Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.28253 del 06/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13318/2016 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE RICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA CAMPILII, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASSA NAZIONALE DT PREVIDENZA ED ASSITENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI;

– intimata –

Nonchè da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI, 44/46, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BERETTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTIA PERSIANI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE RICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA CAMPILII, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1150/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/11/2015, R.G.N. 269/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/09/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del controricorso incidentale;

udito l’Avvocato CAMPILII ANNA;

udito l’Avvocato BERETTA GIOVANNI.

FATTI DI CAUSA

1. D.M., premesso di essere titolare a decorrere dall’1.1.2006 di pensione di anzianità erogatale dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali (da qui Cassa), chiese la condanna di quest’ultima alla riliquidazione della prestazione, previa rideterminazione della quota “A”, in applicazione del criterio del pro rata relativo alle annualità anteriori all’1.1.2004 secondo il sistema retributivo in atto prima delle modifiche approvate dalla Cassa con la delibera 22.6.2002 e delle modifiche relative al cd. coefficiente di neutralizzazione.

2.11 Tribunale del lavoro di Reggio Emilia, sulla base dei conteggi rielaborati dalla ricorrente, condannò la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti commerciali a corrispondere alla ragioniera D. Euro 23.742,23 quali differenze sulla pensione di anzianità dal 1 gennaio 2006, sulla base della normativa vigente prima dell’entrata in vigore delle deliberazioni del Comitato dei Delegati della Cassa in data 22 giugno 2002 e 20 dicembre 2003, fondata sulla L. n. 414 del 1991, art. 2, ed art. 49 reg. esec. previgente, con il calcolo della quota “A” effettuato secondo un sistema di sub quote scandito in base alla media reddituale crescente con l’inclusione: di una prima sub quota relativa al periodo compreso dall’iscrizione alla Cassa al 30 giugno 1997, calcolata sui migliori dieci anni fra gli ultimi quindici; di una seconda sub quota in base alla media dei migliori dodici anni fra gli ultimi diciassette anteriori al pensionamento; di una terza sub quota relativa alla media dei migliori quattordici anni tra gli ultimi diciannove ed una quarta sub quota comprendente la media dei migliori quindici anni fra gli ultimi venti.

Tale sentenza fu appellata dalla Cassa, in via principale e dalla D. con appello incidentale per le sola compensazione delle spese.

3.La Corte d’Appello di Bologna, in parziale accoglimento dell’appello della Cassa sulla base della ritenuta illegittimità della modifica delle somme richieste con nuovi conteggi depositati dopo la prima udienza, calcolò la quota “A” considerando i migliori 15 redditi dichiarati negli ultimi 20 anni anteriori a quello di maturazione della pensione, rivalutati ai sensi della L. n. 414 del 1991, art. 17, e dell’art. 41 del reg.to di esecuzione e rigettò l’appello incidentale.

4. Per la cassazione della sentenza ricorre D.M. con due motivi. La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti commerciali ha proposto ricorso incidentale autonomo con un motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente principale deduce la violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5, e art. 420 c.p.c., comma 1, assumendo l’errore della Corte d’appello nel ritenere inammissibile la “emendatio libelli” effettuata dalla parte ricorrente in seguito alle difese avversarie. In particolare, la sentenza avrebbe errato nell’individuare il momento preclusivo di tale attività nella prima udienza di cui all’art. 183 c.p.c., anzichè nell’udienza di discussione di cui all’art. 420 c.p.c., comma 1.

2. Il secondo motivo del ricorso principale deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 329c.p.c., in quanto tra i motivi d’appello fatti valere dalla Cassa non vi era il profilo della decadenza della nuova quantificazione ma, solo, questioni di merito tra cui le divergenze relative ai principi giuridici per applicare il principio del “pro rata integrale”, per cui non avrebbe potuto la Corte d’appello riformare sul punto la sentenza di primo grado e, dunque, il giudizio di legittimità, con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., dovrebbe ripristinare la condanna adottata dal primo giudice.

