Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.28364 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. SUCCIO Rober – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 25523 del ruolo generale dell’anno 2011, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.C., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv.to Michele Calamita, dall’avv.to Giovanni Schettini e dall’avv.to Luigi Carbone, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Simona Martinelli-Studio legale Romagnoli, in Roma, alla Via Romeo Romei n. 27;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 116/07/2010, depositata in data 13 settembre 2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2018 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 116/07/2010, depositata in data 13 settembre 2010, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di C.C. avverso la sentenza n. 116/01/2008 della Commissione tributaria provinciale di Bari, annullando, in conferma di quest’ultima, la cartella di pagamento con la quale, a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54bis e di diniego di condono, era stata iscritta a ruolo la somma di Euro 48.593,21, per omesso e ritardato pagamento di Irpef, Irap e Iva, interessi e sanzioni, negli anni di imposta 2002-2003;

– il giudice a quo in punto di fatto premetteva che: 1) avverso la cartella di pagamento con la quale l’Ufficio, a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54bis e di diniego di condono, aveva iscritto a ruolo la somma di Euro 48.593,21, per omesso e ritardato pagamento di Irpef, Irap e Iva, interessi e sanzioni, negli anni di imposta 2002-2003, C.C. aveva proposto ricorso alla CTP di Bari, deducendo la illegittimità della pretesa erariale per avvenuto perfezionamento del condono, essendo state le rate successive alla prima pagate sebbene con ritardo, la non definitività del diniego di condono, stante la pendenza del gravame, il difetto di motivazione della cartella, l’omesso invio dell’avviso bonario D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54bis e della L. n. 212 del 2000, art. 6; 2) la CTP aveva accolto il ricorso, ritenendo assorbente il motivo relativo al mancato invio dell’avviso bonario prima della notifica della cartella di pagamento; 3) avverso la sentenza di primo grado, l’Ufficio aveva proposto appello deducendo la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54bis, non essendo l’invio dell’avviso bonario previsto a pena di nullità dell’atto; la infondatezza dell’assunto vizio di motivazione della cartella esattoriale; il mancato perfezionamento del condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9bis avendo il contribuente effettuato i versamenti oltre i termini; 4) aveva controdedotto il contribuente, chiedendo la conferma della sentenza impugnata;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) ancorchè l’emissione della cartella di pagamento fosse conseguita, nel caso di specie, ad un controllo automatizzato della dichiarazione del contribuente, la “situazione di incertezza” che imponeva all’Ufficio, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36bis e della L. n. 212 del 2000, art. 6,comma 5, a pena di nullità, l’invio del c.d. avviso bonario era data da quattro sgravi parziali d’imposta effettuati a seguito di alcuni pagamenti del contribuente a titolo di condono, con conseguente necessità di garantire al contribuente la possibilità di fornire tutti i chiarimenti necessari; 2) avuto riguardo al nuovo quadro normativo di cui al D.L. n. 185 del 2008, come convertito dalla L. n. 2 del 2009, la fattispecie di condono prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis risultava equiparata alle altre forme di sanatoria di cui al medesimo testo di legge, con il perfezionamento, in caso di versamento rateale, in forza del pagamento della prima rata;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui C.C. resiste, con controricorso, articolando ricorso incidentale affidato a quattro motivi;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36bis, della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, per avere la CTR erroneamente ritenuto illegittima la cartella di pagamento emessa per mancato versamento di imposte dichiarate, in quanto non preceduta dalla notifica del c.d. avviso bonario, ancorchè quest’ultimo fosse necessario solo nelle ipotesi di riscontrate “incertezze su dati rilevanti della dichiarazione”;

– va preliminarmente disattesa l’eccezione sollevata dal contribuente nel controricorso di inammissibilità per difetto di specificità del motivo, in quanto lo stesso contiene una chiara esposizione delle ragioni di diritto a sostegno della dedotta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36bis, della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5;

– inammissibile, per difetto di autosufficienza, è poi l’eccezione di rilevabilità, anche d’ufficio, del giudicato esterno della sentenza della CTP di Bari n. 133/8/09 di annullamento del provvedimento di diniego del condono, relativo agli anni 2002-2003, a seguito del quale sarebbe stata emessa la cartella di pagamento in questione, per non avere il controricorrente assolto all’onere di riproduzione nel ricorso del testo integrale della sentenza che si assume passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente nè il richiamo a stralci di motivazione nè il riassunto sintetico della stessa (Cass. n. 7633 del 2018; n. 15737 del 2017; Cass. n. 2617 del 2015; Cass. n. 17649 del 2012; Cass. n. 13658 del 2012); peraltro, il controricorrente non ha assolto all’onere di indicare la data di formazione del detto giudicato, tenuto conto che il giudicato esterno, utilizzabile nel processo tributario per la sua capacità espansiva, può essere dedotto e provato anche per la prima volta in sede di legittimità, purchè, però, esso si sia formato dopo la conclusione del giudizio di merito o dopo il deposito del ricorso per cassazione (Cass. n. 2617 del 2015; Cass. n. 24531 del 2017);

