LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13087-2017 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 132, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CURRO’, rappresentato difeso dall’avvocato CARMELITA ALVARO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
e contro
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1164/2016 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 17/11/2016, R.G.N. 28/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/07/2018 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato PATRIZIA AVERAINO per delega CARMELINA ALVARO.
FATTI DI CAUSA
1. M.M., già dirigente del Dipartimento Sanità Territoriale della Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, aveva convenuto in giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria per ottenere il riconoscimento del diritto ad essere reintegrato nella funzione di dirigente del Dipartimento Sanità Territoriale con effetti giuridici ed economici dal mese di luglio del 2001.
2. Il Tribunale respinse tale domanda e la Corte di Appello di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto dal M..
3. La Corte territoriale, pur escludendo che i crediti azionati si fossero estinti per prescrizione, ha ritenuto che la deliberazione n. 889 del 2003, che aveva annullato la Delib. 27 giugno 2001, n. 1223 di soppressione del Dipartimento Sanità Territoriale, costituisce atto di macroorganizzazione di diritto privato, sicchè rispetto ad esso non veniva in rilievo l’esercizio di poteri pubblici di annullamento di ufficio di atti amministrativi con efficacia “ex tunc” ma l’esercizio di poteri di autotutela di natura privatistica.
4. La Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la circostanza che la deliberazione n. 1223 del 2001 non fosse stata approvata dalla Giunta Regionale in quanto, in conformità alla L.R. Calabria n. 2 del 1996, art. 12 si era formato il silenzio assenso sulla sua approvazione.
5. Avverso questa sentenza M.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
6. La Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Sintesi dei motivi.
7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale rigettato la sua domanda sulla base di una eccezione (inefficacia retroattiva dell’atto aziendale n. 889 del 2003) mai sollevata dalla parte e non rilevabile di ufficio.
8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed erronea applicazione ed interpretazione della L. n. 241 del 1990 e delle L.R. Calabria n. 2 del 1996 e L.R. n. 11 del 2004.
9. Il ricorrente, richiamata la natura e la funzione dell’atto aziendale che disciplina l’organizzazione ed il funzionamento dell’Azienda, sostiene che: esso deve comunque rispettare la L. n. 241 del 1990 ed i principi generali che informano l’azione amministrativa; gli effetti del provvedimento n. 889 del 2003 di annullamento della Delib. 27 giugno 2001, n. 1223 hanno efficacia “ex tunc” perchè l’illegittimità colpisce l’atto sin dalla sua emanazione; l’illegittimità dell’atto aziendale annullato in sede di autotutela era stata ripetutamente affermata in sede giudiziaria con la conseguenza che l’Azienda avrebbe potuto eleminarne gli effetti lesivi sotto retroattivamente; la Delib. n. 889 del 2003, che aveva annullato con efficacia retroattiva, la Delib. n. 1223 del 2001 di soppressione illegittima del Dipartimento di Sanità Territoriale, era legittima anche perchè l’atto aziendale del 2001, annullato, deve considerarsi inesistente in quanto privo della necessaria approvazione da parte della Giunta Regionale.
10. Il ricorrente richiama la Delib. Regionale 28 maggio 2002, n. 459 che aveva previsto, nelle more dell’Approvazione del Piano Sanitario Regionale, la sospensione degli atti aziendali adottati dalle azienda sanitarie locali ed ospedaliere nella parte in cui prevedevano l’istituzione di nuovi posti letti, unità operative e incrementi delle dotazioni organiche, precisando che si faceva riferimento agli atti aziendali formalmente approvati con Delib. Giunta Regionale.
Esame dei motivi.
11. Il primo motivo è inammissibile perchè il ricorrente, in violazione delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, non ha riprodotto nel ricorso, nelle parti salienti e rilevanti, gli atti del giudizio di merito, ed in particolare gli atti difensivi della odierna intimata, atti che non risultano allegati al ricorso e di cui non è nemmeno specificata la sede di produzione processuale.
12. Va, al riguardo, ribadito il principio ripetutamente affermato da questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo cui, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o, come nella fattispecie in esame, di un “error in procedendo”, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).
13. Il secondo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
14. Esso è infondato nella parte in cui il ricorrente deduce la violazione delle disposizioni contenute nella legge n. 241 del 1990 ed i principi che disciplinano l’attività amministrativa della Pubblica amministrazione.
15. Questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, con riferimento al Servizio Sanitario Nazionale, l’individuazione con atto del direttore generale della struttura operativa dell’azienda sanitaria locale è atto di macro organizzazione disciplinato dal diritto privato, a norma del già ricordato D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, diversamente da quanto previsto per le amministrazioni pubbliche in genere, in coerenza con il suo carattere imprenditoriale, strumentale al raggiungimento del fine pubblico dell’azienda (Cass. SSUU 15304/2014, 17783/2013, 2031/2008).
16. Va anche osservato che, in tema di rapporto di lavoro privatizzato, gli atti e procedimenti posti in essere dall’amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, secondo una precisa scelta legislativa (nel senso dell’adozione di moduli privatistici dell’azione amministrativa) che la Corte costituzionale (sentenze nn. 271 del 2001 e n. 11 del 2002) ha ritenuto conforme al principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. (Cass. 13800/2017, 19626/2015,19425/2013, 23741/2008).
17. Questa Corte nelle sentenze innanzi richiamate ha precisato che, esclusa la presenza di procedimenti e atti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi, ma il potere amministrativo autoritativo si trasforma in potere privato che si esercita mediante atti di natura negoziale che devono pertanto essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per il datore di lavoro privato, valutazione impedita nella fattispecie in esame per le ragioni in appresso indicate.
18. Il ricorrente, in violazione dei richiamati art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, richiama atti (le Delib. dell’Azienda n. 1223 del 1991, Delib. n. 899 del 2003 e Delib. n. 423 del 2004, la Delib. Regionale 28 maggio 2002, n. 459 la sentenza n. 1085 del 2003 del Tribunale di Palmi) il cui contenuto, nelle parti rilevanti, non è riprodotto nel ricorso, che non risultano allegati al ricorso e di cui non è indicata la sede di produzione processuale.
19. Sotto questo aspetto il motivo è inammissibile dovendo richiamarsi le considerazioni esposte nel punto n. 12 di questa sentenza.
20. Sulla scorta delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.
21. Non occorre statuire sulle spese del giudizio di legittimità in quanto l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, rimasta intimata, non ha svolto attività difensiva.
1. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso.
Nulla spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 12 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018