3. I motivi del ricorso principale, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono infondati. In primo luogo, va osservato che, avendo la Cassa impugnato la sentenza di primo grado nel merito della decisione, proprio riguardo ai criteri di calcolo della quota “A” adottati dal Tribunale (che erano quelli utilizzati dalla D. nella rielaborazione dei propri conteggi), la questione processuale dell’ammissibilità della detta rielaborazione durante il giudizio di primo grado, essendo solo strumentale alla decisione, è rimasta inevitabilmente coinvolta nel merito della pretesa oggetto di giudizio per cui nessun giudicato interno poteva essersi formato e la Corte territoriale aveva pienezza di poteri di accertamento sul criterio di calcolo dedotto in fase d’appello.

5) Ciò premesso, va osservato pure osservato che la disposizione contenuta nell’art. 420 c.p.c., comma 1, secondo cui le parti possono – se ricorrono gravi motivi – modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice, presuppone che la relativa richiesta concreti una mera emendatio libelli, che non comporti, cioè, immutazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione e non introduca un tema di indagine completamente nuovo perchè concernente presupposti diversi da quelli prospettati con il ricorso introduttivo dell’attore o con la memoria difensiva del convenuto” (Cass. n. 13997/2007).

6. Inoltre, (Corte di cassazione, 10 marzo 2016, n. 4702), nel rito del lavoro, l’autorizzazione alla “emendatio libelli”, prevista dall’art. 420 c.p.c., può essere data dal giudice anche in forma implicita consentendo la formulazione, in sede di conclusioni, della domanda modificata, esaminandola e decidendola nel merito.

8. Nel caso di specie, da quanto si evince dalla lettura degli atti di causa riportati in ricorso principale, attraverso le note autorizzate dal Tribunale, la parte allora ricorrente prese posizione in ordine alle varie ipotesi di calcolo della quota “A” del trattamento pensionistico di cui fruiva, elaborate nella comparsa di costituzione di controparte e, conseguentemente, presentò al contempo i nuovi conteggi. Dunque, in effetti non si trattava di aspetti nuovi rispetto a quelli propri del tema di giudizio introdotto con il ricorso.

9. Tuttavia, la fondatezza del profilo ora trattato non conduce all’accoglimento del motivo giacchè, comunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare la questione del calcolo della quota “A”, essendone investita dall’appello della Cassa ed, avrebbe dovuto, come in definitiva ha fatto, pronunciarsi sul corretto sistema di calcolo della detta quota.

Ne deriva che in questa sede non assume particolare rilievo che alla decisione la Corte d’appello sia pervenuta ritenendo inammissibile il secondo conteggio; di ciò anche la ricorrente è consapevole giacchè ripropone alla pagina 38 del proprio ricorso gli argomenti assorbiti e cioè chiede l’affermazione della correttezza del proprio conteggio, fondato sull’integrale applicazione del principio del pro rata nel calcolo della quota “A”, come accertato dal Tribunale di Reggio Emilia.

10. Tale pretesa è infondata alla luce delle conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di questa Corte che ha indicato il corretto sistema di calcolo della quota “A” del trattamento pensionistico maturato anteriormente al 1.1.2007, interpretando il principio del pro rata, alla luce del disposto della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, nella sua formulazione originaria, che qui si intende ribadire fissando, al contempo, i tratti salienti dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità che ha ripetutamente trattato le questioni in esame.

11. Il potere regolamentare della Cassa e la legge. La soluzione della specifica questione poggia sulla preliminare determinazione della linea di demarcazione dell’esercizio dei poteri regolamentari della Cassa, posto che, più in generale, il rispetto del principio di autonomia riconosciuto agli enti previdenziali privati e la natura obbligatoria del regime assicurativo che gli stessi gestiscono comporta necessariamente una relazione con la fonte legislativa nei cui confronti esiste un obbligo di conformazione; la realizzazione del fine pubblico imposto dall’art. 38 Cost., è mediata dalla legge ed è, dunque, la legge che di volta in volta fissa i corretti parametri di riferimento dei poteri regolamentari e che impone ai medesimi la cifra della garanzia da riconoscere agli assicurati. In questo solco, dunque, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (tra le tante Cass. n. 24202 del 2009; n. 13602 del 2012; n. 24534 del 2013), è solida nell’affermare che:

a) la L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, indica i regolamenti di delegificazione come quelli “destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite” (Corte cost. n. 376 del 2002) e tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale, cosicchè la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione; pertanto, laddove il legislatore “delegante” ha inteso assegnare alla fonte subprimaria delegata anche il potere normativo di derogare a specifiche disposizioni collocate al superiore livello primario lo ha previsto espressamente;

