LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO G. M. – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –
Dott. ANTEZZA – rel. est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16473/2011 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;
– ricorrente nonchè controricorrente al ricorso incidentale –
contro
POLPLASTIC s.p.a., con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof.
Loris Tosi, del Foro di Venezia, e dall’Avv. Prof. Giuseppe Marini, del Foro di Roma e con studio in Roma, via di Villa Sacchetti n. 9 (comunicazione di variazione del 17 gennaio 2017), con domicilio eletto in Roma, via di Villa Sacchetti n. 9 (comunicazione di variazione del 17 gennaio 2017), presso lo studio dell’Avv. Prof.
Giuseppe Marini;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Commissione regionale di Venezia-Mestre, depositata il 28 maggio 2010;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06 giugno 2018 dal Consigliere Dott. Fabio Antezza.
FATTI DI CAUSA
1. Con due avvisi di accertamento notificati a POLPLASTIC s.p.a., esercente attività di fabbricazione di articoli in materiale plastico, l’A.E. contestò alla contribuente, per l’anno d’imposta 2002, l’indebita detrazione IVA relativa a costi non deducibili per difetto di inerenza alla detta attività imprenditoriale (in quanto effettuata in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19), e, per l’anno 2003, l’indebita deduzione di costi non inerenti, con ripresa a tassazione a fini IRPEG ed IRAP, e l’illegittima detrazione dell’IVA relativa a detti costi (ed annesse sanzioni). Trattavasi, in particolare, di costi, considerati non deducibili, relativi ad ore lavorative effettuate da personale della Rox s.r.l. (e da questa fatturati) in favore della contribuente, oltre che di spese per la somministrazione di acqua, energia elettrica, gas e telefono, inerenti la sede della predetta Rox s.r.l. (in capannone concesso in comodato dalla POLPLASTIC s.p.a. fin al 28 novembre 2002 e successivamente venduto dalla stessa s.r.l.), e di spese per manutenzione di macchinari in quanto beni strumentali concessi in comodato d’uso alla stessa Rox s.r.l. dalla contribuente.
2. Avverso i detti atti impositivi nonchè contro la conseguente cartella di pagamento (relativa all’iscrizione a ruolo provvisoria, effettuata D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 15) POLPLASTIC s.p.a. propose separati ricorsi al Giudice tributario, riuniti e decisi in primo grado dalla CTP di Venezia che accolse il solo motivo inerente l’indetraibilità dell’IVA relativa al dedotto costo della manodopera, perchè ritenuto inerente (sentenza n. 27/12/2007, emessa 1’11 maggio 2007 e depositata il successivo 1 giugno).
Avverso la sentenza di primo grado proposero appello l’A.E., sindacando la riconosciuta deducibilità dei costi relativi alla manodopera e conseguente detraibilità della relativa IVA, e, in via incidentale, la ricorrente (con riproposizione dei motivi di ricorso già formulati in primo grado ed ivi rigettati).
3. La CTR di Venezia-Mestre con sentenza n. 36/20/2010, emessa il 19 aprile 2010 e depositata il successivo 28 maggio, respinse gli appelli (con compensazione delle spese). Essa, sostanzialmente, confermò la sentenza impugnata non solo circa i dedotti profili di nullità degli atti impositivi e della cartella di pagamento ma anche in merito alla ritenuta inerenza dei costi relativi alla manodopera (e conseguente legittima detrazione IVA). La CTR considerò invece non inerenti gli altri costi, perchè sostenuti dalla contribuente comodante (POLPLASTIC s.p.a.) e non dalla comodataria (Rox s.r.l.), diversamente da quanto invece previsto dalla disciplina del comodato (artt. 1803 e 1808 c.c.).
4. Contro la sentenza d’appello l’A.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, la contribuente, oltre a difendersi con controricorso, ha proposto ricorso incidentale non condizionato, affidato ad otto motivi (dal n. 4 al n. 11), con riferimento al quale l’A.E. si è difesa con controricorso al ricorso incidentale. La contribuente ha altresì depositato memorie, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già formulate con il controricorso ed il ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’unico motivo del ricorso principale è in parte inammissibile ed in parte infondato, così come i motivi nn. 5, 7, 8, 9, 10 ed 11 del ricorso incidentale (gli ultimi due solo infondati) ed a differenza del motivo n. 6 di quest’ultimo ricorso, che è invece inammissibile. Fondato è solo il primo motivo del ricorso incidentale (recante il n. “4”), con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata, con riferimento al motivo accolto.