– il primo motivo è fondato;

– è consolidato, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata preventivamente emessa la comunicazione preventiva prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, se non “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (v. da ultimo Cass., Sez. 6 – 5, Ord. n. 3154 del 17/02/2015, Rv. 634631; Sez. 6 – 5, Ord. n. 42 del 03/01/2014, Rv. 629010; Sez. 5, n. 17396 del 23/07/2010, Rv. 615009);

– nel primo caso, peraltro – comunicazione dell’esito della liquidazione (c.d. comunicazione di irregolarità) prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 “quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un’imposta o una maggiore imposta” – il relativo obbligo imposto all’amministrazione non è sanzionato da alcuna nullità; si tratta infatti, come è stato osservato, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. Tanto si giustifica in considerazione del maggiore grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, cui non può che corrispondere una conseguente irrilevanza della violazione di tale disciplina partecipativa ai fini della validità del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo. Nei procedimenti ordinari di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni, in considerazione dell’elevato grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, lo svolgimento di un effettivo contraddittorio fra ufficio e contribuente, ad avviso del legislatore, non rappresenta una fase indispensabile dei procedimento, essendo sempre possibile per il contribuente far valere eventuali doglianze in punto di illegittimità della pretesa impositiva in sede di impugnazione del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo (ex multis, Cass. n. 19893 del 2016);

– con riferimento poi al contraddittorio endoprocedimentale imposto dall’art. 6, comma 5 st. contr. – obbligo bensì sanzionato, a differenza del primo, con la nullità in caso di inadempimento – è utile ribadire che, secondo orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità esso non è imposto “in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Cass., Sez. 5, n. 8342 del 25/05/2012, Rv. 622681; v. anche Sez. 6 – 5, Ord. n. 15584 del 08/07/2014, Rv. 631667; Sez. 5, n. 12023 del 10/06/2015, Rv. 635672);

– orbene, nella sentenza impugnata, manca un’argomentata evidenziazione che, nel caso di specie, “sussistessero incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, tali da imporre la comunicazione del detto invito bonario, essendo, a tal fine, irrilevante la riscontrata effettuazione di “quattro sgravi parziali” a seguito di alcuni pagamenti del contribuente a titolo di condono;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9bis per avere la CTR erroneamente ritenuto che, avuto riguardo al nuovo quadro normativo di cui al D.L. n. 185 del 2008, come convertito dalla L. n. 2 del 2009, la fattispecie di condono prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9bis risultasse equiparata alle altre forme di sanatoria di cui medesimo testo di legge, con il perfezionamento di tutte, in caso di versamento rateale, con il pagamento della prima rata;

– il motivo è fondato;

– questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui: “il condono previsto dalla L. n. 289 del 2012, art. 9bis relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni, costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7,8,9,15 e 16 le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui all’art. 9bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36bis in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata ai sensi del comma 3, con gli interessi di cui all’art. 4, il condono è condizionato dall’integrale pagamento di quanto dovuto ed il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo quando tale condizione venga rispettata, e si provveda al pagamento delle imposte, nei termini e nei modi di cui alla medesima disposizione, con la conseguenza che, nel caso di omesso o non integrale pagamento, l’istanza di definizione diviene inefficace e si verifica la perdita della possibilità di avvalersi della definizione anticipata” (cfr. ex multis Cass. nn. 19546 del 2011, 21346 del 2012, 10650 del 2013, 25238 del 2013; 19895 del 2016; 14293 del 2016);

– nella specie, il giudice a quo, nel ritenere la fattispecie di condono prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9bis equiparata alle altre forme di sanatoria di cui medesimo testo di legge, con il perfezionamento, in caso di versamento rateale, con il pagamento della prima rata, non si è attenuto ai suddetti principi;

– a ciò va aggiunto, con riguardo all’Iva, che questa Corte ha più volte affermato, in tema di condono fiscale, che le misure clemenziali (come quelle di cui al citato L. n. 289 del 2002, art. 9 – bis) o premiali (come quelle di cui agli artt. 7 ed 8 medesima legge) comportanti una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già accertato sono idonee a pregiudicare seriamente il funzionamento del sistema comune dell’IVA, incidendo sulla corretta riscossione di quanto dovuto, e, pertanto, contrastano con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, cosi come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06;

– va perciò disapplicato, con riferimento all’Iva, il citato L. n. 289 del 2002, art. 9-bis che, in quanto consente di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento, comporta una rinuncia definitivo alle suddette sanzioni (sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo, oltre che repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale (ex plurimis, Cass. n. 19546 del 2011; n. 8110 e n. 13505 del 2012; n. 20435 del 2014; n. 420, n. 1003, n. 5953, n. 6667, n. 7852, n. 19436 e n. 20064 del 2015; n. 14293 del 2016; 19895 del 2016);