b) il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, ha posto alle Casse “privatizzate” l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale. Per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di “sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti (cfr, Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto “anche in deroga a disposizioni di legge precedenti, ma in realtà le suddette disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit., non hanno affatto attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla citata L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicchè ad essi – e, quindi, anche all’emanando Regolamento della Cassa di previdenza ragionieri – non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse “privatizzate”, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che costituisce il riferimento normativo centrale per l’esito di questa controversia e che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate;

c) ciò del resto è dimostrato anche dal fatto che, quando è emersa l’opportunità di modificare tale disposizione, vi ha provveduto la legge (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763) e non il Regolamento della Cassa.

12. L’esercizio dei poteri regolamentari da parte della Cassa, a partire dal giugno 2002, è contestato dalla ricorrente principale in quanto il nuovo sistema di calcolo determina una diminuzione sull’ammontare delle pensioni rispetto a quello che sarebbe stato il risultato secondo il sistema precedente e, quindi, una minor misura di quella quota della pensione retribuiva, maturata fino al 31 dicembre 2003: di qui la controversia, con la quale sono state chieste le differenze di pensione, sostenendo che detta quota doveva invece essere mantenuta intatta in forza della la regola del pro rata sancita dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12.

12.1. La giurisprudenza di questa Corte, nell’interpretare tale norma nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763 (legge finanziaria 2007), ha affermato che:

– la garanzia costituita dal principio c.d. del pro rata – il cui rispetto è prescritto per le casse privatizzate ex D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti – ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse” (ex pluribus: Cass. sez. lav., 18 aprile 2011, n. 8846; Cass. sez. lav., 2 maggio 2011, n. 9621; Cass. sez. 6-L, 7 marzo 2012, n. 3613; Cass. sez. lav., 30 luglio 2012, n. 13607, Cass. sez. 6-L, 14 febbraio 2014, n. 3520; Cass. SS.UU. 17742 del 2015);

– il principio di cui si discute realizza una misura di salvaguardia che la legge n. 335/95 ha inteso porre al centro del proprio sistema nel momento in cui ha introdotto il sistema di calcolo c.d. contributivo per il quale la pensione deve essere calcolata, a regime, esclusivamente sulla base dei contributi effettivamente versati dal soggetto assicurato ed esso importa la gradualità del passaggio dal primo al secondo sistema;

– il principio, per quanto riguarda le Casse Private, ha determinato che i trattamenti di quiescenza riconosciuti dopo il 31/12/1995 a favore dei lavoratori iscritti ai medesimi Enti dovevano essere liquidati “nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate”; si è chiarito che l’autonomia attribuita alle Casse private nell’esercizio del potere di variazione stabilito dalla citata disposizione trova il doppio limite della tipizzazione per contenuto del tipi di provvedimento da adottare (variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico) e della cogenza del “rispetto del principio del pro rata” (Cass. 18.4.11 n. 8847; Cass. ord. 7.3.12 n. 3613; Cass. 29.10.12 n. 18556; Cass. n. 13607/12; Cass. n. 8559/12; Cass. n. 18558/12, Cass. n. 18479/12; Cass. nn. 13607/2012, 13613/2012, 13614/2012; Cass. SS.UU. n. 17742/2015);

13. Il calcolo della quota “A”. Quanto poi al concreto modello operativo di calcolo che scaturisce dalle superiori puntualizzazioni, in continuità con quanto già affermato da questa Corte (vd. ex plurimis Cass. n. 24534 del 2013), va ribadito che:

a) l’applicazione alla fattispecie in esame dei contenuti del principio del pro rata comporta che, rispetto al principio generale secondo cui il trattamento pensionistico va liquidato secondo le regole esistenti al momento della maturazione del diritto a pensione, va garantita la “posizione previdenziale” già maturata che si traduce concretamente nella fissazione di una clausola di non regresso a salvaguardia del mantenimento del diritto al montante complessivo della contribuzione già versata nel corso della vita lavorativa secondo un criterio sinallagmatico per cui l’ammontare della contribuzione accumulata ha un suo valore economico in termini di potenziale rendita vitalizia che non può essere sterilizzato dal legislatore;

