Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.28356 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. SUCCIO Rober – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16839/2011 R.G. proposto da:

COOPERATIVA S.C.A.D. a r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’avv. Michele Milone del Foro di Milano, con domicilio eletto in Roma, viale Gorizia n. 517B presso lo studio dell’avv. Ferruccio Zanini come da procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

Avverso la sentenza della. Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 65/45/10 depositata il 18/06/2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 9/5/2018 dal consigliere Dott. Roberto Succio.

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata la CTR ha confermato la pronuncia di prime cure, che ha rigettato il ricorso introduttivo del giudizio della società contribuente;

– ricorre per cassazione la S.C.A.D. a r.l. con ricorso affidato a due motivi; l’Amministrazione finanziaria non ha svolto attività difensiva in questa sede.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per contraddittorietà della motivazione assunta in ordine alla tempestività dei pagamenti;

– va premesso che questa Corte ritiene (Cass. Sez. L., Sentenza n. 20335 del 24/08/2017) ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora, però, sia reso palese su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica; sia pur senza alcune oscurità, nel motivo in esame ciò concretamente avviene;

– ciò premesso, il primo motivo di ricorso è infondato;

– questa Corte, con orientamento costante che in questa sede di ritiene di ulteriormente confermare (Sez. 5, Sentenza n. 15636 del 24/07/2015) ritiene che in materia d’IVA, la scelta del regime fiscale di contabilità presso terzi non comporta alcuno slittamento dei termini per i versamenti periodici dell’imposta, atteso che lo stesso D.P.R. n. 100 del 1998, art. 1,comma 4, prevede espressamente che la liquidazione IVA debba essere effettuata entro il termine previsto dal comma 1 (il giorno 16 di ciascun mese seguente) anche nell’ipotesi in cui la società abbia optato per il regime di contabilità presso terzi, per cui non vi è ragione di ritenere che al diverso metodo di calcolo dell’imposta corrisponda anche un diverso termine per il suo versamento;

il motivo in esame, in realtà è bicefalo, in quanto il ricorrente in esso denuncia anche – sempre riguardo l’efficacia estintiva dei pagamenti eseguiti, anche L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis ulteriore vizio della sentenza impugnata che avrebbe erroneamente valutato il gravame, ritenendo da un lato sanata la debenza dell’IVA con il condono, dall’altro ritenuto corretta l’applicazione delle sanzioni portate dalla cartella impugnata, che sarebbero in concreto riferite a una tardività inesistente;

sotto questo ulteriore profilo (peraltro non chiarissimamente formulato in ricorso) risulta determinante, vertendo in materia di definizione per via condonistica di sanzioni IVA, la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale si deve – anche in questo giudizio di legittimità – rilevare d’ufficio, come già ha operato in altri analoghi casi (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20435 del 26/09/2014) che la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 bis nella parte in cui consente di definire una controversia con l’Amministrazione finanziaria evitando il pagamento delle sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’IVA, deve essere disapplicato a prescindere da specifiche deduzioni di parte e senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali (quale, nella specie, il carattere “chiuso” del giudizio di cassazione), essendo in contrasto con gli obblighi previsti dagli artt. 2 e 22 della 6^ direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’IVA, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia nella sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06, che ascrive a dette norme comunitarie portata generale. Invero, anche tale forma di condono cosiddetto clemenziale, come le ipotesi di condono premiale previste dalla menzionata L. n. 289 del 2002, artt. 7 ed 8 è idonea a pregiudicare seriamente il funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, incidendo sulla corretta riscossione di quanto dovuto;

Le previsioni sanzionatoria in tema di IVA infatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19546 del 23/09/2011, Sez. 5, Sentenza n. 8110 del 23/05/2012) consentendo di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo, comportano una rinuncia alle sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo oltre che repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale;

Ne consegue l’infondatezza della ulteriore parte del motivo qui esaminato;

il secondo motivo è parimenti infondato;

la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, così come quella di cui al D.Lgs. N. 472 del 1997, art. 6 e art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, sono riferiti alle condizioni di incertezza sulla norma; nessuna incertezza è dato ravvisare nel caso di specie; inoltre, non può neppure ritenersi che il comportamento del contribuente non abbia inciso sul debito d’imposta, poichè è chiaro che il procrastinare sistematicamente il versamento dell’IVA anche solo di un mese comporta una variazione finanziaria illegittima e non consentita a favore del contribuente e in danno dell’Erario;

conclusivamente, del tutto prive di rilevanza in quanto non conferenti anche le considerazioni relative alla rettificabilità della dichiarazione (aspetto che qui non rileva, vertendo la controversia sui profili relativi alla liquidazione e al versamento dell’imposta, non alla sua dichiarazione); l’eccezione che diviene anche inammissibile non risultando nel ricorso dove e quando la stessa sia stata proposta nei precedenti gradi del merito.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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