2. Priorità logico-giuridica deve essere data alle doglianze mosse avverso l’impugnata sentenza con il ricorso incidentale, limitatamente a quelle aventi ad oggetto i paventati vizi degli avvisi di accertamento e delle loro notifiche (motivi nn. 5, 6, 7, 8 e 9), oltre che i prospettati vizi (propri) della cartella di pagamento (motivi nn. 10 e 11), in quanto l’accoglimento di uno di essi assorbirebbe (in tutto o in parte) le altre doglianze.
3. I motivi nn. 5, 6, 7, 8 e 9 del ricorso incidentale proposto dalla contribuente possono trattarsi congiuntamente, per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, e sono in parte inammissibili ed in parte infondati (i nn. 5, 7, 8 e 9) mentre infondato e il n. 6.
3.1. Il motivo n. 5 del ricorso incidentale è così rubricato: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione di legge. Violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 56, nonchè, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 42. Nullità degli avvisi di accertamento impugnati per mancata indicazione dei presupposti giuridici che giustificano la loro emissione. Violazione del diritto di difesa. Incoerenza e contraddittorietà manifeste. Difetto di motivazione”.
Esso, comunque in parte infondato, è inammissibile sotto diversi profili, pur volendo prescindere dall’ulteriore profilo di inammissibilità dovuto all’essere formulato in termini di c.d. “motivo misto” per la commistione di censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e nn. 4 e 5 (sui limiti di ammissibilità del c.d. motivo misto, si veda, ex plurimis: Cass. Sez. U., 06/05/2015, n. 9100, Rv. 635452-01).
Pur tralasciando il detto profilo di inammissibilità, ritenendo che, come chiarito negli ultimi due righi inerenti la doglianza in oggetto, si intenda sindacare una violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il motivo in esame è inammissibile. Con esso, in sostanza, si sindaca la sentenza impugnata per violazione di legge ma, in realtà, non si fa valere un vizio di interpretazione e valutazione di norme giuridiche (ricadente sotto il profilo dell’errore di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ponendo invece questioni inerenti la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione (che avrebbe dovuto farsi valere ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Sotto tale profilo, però, più che dedurre un difetto logico della sentenza impugnata, si mira ad una inammissibile sostituzione di proprie ricostruzioni e valutazioni a quelle del giudice di merito, peraltro incorrendo nel difetto di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. La doglianza è difatti inammissibile anche perchè non riproduce gli avvisi di accertamento in questione ed anzi, di essi, riporta singole frasi operando una commistione non solo tra loro ma anche tra queste e la motivazione della sentenza impugnata (per l’inammissibilità dovuta a difetto si autosufficienza per mancata riproduzione del documento, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 62583901, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).
La censura in esame, infine, per un profilo, è comunque infondata laddove addebita alla sentenza impugnata la violazione di norme di diritto, circa il contenuto motivazionale degli avvisi di accertamento, non riproducendo, essi, a dire del ricorrente incidentale, le norme di legge violate.
La mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, della norma asseritamente violata non è difatti, di per sè, causa di nullità dell’atto per inosservanza dell’obbligo di motivazione, ove lo stesso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo, come nella specie avvenuto con parziale accoglimento del ricorso in primo grado con sentenza confermata in appello (in merito si veda, Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in tema di imposte sui redditi).
3.2. Il motivo n. 6 del ricorso incidentale è così rubricato: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione di legge. Violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 7, art. 56, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e art. 24 Cost. Difetto di motivazione: rinvio ad atti sconosciuti al contribuente e violazione del diritto di difesa”.
La formulazione del motivo in esame ricalca quella del motivo n. 5, evocando gli stessi profili di inammissibilità.