b) poichè con le modifiche intervenute nel 2002 – 2003 si è passati dal sistema retribuivo a quello contributivo con l’introduzione di due quote di pensione – A (retributiva) e B (contributiva) – in simmetria con la riforma del 1995 (v. L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 12), al criterio di calcolo della quota A (retributiva) deve applicarsi il criterio del pro rata formulato dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, per cui all’anzianità già maturata corrisponde una quota di pensione (la quota A) calcolata secondo i previgenti (più favorevoli) parametri;

c) trattasi di regole strumentali alla liquidazione della pensione per cui è alla data di maturazione del medesimo diritto che occorre guardare per individuare le regole da applicare per il calcolo della quota A e, precisamente, vanno applicate le previsioni dell’art. 49 del Regolamento di esecuzione del 1997 (applicabile alle pensioni di anzianità in quanto richiamato dall’art. 50), in vigore al momento delle radicali modifiche del 2002 e del 2003, secondo cui: “La misura annua della pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media dei quindici redditi professionali annuali più elevati dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per gli ultimi venti anni solari di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione”;

d) non va, dunque, fatta applicazione di ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo (L. n. 160 del 1963, L. n. 1140 del 1970, L. n. 414 del 1991 e da ultimo dalle delibere del 2002-2003) ed i meccanismi previsti dal Regolamento del 1997 all’art. 49, commi nove ed 11 (applicabile alle pensioni di anzianità in quanto richiamato dall’art. 50) rivestono natura transitoria con esaurimento della propria efficacia all’interno dei periodi ivi considerati, in relazione alle pensioni liquidate sino al 1.7.2003;

14. Il ricorso incidentale autonomo. La Cassa, con l’unico motivo del ricorso incidentale autonomo, deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, per avere la Corte territoriale ritenuto che il c.d. “coefficiente di neutralizzazione” fosse soggetto al principio ivi sancito del rispetto del c.d. “pro rata”.

15. Il motivo è fondato. Oggetto del motivo è stabilire se i coefficienti di neutralizzazione restino anch’essi soggetti alla disciplina del pro rata, quale prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, (nel testo qui applicabile ed anteriore alle citate modifiche) o se restino estranei ad essa.

15.1 Tali coefficienti, senza incidere sulla quota contributiva della pensione di anzianità, riducono progressivamente la misura della quota retributiva di essa, in ragione dell’età dell’interessato, andandosi da un massimo di riduzione del 45,9% per l’età di 57 anni, ad un minimo di riduzione del 7,3% per chi andasse in pensione con 64 anni di età.

I coefficienti in questione sono stati introdotti con la Delibera del 7 giugno 2003 (poi assorbita da analoghe previsioni delle successive Delibere del 2003 e del 2004) contestualmente alla previsione della possibilità, dapprima esclusa, che la pensione di anzianità venisse cumulata con lo svolgimento di altre attività, ivi compresa la prosecuzione di quella propria del ragioniere.

15.2 La modificazione trova fondamento nel potere attribuito alle Casse privatizzate dalla L. n. 289 del 2002, art. 44,comma 7. Secondo tale norma, “gli enti previdenziali privatizzati possono applicare le disposizioni di cui al presente articolo (ovverosia le disposizioni che consentono la cumulabilità tra pensione di anzianità e redditi da lavoro nell’ambito dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, n.d.r.) nel rispetto dei principi di autonomia previsti dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e dalla L. 8 agosto, n. 335, art. 3, comma 12”.

Si tratta dunque di una previsione di legge, fisiologica nel sistema di relazioni tra legge e potere regolamentare della Cassa, di favor per l’omogeneizzazione dei sistemi pensionistici, sotto il profilo della generalizzazione della compatibilità tra pensione di anzianità e prosecuzione dell’attività lavorativa.

Previsione peraltro in qualche misura anche doverosa, sulla base di quanto stabilito da Corte Costituzionale 7 novembre 2002 n. 437, con cui, essendosi dichiarata l’illegittimità costituzionale della normativa sulla Cassa dei Ragionieri che prevedeva l’incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità con l’iscrizione ad albi professionali o elenchi di lavoratori autonomi diversi dall’albo dei ragionieri e periti commerciali, si era fondata la decisione sulla lesione del diritto al lavoro (art. 4 Cost.) che ne derivava, sicchè, stante l’evidente comunanza di presupposti, era in re ipsa desumerne l’illegittimità anche del divieto di compatibilità tra la pensione di anzianità e la prosecuzione dell’attività di ragioniere, secondo una dinamica che, poì, pur se in riferimento alle analoghe previsioni di altra cassa professionale, ha trovato conferma in Corte Costituzionale 7 aprile 2006, n. 137.

