LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4177-2014 proposto da:
L.R., *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato IURI CHIRONI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 612/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/08/2013 R.G.N. 2564/2011.
RILEVATO
CHE:
La Corte di appello di Milano con la sentenza n.5487/2013 aveva accolto il ricorso di Poste italiane spa avverso la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva accolto la domanda di L.R., diretta alla declaratoria di nullità ed inefficacia del patto di prova e di conseguente illegittimità del licenziamento intimato a seguito del superamento del limite massimo di malattia consentito dal CCNL vigente durante il periodo di prova.
La Corte di appello aveva ritenuto che il pregresso rapporto di lavoro intervenuto tra le parti e regolato da contratti a tempo determinato (il primo nel 2003 con durata di circa tre mesi, il successivo con durata dal 1.2.2008 al 31.3.2008 ed il terzo dal 1.7.2008 al 13.9.2008) entrambi stipulati per l’attività di portalettere con assegnazione al CPD di *****, non fosse di impedimento alla validità del patto di prova inserito nel contratto a tempo indeterminato, intervenuto a distanza di circa un anno e mezzo dall’ultimo rapporto di lavoro, peraltro durato solo alcuni mesi (quasi cinque mesi). Rilevava il giudice di appello che, se pur le mansioni di portalettere fossero le medesime in tutti i contratti, era invece mutato il contesto sociale e lavorativo (più ampia la zona di recapito e diversi i rapporti con l’ambiente ed i colleghi, nonchè la lontananza dalla sede di residenza), al punto da determinare nella lavoratrice, dopo solo tre giorni di lavoro, sindrome ansioso-depressiva. Tali ragioni rendevano palese la legittimità del periodo di prova.
Avverso detta decisione la L. aveva proposto ricorso affidandolo a 3 motivi cui resisteva Poste Italiane con controricorso e successiva memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2096,2697,2727 e 2729 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Nullità della sentenza o del procedimento (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Deve premettersi che nello stesso motivo sono denunciati più profili di violazione e già tale modalità renderebbe la doglianza ai limiti della ammissibilità, non essendo specificate nel prosieguo della censura i singoli aspetti delle riportate violazioni.
Parte ricorrente deduce la errata valutazione della corte territoriale con riguardo alla apposizione del patto di prova rispetto al quale alcuna diversità era stata allegata dalla società datrice di lavoro rispetto alle precedenti mansioni svolte dalla lavoratrice, tale da giustificare la necessità della prova.
Val la pena premettere che nel contratto in oggetto era stato inserito il patto di prova della durata di tre mesi e che l’art. 20, comma 3 del CCNL Poste italiane prevede espressamente che il periodo di malattia interrompa il periodo di prova solo ove la malattia non superi il termine di trenta giorni di calendario. Nel caso di specie la ricorrente era stata assente per malattia per 31 giorni.
Le doglianze della lavoratrice riguardano la apposizione del patto dalla stessa ritenuto illegittimo in quanto relativo a mansioni identiche a quelle già svolte in precedenza per la società poste.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “La causa del patto di prova va individuata nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto. E’, peraltro, ammissibile il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti, purchè risponda alle suddette finalità, potendo intervenire nel tempo molteplici fattori, attinenti non solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o a problemi di salute” (Cass. n. 15960/2005).
Ha poi soggiunto che “Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l’illegittimità del ratto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute” (Cass. n. 10440/2012; conf. Cass. n. 15059/2015; Cass. n. 24409/2008);
I principi esposti evidenziano intanto la legittima apposizione del patto di prova anche in caso di reiterazione di più contratti aventi ad oggetto le medesime mansioni, purchè sia funzionale all’imprenditore per verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. Il lavoratore potrà altresì valutare la permanenza delle condizioni utili alla prestazione ed al sereno svolgimento della stessa.
Nel caso di specie le condizioni richiamate sono state correttamente considerate e valutate dal giudice del gravame. Invero, come anche affermato dalla stessa ricorrente in ricorso (pg 13), la società aveva allegato circostanze attinenti alla durata (breve) dei contratti a termine e alla breve durata della prestazione lavorativa. A tali allegazioni, (da sole comunque integrative della ragione appositiva del patto) ha poi aggiunto valutazioni inerenti il cambiamento della sede di lavoro (dato oggettivo che prescinde dalla diversa qualità della stessa), circostanza, questa, peraltro dedotta dalla società in sede di memoria di primo grado (pg. 7), congiuntamente alla diversa ampiezza degli ambiti lavorativi.
Alcuna fondatezza ha dunque la censura relativa alla carenza di allegazioni, atteso l’ampio spettro di ragioni considerate dalla corte territoriale fondate su allegazioni e dati oggettivi comunque interni al processo, costituenti apprezzamento di merito non più suscettibile di valutazione in questa sede. 2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2527 e 2529 c.c., dell’art. 3Cost., dell’art. 30 della carta di Nizza, della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 15, della L. n. 848 del 1955, del D.Lgs. n. 469 del 1997, art. 10, comma 8, del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3 (ex art. 360 c.p.c., n. 3). La nullità della sentenza o del procedimento (ex art. 360 c.p.c., n. 4 9. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 5).
Anche in questo motivo sono denunciati più profili di violazione e già tale modalità renderebbe il motivo ai limiti della ammissibilità, non essendo specificate nel prosieguo della censura i singoli aspetti delle riportate violazioni.
Si osserva peraltro che parte ricorrente richiama i riferimenti della decisione alla realtà territoriale di provenienza della lavoratrice (piccolo paese della provincia di Lecce posto in confronto con la realtà milanese), individuando in essi un fattore violativo delle norme in materia di discriminazione.
Il motivo risulta infondato poichè la corte d’appello ha fatto riferimento alle diversità territoriali in termini di differente ampiezza delle stesse e di distanza tra le stesse, per evidenziare possibili effetti sulla diversità della prestazione e sulla necessità di assoggettare quest’ultima ad una verifica di reciproca soddisfazione (non deve dimenticarsi che il patto di prova persegue una finalità di accertamento comune alle parti). Peraltro deve soggiungersi che la Corte ha posto a fondamento della propria valutazione circa la legittima apposizione del patto di prova in prima (e già esaustiva) battuta, la brevità dei precedenti rapporti, nonchè la distanza temporale dall’ultima prestazione, sicchè ogni ragione aggiuntiva risulta comunque irrilevante rispetto al primo punto della decisione.
3) con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2527 e 2529 c.c., dell’art. 32 Cost. e art. 2110 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3). La nullità della sentenza o del procedimento (ex art. 360 c.p.c., n. 4 9. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 5).
Ancora una volta nel motivo sono denunciati più profili di violazione e già tale modalità renderebbe il motivo ai limiti della ammissibilità, non essendo specificate nel prosieguo della censura i singoli aspetti delle riportate violazioni.
Parte ricorrente rileva che la Corte territoriale avrebbe fondato il decisum sulle condizioni personali della lavoratrice (origine territoriale) oltre che sulla circostanza che la stessa dopo soli tre giorni si fosse ammalata. La censura risulta poco chiarita nei suoi aspetti qualificanti e comunque assorbita da quanto sopra detto sia con riguardo alla primaria ragione della decisione assunta dalla Corte di merito (la brevità dei precedenti rapporti, nonchè la distanza temporale dall’ultima prestazione), che con riguardo al richiamo alle origini territoriali. Il motivo risulta infondato.
Il ricorso è infondato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018
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