LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15976-2017 proposto da:
M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 267, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PUGLIESE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO SANTORO;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso l’AREA LEGALE dell’Istituto medesimo, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI GIACOMO TOMMASO ZUCCARINO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 267, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PUGLIESE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO SANTORO;
– controricorrente al ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 296/2016 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 16/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/07/2018 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.
RILEVATO
che, con sentenza del 16 dicembre 2016, la Corte di Appello di Campobasso confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da Poste Italiane s.p.a. nei confronti di M.D. ed intesa: a) all’accertamento della legittimità della sanzione conservativa (sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni) irrogata al M. in data 10 maggio 2012 a seguito del riscontro di un ammanco di cassa presso l’ufficio di ***** ed attribuito al dipendente in esito alle verifiche ispettive confortate dalla stessa ammissione del fatto da parte del responsabile; b) alla condanna del M. alla restituzione dell’ammontare del detto ammanco pari ad Euro 3.800,00;
che, ad avviso della Corte territoriale, correttamente il primo giudice: aveva ritenuto tardiva la contestazione dell’addebito con conseguente inefficacia della sanzione irrogata; aveva respinto la domanda di restituzione in quanto, fondandosi il presente giudizio sulla affermazione della legittimità della sanzione, conformemente al principio del “chiesto e pronunciato” il M. non era stato condannato alla restituzione che avrebbe dovuto essere chiesta “nel contesto di un ordinario accertamento della illiceità del fatto in sè dell’appropriazione da parte del dipendente…”; aveva compensato le spese di lite (statuizione questa oggetto di appello incidentale da parte del M.) considerato che l’appellante aveva opposto un suo diverso opinamento e non ragioni concrete valevoli ad incidere sulla motivazione del primo giudice tanto più condivisibile in considerazione del fatto che l’irrogazione della sanzione disciplinare era conseguita ad un fatto illecito in sè accertato;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso principale il M. affidato ad un unico motivo cui resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso e spiegando ricorso incidentale fondato su tre motivi al quale resiste con controricorso il M. e propone ricorso incidentale affidato ad un motivo;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il M. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui insiste per l’accoglimento del ricorso principale e di quello incidentale da lui proposto e per il rigetto del ricorso incidentale di Poste Italiane.
CONSIDERATO
che con l’unico motivo del ricorso principale si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 161 c.p.c., degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) per avere la Corte di appello erroneamente e con una motivazione del tutto apparente, illogica ed incoerente rigettato l’appello incidentale con il quale era stata censurata la compensazione delle spese di lite disposta dal primo giudice e motivata dalla “complessità istruttoria della vicenda” evidenziandosi come tale circostanza non integrava quelle “gravi ed eccezionali ragioni” in presenza delle quali era ammessa la compensazione dall’art. 92 c.p.c. nella formulazione ratione temporis applicabile alla fattispecie (giudizio introdotto con ricorso depositato il 5 giugno 2012), nè tantomeno ricorreva una ipotesi di soccombenza parziale essendo stata la domanda di Poste Italiane integralmente rigettata;
che il motivo è infondato in quanto la Corte di appello correttamente ha ritenuto che il Tribunale avesse esercitato il potere discrezionale di compensare le spese di lite in modo conforme al dettato dell’art. 92 c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie) in considerazione della “complessità istruttoria della vicenda”. Vale ricordare che le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione ed in presenza delle quali – o, in alternativa alle quali, della soccombenza reciproca il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio, devono trovare puntuale riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass. n. 14411 del 14/07/2016; Cass. n. 26987 del 15 dicembre 2011) e comunque devono essere appunto indicate specificamente (Cass., n. 15413 del 13 luglio 2011Cass. n. 21521 del 20 ottobre 2010. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare che “l’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorchè concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche”” (Cass. Sez. Un., n. 2572/2012). Orbene, nel caso in esame tali “gravi ed eccezionali ragioni” sono state individuate specificamente nella “complessità istruttoria della vicenda” valutazione questa che, come rilevato dalla Corte d’appello, non era stata neppure adeguatamente censurata dalle argomentazioni dell’appellante. Peraltro, la motivazione del giudice del gravame non è apparente, come pure sostenuto nel motivo, nè contiene insanabili contraddizioni tali da renderla inesistente;
