Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.28376 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22274/2011 R.G. proposto da:

G.D. AUTO s.r.l., (c.f.: *****), con sede a *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Francesco Moschetti, con studio a Padova, Passeggiata del Carmine n. 2 e dall’Avv. Prof. Francesco d’Ayala Valva, con studio in Roma, viale Parioli n. 43, con domicilio eletto in Roma, viale Parioli, n. 43, presso lo studio dell’Avv. Prof.

Francesco d’Ayala Valva;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione regionale di Venezia – Mestre, depositata il 16 giugno 2010.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 06 giugno 2018 dal Consigliere Dott. Fabio Antezza.

FATTI DI CAUSA

1. Con due avvisi di accertamento notificati a G.D. AUTO s.r.l., esercente l’attività di commercio di autoveicoli, l’A.E. contestò alla contribuente, per gli anni d’imposta 2002 e 2003, l’errata applicazione del regime speciale del margine di utile su operazioni imponibili a fini IVA (oltre applicazione delle relative sanzioni pecuniarie). Le contestazioni si riferivano ad operazioni inerenti autovetture usate acquistate da altro rivenditore (Autonova s.r.l.) che, a sua volta, nell’acquistarle da venditori comunitari, aveva indebitamente applicato il medesimo regime speciale, in luogo del corretto regime ordinario, per essere i cedenti soggetti recuperanti l’IVA sui propri acquisti (in un caso per averla acquistata direttamente da rivenditore tedesco).

Avverso il detto atto impositivo il contribuente propose ricorso dinanzi alla CTP di Treviso, accolto con sentenza n. 12/7/2008, depositata il 19 marzo 2008 ed impugnata dall’A.E. (odierna ricorrente). Quest’ultima, sindacando in toto la sentenza impugnata, riprospettò l’assunto dell’applicabilità del regime speciale del margine solo nel caso di acquisto da soggetto non recuperante l’IVA, laddove i venditori, nella specie, l’avevano invece recuperata. Le conseguenze dell’irregolare ricorso al regime speciale in esame, sempre per l’appellante, necessariamente avrebbero dovuto ripercuotersi sul contribuente che aveva acquistato i beni da altro rivenditore, nonostante la conoscibilità da parte sua della mancanza della suddetta condizione essenziale per l’operatività dello speciale regime.

2. La CTR di Venezia – Mestre con sentenza n. 50/14/2010, emessa il 15 aprile 2010 e depositata il 16 giugno 2010, ripercorrendo diffusamente le tesi prospettate dalle parti anche in primo grado, accolse, in toto, l’appello dell’A.E.. Essa, principalmente, convenne con le deduzioni del ricorrente in appello circa il requisito principale per l’applicazione del regime speciale del margine, costituito dall’essere i cedenti soggetti non recuperanti l’IVA, ed in merito all’indebito ricorso al detto regime da parte del contribuente, ancorchè cessionario di altro rivenditore che, a sua volta, aveva indebitamente applicato il detto regime. La CTR, infine, escluse l’applicabilità del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8,con riferimento alle sanzioni pecuniarie irrogate per la violazione della suddetta disciplina, oggetto di specifica domanda di parte fondata sulla sussistenza di incertezza interpretativa.

3. Contro la sentenza d’appello la G.D. AUTO s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi (considerato quello avente la numerazione “3.1” e rilevato l’errore materiale nella numerazione dell’ultimo, che riporta nuovamente il n. “6”), mentre l’A.E. si è difesa con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è in parte inammissibile (motivi nn. 3.1 e 6) ed in parte infondato (motivi nn. 1, 2, 3, 4, 5, 7, nonchè l’ultimo motivo, per errore materiale recante nuovamente la numerazione “6”).

2. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Sostanzialmente, nonostante il riferimento al n. 3 e non al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., il ricorrente argomenta la nullità della sentenza impugnata per avere la CTR “tralasciato in toto”, nella ricostruzione del fatto, la sentenza di primo grado e le controdeduzioni in appello, nonchè le memorie depositate dal contribuente sia in primo che in secondo grado.

2.1. Il motivo in esame non merita accoglimento.

In ordine ad esso è difatti appena il caso di rilevare che, differentemente da quanto prospettato dal ricorrente, la CTR si è diffusa nell’esposizione dei fatti rilevanti per la causa, peraltro proprio muovendo dalle ragioni addotte dal contribuente in primo grado (come emerge dalla stessa sentenza in atti). Dalla motivazione emergono altresì, altrettanto diffusamente, le ragioni giuridiche della decisione, avendo considerato non solo i motivi d’appello (in essi esplicitanti anche le ragioni giuridiche sottese alla decisione di primo grado impugnata) ma anche le controdeduzioni.

3. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla “questione pregiudiziale attinente al presupposto di applicazione del regime del margine (con particolare riferimento all’ultimo caso previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, comma 1)”, costituito, in sostanza, dall’essere il cedente (nella specie, dante causa dell’attuale ricorrente) soggetto passivo d’imposta assoggettante l’operazione allo stesso regime speciale del margine in esame.

3.1. Il secondo motivo di gravame è, per un aspetto, inammissibile oltre che infondato, sotto altro profilo (al di là del riferimento in esso alla: “questione pregiudiziale”).

In primo luogo, il detto motivo è inammissibile laddove si sostanzia in una critica non della sentenza impugnata bensì dell’appello dell’A.E., poi accolto dalla CTR (comunque infondata, per quanto di seguito esplicitato con riferimento ai successivi motivi di gravame).

Trattasi altresì di motivo infondato anche perchè la sentenza gravata muove proprio dal detto presupposto dell’operatività dello speciale regime del margine e dalla relativa interpretazione per argomentare la correttezza degli avvisi di accertamento. La Corte territoriale mostra dunque di non convenire con il contribuente che, come emerge anche dalla disamina dei successivi motivi di ricorso, muove dallo stesso presupposto per sostenere la contraria tesi per la quale non sarebbe addebitabile al cessionario l’indebita applicazione del regime speciale in esame se inserita in una precedente catena di acquisti e cessioni ove il proprio dante causa abbia anche egli applicato, ancorchè indebitamente, il medesimo regime.

4. I motivi nn. 3, 3.1, 4, 5 e 6 possono trattarsi congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.

Il ricorrente si duole, principalmente, della violazione del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 36, comma 1, ultimo periodo (conv., con modif., dalla L. 22 marzo 1995, n. 85), sotto un duplice profilo.

Egli asserisce, in primo luogo, che non sarebbe addebitabile al cessionario (nella specie G.D. AUTO s.r.l.) l’illegittima applicazione del regime speciale dell’IVA sul margine di utile se inserita in una precedente catena di acquisti e cessioni, ove il proprio dante causa (nella specie, Autonova s.r.l.) abbia anche egli applicato il medesimo regime, ancorchè in caso non consentito per essere il suo dante causa (o il dante causa del dante causa) soggetto detraente l’IVA (motivo n. 3).

In secondo luogo, il ricorrente paventa l’insussistenza in capo al cessionario, che intenda avvalersi dello speciale regime in oggetto, di un dovere di diligenza al fine di verificare se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione (motivi nn. 4, 5 e 6, quest’ultimo con riferimento ai veicoli tedeschi e sotto il profilo della motivazione insufficiente). Si prospetta altresì un’omessa pronuncia circa la prova della violazione dello speciale regime in oggetto (motivo n. 3.1).

4.1. Gli assunti, nei limiti in cui sono ammissibili, sono destituiti di fondamento.

In forza del D.L. n. 42 del 1995, citato art. 36 e dal diritto dell’Unione Europea (ora artt. 311-325 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006), limitatamente a quanto rileva ai presenti fini, per i rivenditori di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione nonchè di beni mobili usati suscettibili di reimpiego nello stato originario previa riparazione (come i veicoli aventi i requisiti di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 38, comma 4, secondo periodo, conv. dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427), l’IVA relativa alla rivendita è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie. Ferma restando, però, la facoltà del contribuente di applicare l’imposta nei modi ordinari, per ciascuna cessione. Ai fini dell’applicabilità del detto regime è necessario che l’acquisto sia stato effettuato da un privato consumatore, oppure da soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (perchè la cessione del bene da parte sua è esentata) o che abbia agito nel proprio Stato membro in regime di franchigia ovvero che abbia sua volta assoggettato la cessione al regime del margine.

Come di recente chiarito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, lo scopo del regime del margine è di evitare la doppia imposizione e le distorsioni di concorrenza tra soggetti passivi nei detti settori (“considerando” 51 della direttiva IVA). Implicherebbe difatti doppia imposizione assoggettare ad imposta, per l’intero prezzo, la cessione di detti beni od oggetti da parte di un soggetto passivo rivenditore, allorchè il prezzo al quale quest’ultimo ha acquistato il bene stesso incorpora un importo di IVA assolto a monte da soggetto appartenente ad una delle categorie innanzi indicate e che nè esso nè il soggetto passivo-rivenditore sono stati in grado di detrarre.