16. Ciò posto, si osserva che la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, nel testo che qui interessa, prevedeva l’introduzione ex lege di un arco temporale (pari a quindici anni) per i calcoli necessari ad assicurare gli equilibri di bilancio già più genericamente richiesti dalla L. 509/194, art. 2, comma 2, “In esito alle risultanze” e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, cit. – aggiunge il secondo periodo della norma – “sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”.

E’ chiara dunque la riconduzione dei poteri rideterminativi sopra detti (“ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”) all’ambito di quanto necessario (v. l’inciso “in esito alle risultanze”, evidentemente da riferire alle emergenze dell’orizzonte attuariale che veniva imposto dalla stessa norma) per adeguare i trattamenti pensionistici pregressi alle rigorose esigenze di previsione finanziaria cui si indirizzavano le gestioni privatizzate.

Il principio di cui sopra è stato declinato dagli arresti delle Sezioni Unite già sopra citati, nel senso che, rispetto alla vicenda di evoluzione delle pensioni – per ragioni di garanzia di quell’equilibrio finanziario – da un calcolo retributivo ad un calcolo contributivo, dovevano conservarsi, per le quote di pensione imputabili al periodo di attività anteriore alle modifiche del sistema, le redditualità che erano rilevanti secondo le pregresse discipline proprie del calcolo retributivo.

16.1 Il tema dei coefficienti di neutralizzazione è però diverso, in quanto esso viene in evidenza nell’ambito di delibere che non si limitano a modificare una prestazione attesa, ma, più in profondità e in esercizio dell’autonomia riconosciuta dal D.Lgs. n. 509 del 1994, e richiamata dall’art. 44 cit., il sistema pensionistico di anzianità pregresso, con introduzione di nuovi benefici (la facoltà di proseguire altre attività, nonostante il pensionamento) e di corrispondenti riequilibri (i coefficienti di neutralizzazione), destinati ad operare contestualmente ed indissolubilmente.

In altre parole, tale complessa regolamentazione non può essere ritenuta alla stregua di un semplice “criterio di determinazione del trattamento pensionistico”, da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto agli orizzonti di stabilità imposti dalla legge. Essa costituisce invece una disciplina ex novo dell’accesso a tale tipologia di pensione, fondata sui menzionati poteri attribuiti specificamente in proposito alla Cassa dalla legge.

16.2. La regolazione del sistema delle pensioni di anzianità con prosecuzione dell’attività lavorativa non va dunque ad impattare sulla previsione dell’art. 3, comma 12 cit., se non per quanto attiene al necessario rispetto degli equilibri gestionali, cui va riferito il richiamo ad essa – con specifico riferimento ai “principi di autonomia”, ma a discrezionalità temporalmente predeterminata – operato dalla norma di cui all’art. 44, comma 7, cit..

Inevitabilmente la disciplina regolamentare così introdotta va quindi considerata unitariamente; come misura composita che incide sul quantum ampliando l’an e che è da ritenere pienamente legittima, stante la coerenza di essa con la norma (il citato art. 44) che consente all’autonomia della Cassa di disporre il relativo intervento modificativo, nel rispetto del fine, parimenti richiamato, di assicurare il mantenimento degli equilibri finanziari.

17. Le conclusioni di cui sopra non restano scalfite dai rilievi critici mossi nelle difese ampiamente articolate anche in sede di discussione, che anzi consentono una più ampia giustificazione del fenomeno normativo in esame.

Per quanto si è sopra detto a proposito del rapporto tra legge e potere regolamentare delle Casse, si deve in generale ritenere che la posizione previdenziale non comporti di tempo in tempo la maturazione di diritti soggettivi, ma esprima una (tutelata) aspettativa rispetto all’utilizzabilità di quanto versato quale presupposto per il futuro accesso a pensione.

