LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10130/2018 proposto da:
S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO MONTALTO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CAGLIARI;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositato il 14/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE.
RILEVATO
– che è proposto ricorso avverso il decreto del Tribunale di Cagliari del 14 febbraio 2018, il quale ha respinto il ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;
– che non svolge difese il Ministero intimato;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
– che il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, in quanto il tribunale avrebbe dovuto attuare poteri officiosi per comprendere se sussistesse il pericolo di violenze psicologiche oltre che fisiche per il richiedente;
– che il secondo motivo censura la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto fatti inadeguati per la concessione delle prime due misure ben possono integrare i presupposti della protezione umanitaria, mediante adeguata cooperazione probatoria;
– che i motivi sono manifestamente inammissibili, per la loro stessa genericità non attaccando affatto la congrua ed estesa motivazione del decreto impugnato;
– che, invero, il decreto impugnato ha: a) anzitutto, dato atto di avere espletato l’udienza, non essendo stato trasmessa la videoregistrazione dell’audizione espletata nel corso del procedimento amministrativo; b) ritenuto irrilevante la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, conv. nella L. n. 46 del 2017, avendo celebrato l’udienza come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11; c) i fatti narrati, ove anche fossero credibili, non integrano la fattispecie di protezione internazionale per lo status di rifugiato: avendo egli narrato di essere nato e cresciuto in Gambia, paese da cui si è allontanato temendo che la matrigna potesse colpirlo con degli incantesimi per “farlo diventare matto”; d) la doglianza di superficialità nella sua audizione e di sinteticità del relativo verbale è del tutto generica ed inammissibile, nè avendo il ricorrente indicato quali fatti gli sarebbe stato impedito così di esporre, o minimamente indicato altri fatti neppure in sede di udienza; e) la pretesa di protezione per non godere egli in Gambia delle stesse libertà democratiche previste dalla Costituzione italiana è destituita di fondamento, oltre al fatto che in detto paese è stata ora rovesciata la dittatura e ripristinata la democrazia, nè egli indica nessuna situazione di vulnerabilità individuale; f) circa la protezione per motivi umanitari, il ricorrente non ha neppure allegato i motivi che ne integrerebbero il diritto, non essendosi nemmeno integrato, inoltre, il medesimo nel Paese ospitante, non parlando la lingua italiana, non percependo un reddito nè avendo ivi instaurato rapporti affettivi, limitandosi ad affermare di giocare in un’associazione sportiva dilettantistica in via provvisoria, ossia per una sola stagione; ed essendo comunque detto permesso relativo a periodi brevi e limitati, non certo avente quale presupposto la prospettiva di una futura integrazione, ma dovendo servire ad impedire un pregiudizio qualificato dalla lesione ad un diritto fondamentale, non a promuovere positivamente il miglioramento delle condizioni lavorative e di vita;
– che, in definitiva, il giudice del merito ha compiutamente approfondito l’esame in fatto della situazione, nel pieno rispetto dei principi enunciati da questa Corte in materia, dilungandosi in una motivazione accurata ed esauriente nell’esporre le ragioni che hanno portato alla decisione di rigetto del ricorso: onde si tratta, dunque, di valutazioni prettamente discrezionali rimesse al giudice di merito;
– che non occorre provvedere sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018