Condizione per l’applicazione del regime del margine alla cessione del bene è, quindi, che il bene sia stato acquistato da un soggetto il quale, come appunto quelli sopra menzionati, non ha potuto detrarre l’imposta pagata a monte all’atto dell’acquisto del bene e, pertanto, ha sopportato integralmente l’imposta stessa. L’esistenza del diritto alla detrazione esclude difatti il rischio della doppia imposizione e, quindi, la conseguente possibilità di sottrarre l’operazione al regime normale dell’IVA. Il regime d’imposizione del (solo) margine di utile realizzato in occasione della cessione costituisce quindi un regime speciale facoltativo, derogatorio del sistema generale di cui alla direttiva 2006/112 e rispetto a questo meno oneroso (contemplando una base imponibile ridotta). Ne consegue che la disciplina concernente il relativo ambito applicativo deve essere interpretata restrittivamente, nei soli limiti di quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo dell’istituto (in tali sensi, limitando i riferimenti a quelli più recenti, Cass. Sez. U., 12/09/2017, n. 21105, Rv. 645308-01, nonchè Corte di giustizia 8 dicembre 2005, causa C-280/04, Jyske Finans; 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi; 19 luglio 2012, causa C-160/11, Bawaria Motors; 18 maggio 2017, C-624/15, Litdana).

Premesso quanto innanzi esplicitato in ossequio alla ratio dell’istituto, necessariamente da leggersi in uno con l’esigenza di evitare pratiche elusive, ne deriva il rigetto del motivo n. 3 in applicazione del seguente principio, da enunciarsi ex art. 384 c.p.c., comma 1: “in tema di IVA, ai fini dell’applicabilità del regime speciale dell’imposizione del margine di utile realizzato, il riferimento di cui al D.L. n. 41 del 1995, art. 36 (conv., con modif., dalla L. n. 85 del 1995) all’acquisto di beni ceduti da soggetto passivo d’imposta che abbia assoggettato l’operazione al detto regime speciale deve essere interpretato nel senso di legittimo assoggettamento dell’operazione a tale regime da parte del cedente; sicchè, la condizione, oggettiva, di acquisto da soggetto non detraente l’imposta pagata a monte non sussiste nel caso in cui, come nella specie, il cedente abbia a sua volta applicato il medesimo regime speciale ma acquistando da soggetto detraente l’IVA”.

Le dette conclusioni, in linea con la ratio legis, sono ulteriormente confortate dell’interpretazione teleologica del citato art. 36, comma 1, ultimo periodo. Esso, laddove precisa che si considerano acquistati da privati anche i beni ceduti da soggetto passivo d’imposta che abbia assoggettato l’operazione allo speciale regime del margine d’utile, deve difatti essere interpretato nel senso di legittimo assoggettamento dell’operazione al detto regime, presupponente quindi un dante causa (nella specie, dante causa del cedente nell’ambito della catena) assolvente l’IVA a monte senza possibilità di detrarla. Ciò in linea con la natura del regime speciale in oggetto, favorevole per il contribuente oltre che facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente ed applicata in termini rigorosi (circa la facoltatività, la portata derogatoria e l’applicazione dell’istituto in esame in termini rigorosi ed all’esito di interpretazione restrittiva, ex plurimis, Cass. Sez. U., n. 21105 del 2017, Rv. 645308-01).

E’ infine non pertinente l’assunto del ricorrente per il quale l’interpretazione di cui innanzi finirebbe per implicare una, possibile, doppia imposizione, a carico del cedente e del cessionario. Esso difatti si fonda su una sovrapposizione tra il detto presupposto oggettivo e quello soggettivo (di cui ai successivi motivi di gravame) oltre che tra il piano dell’operatività dell’istituto e quello dell’accertamento e dell’addebitabilità dell’illegittimo ricorso ad esso.

4.2. Con particolare riferimento al secondo profilo (motivi nn. 4 e 5), quello inerente i connessi doveri di diligenza gravanti sul contribuente che intenda fruire del detto regime speciale, deve in questa sede richiamarsi il recente arresto di legittimità, tale da chiarire anche l’ambito e l’estensione del relativo onere probatorio.

Trattasi di principio, al quale si intende dare seguito, recentemente fatto proprio dalle Sezioni unite di questa Corte che però hanno confermato ed ulteriormente specificato precedenti arresti delle sezioni semplici, anche in considerazione della normativa comunitaria nonchè di diverse pronunce della Corte di giustizia, tra le quali la recente Corte giust., 18 maggio 2017, causa C-624/15, Litdana.

In tema di IVA, difatti, come chiarito da Sez. U., n. 21105 del 2017, Rv. 645308-01, “il regime del margine – previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36, conv. con modif. in L. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole” (in senso conforme la successiva Sez. 5, 16/02/2018, n. 3819, Rv. 646942-01, oltre che, sostanzialmente, la precedente Sez. 5, 24/07/2015, n. 15630, Rv. 636112-01).

Premesso quanto innanzi, deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del richiamato principio inerente il profilo del dovere di diligenza che avrebbe dovuto assolvere il contribuente, in quanto imprenditore commerciale esercente attività di rivendita di autoveicoli usati anche mediante acquisto da altra società, a sua volta cessionaria con riferimento ad imprenditori commerciali esteri.