Esso è comunque inammissibile anche sotto altro profilo, laddove sembrerebbe voler sindacare la sentenza impugnata per non aver rilevato il vizio di motivazione degli avvisi di accertamento in ragione del rinvio da parte di questi ad atti sconosciuti. Lo stesso ricorrente incidentale, in particolare, si contraddice in quanto, da un lato, concorda con la CTR sul fatto che trattasi di atti, quelli richiamati negli avvisi di accertamento, il cui rilevante contenuto è stato inserito nei provvedimenti impositivi e, dall’altro, sindaca la sentenza impugnata per violazione di legge.
La stessa contribuente, quindi, concorda con il principio di diritto più volte affermato da questa Corte, di portata generale in merito alla validità della motivazione per relationem e dal quale non vi sono ragioni per discostarsene. La L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche per relationem, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale. Cioè quando ne riproduca l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (in tal senso, ex plurimis: Cass. sez. 6-5, 11/04/2017, n. 9323, Rv. 643954-01).
3.3. Il motivo n. 7 del ricorso incidentale è così rubricato: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione di legge. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e L. n. 241 del 1990, art. 21-septies. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e della L. n. 212 del 2000, art. 7. Nullità degli avvisi di accertamento impugnati per difetto di regolare sottoscrizione”.
Nonostante la tecnica redazionale del presente motivo, tale da non discostarsi da quella dei motivi nn. 5 e 6 innanzi trattati, si coglie che, nella sostanza, il ricorrente incidentale si duole della violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ritenere validamente sottoscritti gli avvisi di accertamento, “”per” il Direttore dell’Ufficio di Venezia ***** mediante timbro “Il capo team – funzionario tributario – dr….” ed il timbro “Capo Area controllo dirigente amministrativo dr. ” con apposizione della firma su ambedue”.
Il contribuente, in primo luogo, vorrebbe far derivare la nullità degli avvisi dall’assenza della firma del Direttore, nonostante le apposizioni delle firme, “”per” il Direttore”, da parte dei suddetti soggetti. In secondo luogo, POLPLASTIC s.p.a. deduce comunque l’impossibilità di “comprendere se il soggetto che ha apposto la propria sigla sugli atti possieda qualifica idonea, nè, tanto meno, se la delega da conferirsi a tal fine da parte del capo dell’Ufficio emittente esista e possa essere considerata valida”. In ultima analisi ci si duole della non leggibilità delle sigle apposte.
Sotto questo versante il motivo è infondato, in ossequio a principi già esplicitati da questa Corte dai quali non vi sono motivi per discostarsi.
In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, difatti, l’avviso di accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato art. 42), se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del titolare dell’ufficio, incombe in capo all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore e la presenza della delega del titolare dell’ufficio (Cass. sez. 5, 05/09/2014, n. 18758, Rv. 631925-01). L’avviso di accertamento non sottoscritto dal titolare dell’Ufficio è dunque valido ove l’Amministrazione produca, anche in giudizio, l’ordine di servizio recante l’indicazione del nominativo del delegato e dei limiti oggettivi della delega (Cass. sez. 6-5, 06/03/2018, n. 5200, Rv. 647291-01). La delega di firma o di funzioni, di cui al citato al citato art. 42, deve poi necessariamente indicare il nominativo del delegato, pena la sua nullità, che determina, a sua volta, quella dell’atto impositivo. In tale ultimo senso Cass. sez. 5, 09/1172015, n. 22803, Rv. 637205-01, la quale ne fa derivare l’impossibilità di considerare delega, ai detti effetti, un ordine di servizio in bianco, che si limiti ad indicare la sola qualifica professionale del delegato senza consentire al contribuente di verificare agevolmente la ricorrenza dei poteri in capo al sottoscrittore.
Sicchè, soddisfatte le condizioni di delega di cui innanzi, l’avviso di accertamento sottoscritto dal delegato, in luogo del titolare dell’Ufficio, è valido, non dovendo quindi essere necessariamente sottoscritto a pena di nullità dal detto titolare, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso incidentale.