Certamente la regola del pro rata è una delle forme di più forte salvaguardia di quell’aspettativa, che può essere ove possibile auspicabile ed è stata in concreto prevista nell’ipotesi di cui all’art. 3, comma 12, sopra esaminata, ma non costituisce principio destinato ad incidere sempre e comunque su qualsiasi evoluzione dei sistemi pensionistici, a prescindere dalla loro natura (retributiva o contributiva) e dalla conformazione degli interventi di riforma, dovendosi ritenere che tale regola sia destinata ad operare allorquando e nei limiti in cui la legge lo preveda e ne moduli l’incidenza.

L’art. 38 Cost., fornisce copertura al diritto a pensione ma non, rigidamente e senza distinzioni, alla misura pronosticata di esso, dovendosi considerare l’esigenza di assicurare l’evoluzione dei sistemi pensionistici (come nel caso qui in esame, in cui si assiste all’eliminazione del divieto di cumulo tra pensione di anzianità e lavoro) come anche l’esigenza di assicurare equilibri finanziari, intrinseci al funzionamento dei diritti sociali e il cui rispetto è espressione dell’ancor più basilare principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., destinato a manifestarsi attraverso la sostenibilità nel tempo dei costi e la salvaguardia degli equilibri intergenerazionali.

D’altra parte lo stesso sistema pensionistico dei ragionieri è un esempio concreto di applicazione modulata del pro rata, in quanto rispetto alle annualità di reddito da considerare, si è passati, tra il 1995 ed il 2007, da un sistema di rigido (art. 3, comma 12, nell’originaria formulazione, che prevedeva il “rispetto” del principio) ad un sistema flessibile (art. 3, comma 12, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che ha previsto che del pro rata sia “tenuto conto”).

17.1 Sì deve allora considerare come, anche a voler considerare l’aspettativa quale delineabile anteriormente alla riforma qui in esame, essa non poteva che fare riferimento all’insieme del sistema previgente, quale necessario combinarsi della pensione di anzianità con la cessazione dell’attività lavorativa.

Sicchè le Casse, a ciò abilitate dalla normativa sopra richiamata, nell’intervenire sull’assetto previgente con l’introduzione del regime di compatibilità tra prosecuzione del lavoro e pensione di anzianità, legittimamente potevano regolare ex novo l’accesso alla predetta pensione, attraverso l’introduzione del meccanismo disincentivante dei coefficiente di neutralizzazione.

E’ poi chiaro che, nel disciplinare un sistema che avrebbe ragionevolmente comportato un aumento degli accessi a pensione, si sia tenuto presente, in una logica prudenziale, anche la necessità di assicurarne la sostenibilità finanziaria, in un difficile equilibrio tra tali maggiori costi ed ulteriori, ma parimenti incerte (anche nel quantum) entrate che sarebbero derivate dalla prosecuzione dell’attività lavorativa.

17.2 Va da sè, su tali premesse, che non si possa in alcun modo fare riferimento al coefficiente di neutralizzazione come ad una prestazione patrimoniale soggetta alla riserva di legge (art. 23 Cost.).

I mutamenti dei sistemi pensionistici, come si è detto, incidono sul grado di concreta realizzazione di una situazione di aspettativa e non quindi su diritti già acquisiti, sicchè non si può parlare di prestazione patrimoniale, ma solo di riduzione di una prestazione attesa, ma non garantita nella sua entità effettiva, se ricorrano esigenze diverse che ne impongano la rimodulazione.

17.3 Sulla stessa linea, non vi è luogo a sollevare questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 117 Cost., per l’ipotesi di violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà, secondo cui “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni” e “nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.

Può anche essere che un’aspettativa costituisca un bene giuridico che si possa riportare alla ampia nozione di “beni” che è fatta propria dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’interpretare l’art. 1 cit..

Tuttavia, premesso che, nel caso di specie, non viene in gioco l’abolizione delle pensioni di anzianità, ma soltanto una loro rimodulazione quantitativa in ragione dell’età di accesso a tale pensione, è chiaro che la contrazione delle modalità di consolidamento dell’aspettativa in diritto pieno rientra nella struttura giuridica stessa della situazione che è appunto, di aspettativa e non di diritto soggettivo, proprio perchè potenzialmente destinata a maturare solo in futuro ed a poter subire le conseguenze delle evoluzioni fattuali e giuridiche: sicchè non si può ipotizzare, nei limiti di cui subito si va a dire, l’illegittimità della lesione di una situazione giuridica che ha proprio l’incertezza come elemento strutturale.

