Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28232 del 06/11/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15690/2016 proposto da:

D.M.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE MARRA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P. SERVICE S.R.L., e F.LLI P. E C. S.R.L., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, domiciliate in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato CLAUDIO CIANCIO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3179/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/04/2016 R.G.N. 3615/2015;

Udita, all’adunanza camerale non partecipata del 13 aprile 2018, la relazione della causa fatta dal giudice designato dr. Cristiano Valle.

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

con sentenza pubblicata il 19 aprile 2016 la Corte di appello di Napoli, sezione lavoro, ha rigettato l’impugnazione proposta da D.M.D. avverso la sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, giudice del lavoro, di rigetto dell’impugnativa di licenziamento – irrogatogli il 9 novembre 2012 dalla P. Service s.r.l. – e proposta dal lavoratore nei confronti della P. Service s.r.l. e della F.lli P. & C. S.r.l.;

avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione D.M.D., censurandola con plurimi motivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1,comma 47 e segg., e art. 2697 c.c., e segnatamente per: computo errato del numero complessivo dei dipendenti delle due società, da considerare quale un unico centro di imputazione, per mancata disamina di tutti i motivi di appello, per omessa valutazione della prova per testi espletata in prime cure, per non avere valutato l’omessa affissione del codice disciplinare, per inesatto computo dei giorni di ferie spettanti e mancata imputazione di essi ai giorni di assenza, per mancata specificazione delle ragioni del recesso da parte del datore di lavoro;

la P. Service s.r.l. e la F.lli P. & C. s.r.l. hanno resistito con distinti controricorsi;

nell’imminenza dell’adunanza camerale la difesa del solo ricorrente ha depositato memoria;

ritenuto che:

i motivi, che presentano evidenti profili di inammissibilità, in quanto proposti mediante mera giustapposizione dell’uno all’altro e senza un preciso ordine logico, con evidente sottoposizione al giudizio di questa Corte di questioni di fatto, possono essere congiuntamente esaminati, stante la loro connessione;

essi sono, in disparte i tratteggiati profili di inammissibilità, infondati;

la sentenza impugnata ha affermato, in aderenza a orientamento di questa Corte (Cass. n. 18166 del 2013 e, in precedenza, n. 9816 del 2008), che il lavoratore non può imputare le ferie ancora da fruire ai giorni di assenza, disattendendo in tal modo, con esaustiva motivazione, l’affermazione del D.M., dell’essergli stato assicurato, dal datore di lavoro, che sarebbe potuto giungere alla pensione senza più dovere prestare attività lavorativa, fruendo delle ferie arretrate;

la sentenza gravata ha ritenuto irrilevante l’affissione del codice disciplinare, in quanto la causa del recesso datoriale era da individuarsi nelle previsioni di legge generale e speciale ossia nell’art. 2119 c.c., e L. n. 604 del 1966, art. 3, sul punto si veda la oramai costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 19306 del 2004), alla quale il collegio intende dare seguito, secondo la quale “la pubblicità del codice disciplinare, necessaria, in ogni caso, al fine della validità delle sanzioni disciplinari conservative, non è necessaria al fine della validità del licenziamento disciplinare, qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, come definiti dalla legge, mentre è necessaria qualora lo stesso licenziamento sia intimato per specifiche ipotesi giustificatrici del recesso previste da normativa secondaria, collettiva o legittimamente posta dal datore di lavoro” e che la contestazione del licenziamento (concretandosi nell’esposizione delle ragioni di fatto, ossia nella prolungata assenza dal posto di lavoro senza alcuna giustificazione) fosse già esaustiva, venendo in tal modo meno l’obbligo di rendere noti i motivi, di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2;

la pronuncia della corte territoriale ha, altresì, correttamente escluso violazione derivante dalla mancata assegnazione della causa di opposizione – nell’ambito del rito disegnato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47 e segg., – ad un giudice diverso da quello che aveva trattato la fase sommaria, richiamando la giurisprudenza costituzionale (e segnatamente la sentenza n. 78 del 2015 della Corte Costituzionale; in precedenza questa Corte aveva già escluso la necessità dell’assegnazione a giudici diversi: Cass. n. 3136 del 2015);

la sentenza gravata ha, infine, esaustivamente escluso che nel caso di specie, trattandosi di licenziamento disciplinare, dovesse essere esperita la procedura di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 7, (come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1,comma 40), applicabile ai soli licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati da datori di lavoro aventi numero di dipendenti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 8, e, quindi, pari o superiore a quindici;

il ricorso è, pertanto, rigettato, con regolazione delle spese di lite – in favore di ciascuna delle due società convenute secondo soccombenza;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve, inoltre, darsi atto – in mancanza di qualsiasi margine di discrezionalità giudiziale – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in favore di ciascuna delle società convenute in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro, il 13 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472