Per altri versi, il motivo è inammissibile in quanto, per la prima volta, in sede di legittimità la contribuente solleva contestazioni inerenti la delega, in termini di sussistenza e di validità, laddove dalla sentenza impugnata (sul punto non sindacata di omessa pronuncia) non emerge la detta contestazione in sede di merito nè lo stesso ricorrente incidentale deduce di averla già fatta innanzi al giudice di merito.
Il motivo in esame è infine inammissibile anche laddove fa riferimento alla circostanza per la quale si tratterebbe di sigle e non di firme, in quanto mira a sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito (peraltro prospettandola neanche ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in termini di vizio di motivazione, bensì alla stregua del n. 3 citato articolo). Oltretutto, trattasi di valutazione di merito fondata anche sull’apposizione della firma effettuata sul timbro dell’Ufficio ed in uno con l’indicazione del nome del sottoscrittore (come emerge dalla sentenza impugnata oltre che dallo stesso motivo in esame), tanto da fugare dubbi circa la sua paternità.
3.4. Il motivo n. 8 del ricorso incidentale è così rubricato: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione di legge. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56. Violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1991, art. 14. Nullità degli avvisi di accertamento impugnati per inesistenza della loro notifica avvenuta a mezzo posta direttamene a cura dell’Ufficio Finanziario”.
Nonostante la tecnica redazionale del presente motivo, tale da non discostarsi da quella dei motivi nn. 5, 6 e 7 innanzi trattati, si coglie che, nella sostanza, il ricorrente incidentale si duole della violazione di legge nella quale il giudice di merito sarebbe incorso in materia di notificazione degli atti impositivi (nella specie i due avvisi di accertamento). In realtà, la contribuente argomenterebbe la nullità degli atti impositivi dall’inesistenza della loro notifica, con conseguente inammissibilità del motivo per suo vizio logico-giuridico.
Qualora si volesse leggere il motivo di ricorso ritenendolo tale da dedurre una violazione di legge con riferimento alle conseguenze dell’omessa o nulla notifica degli avvisi di accertamento sulla successiva cartella di pagamento, sostenendone la nullità, esso sarebbe comunque infondato. Il ricorrente incidentale muoverebbe difatti dall’assunta impossibilità per l’Amministrazione Finanziaria di procedere direttamente alla notificazione dell’atto impositivo e dalla nullità della detta notificazione per difetto di relata, invece sconfessata da indirizzo di questa Corte, dal quale non vi è motivo di discostarsi.
A partire dal 15 maggio 1998, data di entrata in vigore della L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20 (che ha modificato della L. 20 novembre 1982, n. 890, l’art. 14), gli Uffici finanziari possono procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente. Sicchè, è viziata da error in iudicando la sentenza di merito la quale abbia ritenuto nulla la notificazione di un avviso di accertamento compiuta dopo la suddetta data dall’amministrazione finanziaria senza avvalersi del messo comunale (Cass. sez. 5, 10/06/2008, n. 15284, Rv. 603587-01).
Dall’applicazione della disciplina della detta “notificazione diretta” consegue che, quando l’Ufficio si sia avvalso di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982. In applicazione del principio, Cass. sez. 5, 28/07/2010, n. 17598, Rv. 614598-01, ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria regionale che aveva ritenuto valida la notifica dell’invito al contraddittorio endoprocedimentale ai fini dell’accertamento con adesione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5effettuata con raccomandata, non ritirata presso l’ufficio postale, senza che ad essa fosse seguito l’invio della raccomandata informativa previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8 così come modificato a seguito di Corte cost. n. 346 del 1998.
In caso di notificazione a mezzo posta dell’atto impositivo, eseguita direttamente dall’Ufficio finanziario, per quanto rileva ai presenti fini, si applicano comunque le norme concernenti la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla citata I. n. 890 concernono esclusivamente la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 149 c.p.c. Ne consegue che non va redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. sez. 5, 04/07/2014, n. 15315, Rv. 631551-01; in termini sostanzialmente conformi anche Cass. sez. 5, 06/06/2012, n. 9111, Rv. 622974-01).