17.4 Venendo in proposito ad un altro degli argomenti sviluppati nelle difese finali, non si può parlare di irragionevolezza, in ipotesi tale da comportare dubbi sotto il diverso versante dell’art. 3 Cost., comma 1, degli abbattimenti.

In effetti, trattandosi di una aspettativa da ritenere tutelata, quale situazione giuridica minore e non di una situazione di mero fatto, deve ritenersi che gli interventi normativi che ne modificano l’assetto siano soggetti a regole, tra cui, quando previsto, quella del rispetto, più o meno rigoroso, del pro rata o, in assenza di altre previsioni specifiche, del principio di ragionevolezza.

Ma tale principio non può dirsi violato, perchè la maggiore aliquota 45,9 % riguarda età significativamente basse di età (57 anni), mentre per le età di pensionamento più elevate (64 anni) la detrazione è assai più contenuta (7,3%).

Così come vi è ragionevolezza del sistema, ove si consideri che quella del pensionamento per anzianità è una scelta per la quale l’interessato può decidere di optare oppure no (mentre il diritto a pensione è comunque garantito dalla pensione di vecchiaia), come anche può decidere di calibrare la scelta pensionistica in ragione dell’opportunità data dallo scalare delle percentuali di abbattimento al trascorrere degli anni.

D’altra parte, dalle delibere prodotte, emerge che l’introduzione del nuovo regime è stata accompagnata, in relazione anche agli altri mutamenti delle regole pensionistiche contestualmente stabiliti, da un periodo di sospensione dei pensionamenti di anzianità (onde evitare che chi vi si accingesse potesse incorrere in mutamenti sopravvenuti e non prevedibili) e comunque con salvaguardia, per chi avesse fatto domanda prima della sospensione, delle regole previgenti.

17.5. Errato, per quanto occorrer possa, è infine l’argomento inerente la disparità di trattamento tra i pensionati di anzianità ante e post 1.1.2007.

Infatti, il sistema come consolidato dalle pronunce delle Sezioni Unite (Cass. 17742/2015 e 18136/2015, citt.) è in sostanza tale per cui rispetto ai pensionati post 1.1.2007 le modifiche regolamentari apportate negli anni 2002-2004 sono pienamente efficaci.

Sicchè, se ai pensionati ante 1.1.2007 non si applicasse il coefficiente di neutralizzazione, ne deriverebbe un ulteriore incremento nel dislivello dei trattamenti e quindi una ancora maggiore disparità.

18. Va in definitiva confermato l’orientamento già espresso con sentenza 21 agosto 2018 n. 20877, i cui principi, frutto di una più articolata riflessione rispetto ad alcuni precedenti in cui la necessaria riconduzione al pro rata dei coefficienti di neutralizzazione era puramente affermata, vengono qui ribaditi ed approfonditi, nei termini di cui sopra.

19. Rigettato il ricorso principale ed accolto quello incidentale, la sentenza va quindi cassata, con rinvio alla medesima Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, la quale, fermo ogni altro criterio di calcolo già applicato dalla sentenza impugnata nel calcolare la pensione, si atterrà al principio per cui “la previsione, di cui alle delibere della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali del 7 giugno 2003 e 20 dicembre 2003 e del Regolamento in vigore dal 1 gennaio 2004, di un coefficiente di abbattimento (c.d. coefficiente di neutralizzazione), progressivamente calante in ragione del crescere dell’età, per la quota retributiva delle pensioni di anzianità erogate dalla medesima Cassa di Previdenza, non è soggetta al principio del pro rata quale sancito dalla L. n. 335 del 1995, art. 3,comma 12, (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763) ed è legittima, risultando tale coefficiente introdotto con modalità non irragionevoli nell’ambito della modifica dei sistema di accesso alla predetta pensione, reso contestualmente compatibile con la prosecuzione, nonostante il pensionamento, della medesima professione”.

20. Al giudice del rinvio è demandata pure la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. Il rigetto del ricorso principale determina le condizioni per il pagamento da parte della ricorrente principale del contributo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione cui demanda la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018

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