LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13466/2017 proposto da:
A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PELLEGRINO MATTEICCI 41, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PITITTO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE PASQUINO;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA, NICOLA VALENTE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1646/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 26/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/06/2018 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.
RILEVATO
che con sentenza del 26 novembre 2016, la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della decisione del Tribunale di Vibo Valentia, rigettava la domanda proposta da P.A. nei confronti dell’INPS, avente ad oggetto il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto che erroneamente il primo giudice non si fosse conformato alle conclusioni del CTU, che aveva escluso la sussistenza del requisito sanitario, conclusioni del resto non contestate dalle parti;
che per la cassazione di tale decisione ricorre A.M., coniuge dell’originario istante qualificatasi erede del medesimo, nel frattempo deceduto, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al Decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, deduce la nullità dell’impugnata sentenza inficiata dall’error in procedendo dato dalla concessione all’Istituto di un nuovo termine per la notifica dell’atto di appello al procuratore domiciliatario effettivamente costituitosi in primo grado in difesa del P.;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 421 c.p.c., la ricorrente riformula la medesima censura concernente la nullità della sentenza a motivo del predetto error in procedendo, sotto lo specifico profilo del contrasto di quanto disposto con la ritenuta inesistenza e non mera nullità della notifica;
che peraltro risulta preliminare, anche in considerazione dell’eccezione a riguardo sollevata dall’INPS, la verifica della legittimazione attiva della ricorrente, A.M., dalla stessa fondata sulla dichiarata qualifica di erede qui suffragata dalla produzione del certificato di morte del coniuge, originario ricorrente, e dall’autodichiarazione del proprio stato di famiglia;
che la predetta documentazione – alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 12065/2014e da ultimo Cass. n. 11276/2018) per il quale ai fini della prova, cui è tenuto il ricorrente, in ordine al decesso della parte originaria e alla sua qualità di erede di quest’ultima, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 46 e 47, non costituisce di per sè prova idonea di tale qualità, dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c., come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 14, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere – deve ritenersi inidonea ai fini di quella prova atteso che, il comportamento della ricorrente, limitatasi nel ricorso notificato alla controparte alla mera dichiarazione della propria qualità di erede non sostenuta da adeguate allegazioni e produzioni, neppure successive secondo la previsione dell’art. 372 c.p.c., non vale a contrastare l’eccezione di difetto di legittimazione su quella base puntualmente sollevata dall’INPS;
che, sempre alla luce del richiamato orientamento, ne consegue l’inammissibilità del ricorso;
che, pertanto parzialmente discostandosi dalla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile senza attribuzione di spese per esserne la ricorrente esonerata ex art. 152 disp. att. c.p.c., dandosi atto dell’insussistenza allo stato dei presupposti per l’addebito ala ricorrente, ammessa al patrocinio a spese dello stato, per il versamento dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018
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