Quanto appena evidenziato, poi, priva ulteriormente di pregio le critiche mosse dal ricorrente incidentale inerenti la relata di notifica che, comunque, risulta essere stata apposta, come emerge dalla sentenza impugnata la cui relativa valutazione non è sul punto sindacata dal ricorrente (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Peraltro, nel processo tributario, in caso di impugnazione, da parte del contribuente, della cartella esattoriale per l’invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento, la S.C. non può procedere ad un esame diretto degli atti per verificare la sussistenza di tale invalidità, trattandosi di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, e non di nullità del procedimento. La notificazione dell’avviso di accertamento non costituisce difatti atto del processo tributario ma riguarda solo un presupposto per l’impugnabilità davanti al giudice tributario della cartella esattoriale, potendo l’iscrizione a ruolo del tributo essere impugnata solo in caso di mancata o invalida notifica al contribuente dell’avviso di accertamento, a norma dell’abrogato D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 3, e dell’art. 19, comma 3, del vigente D.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546 (ex plurimis, Sez. 5, 21/09/2016, n. 18472, Rv. 640973-01).
Pertinente nonchè conforme a diritto è, in fine, la statuizione impugnata laddove, comunque, evidenzia l’intervenuta sanatoria del vizio afferente la notifica degli atti impositivi per intervenuto raggiungimento dello scopo (ex art. 156 c.p.c.), non avendo lo stesso contribuente mai dedotto di non aver ricevuto gli atti in oggetto, comunque anche tempestivamente impugnati (per la sanatoria della nullità in forza del raggiungimento dello scopo, nella specifica materia, ex plurimis, tra le più recenti, Cass. sez. 6-5, 12/07/2017, n. 17198, Rv. 644931-01).
3.5. Il motivo n. 9 del ricorso incidentale è così rubricato: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione di legge. Violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17. Difetto di motivazione degli avvisi impugnati in punto di irrogazione delle sanzioni”.
Esso, comunque in parte infondato, è inammissibile sotto diversi profili.
Il ricorrente incidentale, in sostanza, sindaca la sentenza impugnata per violazione di legge ma, in realtà, non fa valere un vizio di interpretazione e valutazione di norme giuridiche (ricadente sotto il profilo dell’errore di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) ponendo invece questioni inerenti la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione (che avrebbe dovuto far valere ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), laddove sindaca la motivazione della CTR circa il proprio convincimento in merito all’esaustività, in fatto, della motivazione degli atti impositivi (argomentata dall’esatta indicazione delle norme violate e dei fatti in esse sanzionati, contenuta negli avvisi di accertamento indicanti anche gli importi).
Con il motivo in esame, però, più che dedurre un difetto logico della sentenza impugnata (che sarebbe comunque rientrato nella previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) si mira a sostituire proprie ricostruzioni e valutazione a quelle del giudice di merito, peraltro incorrendo nel medesimo difetto di autosufficienza già evidenziato al precedente punto 3.1.
Il ricorrente incidentale, comunque, non considera che trattasi di sanzioni irrogate contestualmente all’accertamento dell’imposta, quindi da ritenersi motivate quando la pretesa fiscale sia definita nei suoi elementi essenziali e sia precisata la sanzione, con conseguente infondatezza del motivo in esame sotto tale ultimo profilo (per la congruità della motivazione dell’atto di irrogazione della sanzione se contestuale all’accertamento dell’imposta, si veda Cass. sez. 5, 05/08/2016, n. 16484, Rv. 640980, ancorchè in materia di ICI).
4. I motivi nn. 10 ed 11 del ricorso incidentale proposto dalla contribuente possono trattarsi congiuntamente, per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto. Con essi si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge (L. n. 212 del 2000, art. 7 della L. n. 241 del 1990, artt. 1, 4, 5 e 6 e artt. 3,24 e 97 Cost.), per non aver ritenuto la Corte territoriale la nullità della cartella di pagamento in quanto priva dell’indicazione del responsabile del procedimento (motivo n. 10), e comunque (motivo n. 11) per non averne ritenuta per assenza di sottoscrizione, nonostante l’omessa prospettazione di dubbi circa la riferibilità dell’atto all’Amministrazione dalla quale promana (in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 della L. n. 241 del 1990, artt. 4, 5 e 6, art. 480 c.p.c., comma 4 e art. 125 c.p.c.).
