle spese del presente giudizio; dà atto, relativamente al ricorso incidentale, della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018
Codice Civile > Articolo 1218 - Responsabilita' del debitore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1346 - Requisiti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1363 - Interpretazione complessiva delle clausole | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1367 - Conservazione del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1418 - Cause di nullita' del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1552 - Nozione | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 75 - Capacita' processuale | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 83 - Procura alle liti | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 189 - Rimessione al collegio | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 366 - Contenuto del ricorso | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 370 - Controricorso | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 372 - Produzione di altri documenti | Codice Procedura Civile