che con il primo motivo del ricorso incidentale di Poste Italiane si deduce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) per avere il giudice del gravame erroneamente considerato tardiva la contestazione dell’addebito disciplinare senza tenere conto del fatto che era intervenuta in data 3 febbraio 2012 a soli due mesi dal 21 novembre 2011, giorno in cui era stato rilevato l’ammanco di cassa e la falsificazione delle firme, e solo il 10 gennaio 2012 era stata consegnata la relazione ispettiva, che la ricostruzione della vicenda era stata complessa (come, peraltro, comprovato dal fatto che, in sede penale, la Corte di appello aveva riformato la decisione di primo grado di assoluzione accertando la falsità delle sottoscrizioni) e neppure aveva considerato le dimensioni aziendali di Poste Italiane; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo la Corte di appello omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame concernente la eccepita decadenza del M. dalla facoltà di eccepire la tardività della contestazione disciplinare essendosi costituito tardivamente in primo grado e dopo che ne era stata dichiarata la contumacia; con il terzo motivo si lamenta omessa pronuncia riguardo alla domanda di restituzione della somma di Euro 3.800,00 pari all’ammanco di cassa accertato, domanda del tutto autonoma rispetto a quella con la quale era stato chiesto l’accertamento della legittimità della sanzione disciplinare ed erroneamente ritenuta dalla Corte di appello fondata sul presupposto della affermazione di validità ed efficacia della sanzione disciplinare e senza considerare che lo stesso M. si era impegnato a restituire detta somma anche sell’aveva mai restituita;
che il primo motivo è inammissibile in quanto la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustifichino o meno il ritardo nella contestazione è riservato al giudice del merito ragion per cui non può essere nuovamente sollecitata in questa sede (Cass. n. 20719 del 10/09/2013; Cass. n. 15649 del 01/07/2010; Cass. n. 18711 del 06/09/2007Cass. n. 241 del 11/01/2006);
che il secondo motivo è infondato in quanto la Corte di appello valutando nel merito la tempestività della contestazione disciplinare la ha, sia pure implicitamente, ritenuta ammissibile come, peraltro, già deciso dal Tribunale;
che il terzo motivo è inammissibile alla luce del principio secondo cui “L’omessa pronuncia su un motivo di appello e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicchè, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.” (Cass. n. 6835 del 16/03/2017; Cass. n. 22759 del 27/10/2014). Peraltro, è stato anche chiarito che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. (Cass. n. 17931 del 24/07/2013). Orbene, nel motivo all’esame non vi è alcun riferimento alla nullità della sentenza;
che infine, inammissibile è il ricorso incidentale proposto dal M. e fondato su un motivo con il quale ha dedotto la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo dell’appello incidentale con il quale era stata censurata la decisione del primo giudice per carenza di motivazione sulla richiesta di rimessione in termini a causa della eccepita nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio. Ed infatti, per costante orientamento di questa Corte la proposizione del ricorso principale per cassazione determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che il ricorrente, ricevuta la notificazione del ricorso proposto da un’altra parte, non può introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti, nè ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso mediante un successivo ricorso incidentale, che, se proposto, va dichiarato inammissibile, pur restando esaminabile come controricorso nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l’impugnazione avversaria. (Cass. n. 9993 del 16/05/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 2568 del 22/02/2012);
che, pertanto, in parziale dissenso dalla proposta del relatore, va rigettato il ricorso principale e quello incidentale di Poste Italiane s.p.a. e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del M.;
che le spese del presente giudizio di legittimità stante la reciproca soccombenza vanno compensate tra le parti;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal citato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale di Poste Italiane s.p.a., dichiara inammissibile il ricorso incidentale di M.D.; compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018
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