4.1. I motivi in esame (riferiti a fattispecie del 2006) sono infondati in ragione di principi già affermati da questa Corte e dai quali non vi sono motivi per discostarsene.
Per quanto concerne il primo profilo, infatti, l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento del D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, conv., con modif., dalla L. n. 31 del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (esattamente in termini si veda Cass. sez. 5, 12/05/2017, n. 11856, Rv. 644115-01, a sua volta conforme anche a Cass. Sez. U., 14/05/2010, n. 11722, Rv. 613232-01).
In merito al secondo profilo, invece, è appena il caso di rilevare che la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando (come nella specie) non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana. L’autografia della sottoscrizione è difatti elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (in termini Cass. sez. 5, 30/12/2015, n. 26053, Rv. 638060-01, oltre che la precedente conforme Cass. sez. 5, 27/07/2012, n. 13461, Rv. 623507-01).
5. Con l’unico motivo di ricorso principale si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui conferma la statuizione di primo grado di accoglimento del ricorso del contribuente per la parte riguardante l’indebita detrazione IVA, relativa a costi non deducibili, per difetto di inerenza (in quanto effettuata in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19). Trattasi, in particolare, di costi relativi ad ore lavorative effettuate da personale della Rox s.r.l. (e da questa fatturati) in favore della contribuente.
5.1. Il motivo in esame è in parte infondato, circa il riferimento all’insufficienza motivazionale relativa al requisito dell’inerenza dei costi, ed in parte inammissibile, laddove prospetta una insufficienza motivazionale relativa al requisito della congruità economica dei costi.
Il ricorrente, in particolare, conviene con il Giudice di merito circa la prova dell’effettivo espletamento dell’attività lavorativa per POLPLASTIC s.p.a., da parte del personale della Rox ed in ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio circa la deducibilità dei costi inerenti e conseguente detraibilità IVA. Egli si duole però dell’insufficienza motivazionale non solo in merito alla ritenuta provata inerenza ma anche in ordine al requisito della congruità dei costi.
Il dedotto vizio non sussiste, con riferimento al requisito dell’inerenza, avendo la CTR adeguatamente individuato gli elementi probatori posti a fondamento della raggiunta prova in merito ad essa, tra l’altro proprio ponendo alla base della relativa valutazione elementi forniti dalla stessa Amministrazione. La sentenza impugnata valorizza, in particolare, non solo le fatture agli atti, contenenti la specifica indicazione del mese considerato, del numero di ore rapportato al personale presente in servizio (di cui ha ritenuto conosciuta l’identità e la qualifica) ma ha altresì valorizzato altri elementi. Tra questi ultimi annovera le stesse dichiarazioni acquisite dall’Amministrazione e poste a motivazione degli avvisi di accertamento, per ritenere provata non solo la detta attività lavorativa ma anche la tipologia dei beni prodotti (materiale plastico) ed il soggetto in favore del quale era stata svolta, POLPLASTIC s.p.a., esercente attività di fabbricazione di articoli in materiale plastico. Premesso quanto innanzi, circa la sufficienza motivazionale, le ulteriori deduzioni del ricorrente non sono apprezzabili in quanto sostanzialmente volte a sostituire la propria valutazione degli elementi probatori a quella, logica e coerente, del Giudice di merito.
Il motivo in esame, come correttamente dedotto dal controricorrente, è invece inammissibile nella parte in cui deduce l’insufficienza motivazionale in merito al requisito della congruità dei costi, lamentando che la CTR non ne avrebbe fatto riferimento alcuno in motivazione.