– con il ricorso incidentale il contribuente denuncia: 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 49 e 53 e art. 329 c.p.c. per non avere la CTR dichiarato l’inammissibilità dell’atto di appello, ancorchè difettasse l’indicazione dei motivi specifici di gravame quanto all’assunta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36bis e quanto alla dedotta infondatezza del vizio di motivazione della cartella esattoriale impugnata; 2) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2909 c.c., stante la formazione – per l’omessa indicazione di motivi specifici di gravame – del giudicato interno sull’accertato vizio di nullità della cartella per mancato previo invio dell’avviso bonario e per difetto di motivazione di quest’ultima; 3) la violazione dell’art. 112 c.p.c., per essere la CTR incorsa nel vizio di ultrapetizione non essendo stato il capo della sentenza di primo grado concernente il rilievo sulla mancata motivazione della cartella oggetto di specifico motivo di impugnazione; 4) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54bis per non avere il giudice di appello dichiarato il difetto di motivazione della cartella impugnata;

-il primo motivo del ricorso incidentale è infondato;

– invero la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “la specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Tale esigenza, tuttavia, non può impedire che il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza e che esso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice essendo innegabile che, in tal caso, sottoponendo al giudice d’appello dette argomentazioni – perchè ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere -, si adempia pienamente all’onere di specificità dei motivi – cfr. Cass. n. 14908/2014, Cass. n. 22510/2015, Cass. n. 13007/2015 -. Si è ancora aggiunto, di recente, proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, che “…gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” – (Cass. S.U. n.27199/2017; nello stesso senso, da ultimo, Cass. n. 12892/2018);

– nella specie, si ricava dalla lettura della sentenza di primo grado – per ampi stralci trascritta in ricorso incidentale (con pieno rispetto dell’onere di autosufficienza) e alla quale comunque questo giudice ha diretto accesso, trattandosi di error in procedendo – che l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente è fondato sul motivo assorbente della illegittimità della cartella per mancato previo invio dell’avviso bonario, rafforzato dall’ulteriore considerazione che “il rilievo sulla mancata motivazione della cartella” avrebbe portato allo stesso risultato, atteso che essa enumerava una “sequela di violazioni e di cifre, senza alcuna giustificazione leggibile sulle logiche, sulle misure e sui coefficienti che (avevano) originato quei dati”;

– invero, dall’esposizione dei motivi di appello, quale si evince in atti, emerge che questi ultimi fossero sufficientemente specifici e che, nel denunciare sia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36bis che l’infondatezza dell’assunto vizio di motivazione della cartella esattoriale, contenessero, pertanto, quella necessaria “parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico – giuridico” (Cass. S.U. n. 23299/2011);

– la sufficiente specificità dei motivi di appello implica l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso incidentale, non ravvisandosi i presupposti per la formazione del prospettato giudicato interno; e del terzo motivo di ricorso incidentale, non essendo configurabile vizio di ultrapetizione della CTR;

– il quarto motivo del ricorso incidentale è inammissibile;

– è orientamento consolidato di questa Corte quello per cui è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa sollevi una questione non esaminata dal giudice di appello in quanto ritenuta assorbita dall’accoglimento di altra tesi. In tale situazione, infatti, difetta la soccombenza, sia pure teorica, quale presupposto del diritto di impugnazione, mentre la questione medesima può sempre essere riproposta davanti al giudice di rinvio, ove, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata venga cassata. In altri termini, l’ammissibilità del ricorso incidentale per cassazione, anche se condizionato all’accoglimento del ricorso principale, postula pur sempre la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, determinato dalla soccombenza. Non ricorre il requisito della soccombenza se le questioni, sollevate dalla parte nel giudizio di appello e riproposte con il ricorso incidentale, lungi dall’essere state esaminate e risolte in senso ad essa sfavorevole, siano rimaste assorbite per avere il giudice di merito attinto la ratio decidendi da altre questioni di carattere decisivo. Nel caso in cui, in relazione a queste ultime questioni (assorbenti), la sentenza del giudice di appello venga cassata dalla Suprema Corte, rimangono impregiudicate le questioni dichiarate o considerate assorbite, che possono essere riproposte e discusse nel giudizio di rinvio (cfr., ex multis, Cass., nn. 7103/1998, 8924/1998, 4756/1999, 3908/2000, 9637/2001, 4050/2002, 14382/2002; n. 3796/2008; n.27157/2011);

– in conclusione, va accolto il ricorso principale; rigettato il ricorso incidentale, con cassazione della sentenza impugnata – in relazione al ricorso principale – e rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, affinchè esamini il merito della vicenda.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata – in relazione al ricorso principale – e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione;

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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