L’inammissibilità deriva dalla circostanza per la quale la congruità economica dei costi non costituiva oggetto di valutazione da parte del giudice (e quindi di prova da parte del contribuente ricorrente) in quanto il difetto di essa non era stato contestato dall’Amministrazione Finanziaria. Quest’ultima aveva invece contestato il solo difetto di inerenza di costi effettivamente sostenuti, come emerge non solo dello stesso motivo di ricorso per cassazione ma anche dalla sentenza impugnata nonchè dall’atto impositivo, riportato, nella parte di interesse, nel ricorso ai fini dell’autosufficienza (ex plurimis, circa la sussistenza dell’onere probatorio in merito alla congruità economica solo in caso di contestazione da parte dell’Amministrazione del relativo difetto: Cass. sez. 6-5, 07/06/2018, n. 14858; Cass. sez. 5, 26/05/2017, n. 13300, Rv. 644248-01; Cass. sez. 5, 26/04/2017, n. 10269, Rv. 643926-01; Cass. sez. 5, 08/10/2014, n. 21184, Rv. 632824-01).
6. L’unico motivo che merita accoglimento, ancorchè per le diverse ragioni di seguito esplicitate, è il primo del ricorso incidentale (recante il n. “4”, in quanto preceduto da numerazione inerente le deduzioni di cui al controricorso).
Con esso, al di là della tecnica redazionale utilizzata, si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109) ed in particolare della disciplina relativa alla deducibilità dei costi (in materia di imposte dirette), con conseguente ripercussione su quella inerente la detraibilità della relativa IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19). Trattavasi, in particolare, di spese per la somministrazione di acqua, energia elettrica, gas e telefono, inerenti la sede della Rox s.r.l. (in capannone concesso in comodato dalla POLPLASTIC s.p.a. fin al 28 novembre 2002 e successivamente venduto dalla stessa s.r.l.) oltre che di spese per manutenzione di macchinari in quanto beni strumentali concessi in comodato d’uso alla stessa Rox. s.r.l. dalla contribuente.
La CTR, a conferma della sentenza di primo grado ancorchè, sul punto, con differente motivazione in diritto, muovendo dal dato ritenuto pacifico della sussistenza del comodato tanto del capannone quanto dei macchinari, ha ritenuto non inerenti i detti costi, pur se effettivamente sostenuti dalla contribuente. Per la sentenza impugnata la proprietaria (POLPLASTIC s.p.a.), in ragione del comodato in essere, “era priva di qualsiasi facoltà d’uso dell’immobile e dei macchinari”, e, pertanto, non legittimata a dedurre i costi. Ciò in quanto, sempre per la sentenza sindacata, ex artt. 1803e 1808 c.c., in forza del comodato, il comodatario (nella specie Rox s.r.l.) ha il diritto di servirsi della cosa e qualsiasi spesa per l’uso di essa è a suo carico, non essendo stata fornita la prova di un differente accordo, tra comodante e comodatario, circa le spese.
L’errore di diritto nel quale è incorsa la CTR deriva dall’aver applicato la disciplina civilistica del contratto di comodato senza considerare la ratio di quella relativa alla deducibilità dei costi inerenti l’attività d’impresa ed alla detraibilità della relativa IVA.
Questa Corte, in fattispecie analoga alla presente ancorchè non sovrapponibile perchè relativa ed ipotesi di esternalizzazione di attività di vendita dei prodotti, ha chiarito che il principio di inerenza, richiamato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, consiste in una regola economica ritenuta immanente nel nostro ordinamento fiscale, in forza della quale il reddito tassabile debba essere tenuto al netto dei costi sostenuti per la sua produzione. Il detto articolo ed ora l’attuale art. 109, comma 5 medesimo decreto stabiliscono difatti che i costi “sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano proventi che concorrono a formare il reddito”. In particolare, per Cass. sez. 5, 12/08/2015, n. 16730, Rv. 636282-01, la regola in parola ha una portata generale, lasciando correttamente all’interprete la verifica della effettiva inerenza delle spese al processo produttivo. Ciò ha poi permesso un progressivo allargarsi del principio di inerenza anche in relazione a spese non strettamente e direttamente produttive (spese che però, al giorno d’oggi, sono unanimemente giudicate fondamentali per la produzione). Così argomentando, la sentenza da ultimo citata ha ritenuto che “in una fattispecie di esternalizzazione a impresa terza dell’attività di distribuzione di carni vendute dalla contribuente, i costi per “carburanti, manutenzione, ammortamento, autostrada ecc.” di veicoli di proprietà della medesima contribuente, ma concessi in comodato all’impresa che svolge in esclusiva l’attività di trasporto, sono deducibili…, in quanto le spese per la detta esclusiva attività di distribuzione si inseriscono “nel programma economico” della contribuente e debbono perciò ritenersi inerenti la sua attività produttiva” (circa la differente ma affine tematica dell’ammortamento di beni in comodato funzionali alla produzione si vedano Cass. sez. 5, 21/01/2011, n. 1389, Rv. 616310-01, e Cass. sez. 5, 21/01/2009, n. 1465, Rv. 606467-01, entrambe richiamate dalla citata Cass. sez. 5, n. 16730/2015).
Medesimezza di ratio ricorre nella fattispecie in esame. Essa è difatti caratterizzata, sostanzialmente, da esternalizzazione non di attività di vendita di prodotti della società contribuente bensì di attività di produzione di beni (nella specie, lavorati in plastica), e, quindi dalla strumentalità rispetto all’attività d’impresa della società deducente i costi e detraente l’IVA. I detti beni sono stati difatti utilizzati da POLPLASTIC s.p.a. nel proprio ciclo produttivo, inserendosi nel relativo programma economico, come emerge dalla sentenza impugnata ma anche dal ricorso, dal controricorso e dagli atti impositivi (nella parte in cui sono riportati nel ricorso ai fini dell’a utosufficienza).
Quanto detto è altresì in sintonia con quanto recentemente statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, in sede di risoluzione di un contrasto interpretativo, ancorchè in merito a fattispecie non perfettamente sovrapponibile alla presente ma ricadente nella medesima ratio sottesa alla deducibilità di costi e detraibilità dell’IVA in ragione del nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale. Cass. Sez. U., 11/05/2018, n. 11533, anche muovendo dal principio della neutralità d’imposta come anche recentemente riaffermato dalla giurisprudenza unionale, ha difatti chiarito che il diritto alla detrazione IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione deve essere riconosciuto anche per gli immobili di proprietà di terzi, purchè sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva e finanche se – per cause estranee al contribuente – la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi.
Sicchè, ex art. 384 c.p.c., comma 1, deve formularsi il seguente principio di diritto, al quale dovrà attenersi il giudice del rinvio: “in caso di esternalizzazione a impresa terza dell’attività di produzione di beni venduti dal contribuente, i relativi costi per l’utilizzo del capannone (nella specie, di acqua, energia elettrica, gas e telefono) e per la manutenzione dei macchinari di sua proprietà, concessi in comodato all’impresa che svolge, in esclusiva, per il comodante l’attività di produzione, sono deducibili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), comma 5, con conseguente detraibilità della relativa IVA D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, trattandosi di spese che s’inseriscono nel suo programma economico e devono, pertanto, ritenersi inerenti la sua attività produttiva in quanto ad essa strumentali”.
Cassata sul punto la sentenza impugnata, nella specie non può questa Corte decidere nel merito, necessitando una valutazione di merito circa l’esclusività della detta attività da parte della comodataria (Rox s.r.l.) in favore della comodante, con riferimento ai periodi in contestazione. Occorre in particolare valutare le prove acquisite al fine di verificare quali dei costi siano in concreto deducibili (con conseguenze anche in termini di detraibilità della relativa IVA), relativamente ai periodi d’imposta considerati, in quanto sopportati per capannone e macchinari utilizzati dalla comodataria in via esclusiva per l’esternalizzata attività di produzione della comodante (vista anche la specificazione dei periodi di esclusiva fatta dalla ricorrente incidentale).
7. In conclusione, rigettati il ricorso principale ed i motivi nn. 5, 7, 8, 9, 10 ed 11 del ricorso incidentale nonchè dichiarato inammissibile il motivo n. 6 del detto ricorso incidentale, in accoglimento del solo primo motivo del ricorso incidentale (motivo n. “4”), la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
accoglie il solo primo motivo del ricorso incidentale (motivo n. “4”), rigettati il ricorso principale ed i motivi nn. 5, 7, 8, 9, 10 ed 11 del ricorso incidentale nonchè dichiarato inammissibile il motivo n. 6 del detto ricorso incidentale, cassa, in riferimento al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018
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