Sicchè, i motivi nn. 4 e 5, non meritano accoglimento, avendo il contribuente contestato alla sentenza impugnata proprio l’aver fatto riferimento (a suo dire non consentito) al detto dovere di diligenza.

4.3. Sul punto del presupposto soggettivo del corretto ricorso allo speciale regime del margine d’utile, costituito dalla buona fede, inammissibile è poi la connessa doglianza relativa all’omessa pronuncia circa la mancanza di prova della provenienza dei veicoli da “società estere di autonoleggio e leasing” (motivo n. 3.1). Essa difatti, comunque generica, sotto la forma dell’omessa pronuncia tende sostanzialmente a riproporre in sede di legittimità questioni di fatto circa aspetti probatori in ordine ai quali la sentenza impugnata evidenzia le fonti di prova (compresi i libretti di circolazione) dai quali sono stati argomentati oltre che il relativo coerente iter logico-giuridico.

4.4. Parimenti inammissibile è il connesso motivo n. 6, con il quale si deduce l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata quanto al dovere di diligenza collegato alle carte di circolazione tedesche che, a dire del ricorrente, nel caso concreto, non riprodurrebbero l’indicazione del precedente proprietario potendo in esse non essere riportati tutti i precedenti proprietari, in caso di rivendita dopo breve periodo.

L’inammissibilità del motivo deriva dalla sua genericità, limitandosi a riportare l’esito di una “consulenza” prodotta in sede di merito ma di mero diritto (cioè relativa al diritto del citato stato estero) e non prospettante dati fattuali con riferimento ai quali, a dire del contribuente, vi sarebbe stata insufficiente motivazione.

Si riscontra difatti la mera asserzione per la quale in Germania quanto descritto circa la possibilità che dal libretto non risultino tutti i precedenti proprietari potrebbe verificarsi, senza che siano però addotti elementi (che il giudice di merito avrebbe tralasciato) per argomentare che ciò in concreto si possa essere verificato. Ciò, oltretutto, a fronte della sentenza impugnata che, come detto, ritiene provata la provenienza dei veicoli da imprenditori commerciali del settore. La CTR, comunque, mostra, ancora una volta, di aver fatto applicazione del principio ribadito da questa Corte a Sezioni Unite (con la citata sentenza n. 21105 del 2017) circa l’onere della prova in capo al contribuente nel caso di sussistenza di indizi idonei a far sorgere il sospetto della provenienza dei beni da soggetto detraente IVA (di cui all’esame dei precedenti motivi nn. 4 e 5).

5. Con il motivo n. 7 (in relazione all’art. 112 c.p.c., ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) si deduce l’omessa pronuncia sul giudicato interno della sentenza di primo grado in relazione all’unico acquisto effettuato da parte della G.D. AUTO s.r.l. direttamente dal rivenditore tedesco “Stolz” (anno 2003). In sostanza il ricorrente si duole della circostanza per la quale la CTR non avrebbe pronunciato in merito ad un’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’A.E. avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso anche sul punto (ritenendo, per come prospettato dall’attuale ricorrente, correttamente applicato lo speciale regime del margine per aver il detto rivenditore tedesco a sua volta acquistato da un privato al quale aveva in precedenza venduto il veicolo).

5.1. Il motivo, articolato solo in termini di omessa pronuncia, non merita accoglimento.

Dalla sua articolazione, oltre che dalla sentenza impugnata, emerge che, effettivamente, l’appello proposto dall’A.E. riguardava in toto la sentenza di primo grado, quindi anche il punto in esame avente ad oggetto il recupero a tassazione con riferimento all’acquisto dal detto rivenditore tedesco. In merito, però, non si registra un’omessa pronuncia, avendo la CTR accolto in toto il gravame e, per l’effetto, riformato, in toto, la gravata sentenza, così rigettando l’eccezione di inammissibilità.

A riguardo è significativa, al fine di evidenziare l’assenza dell’omessa pronuncia, anche l’ultima argomentazione con la quale la CTR, anche se al fine di solo ulteriormente motivare la non applicabilità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, precisa: “in proposito è il caso di evidenziare che una delle autovetture di cui si discute in causa fu acquistata dalla società “GD. Auto”, direttamente dalla società tedesca “Stolz”, applicando anche in questo caso il regime del margine, certamente con piena consapevolezza da parte degli attuali ricorrenti dell’illegittimità della condotta”.

6. Parimenti infondato (nonchè, in parte, inammissibile) è l’ultimo motivo (recante, per mero errore materiale, nuovamente il n. “6”).

Con esso si deduce (in relazione all’art. 350 c.p.c., comma 1, n. 5) l’insufficiente motivazione in merito all’inapplicabilità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, con riferimento alla sanzione amministrativa pecuniaria applicata al contribuente dall’Amministrazione finanziaria per la violazione della richiamata normativa inerente lo speciale regime dell’IVA sul margine di utile. La motivazione, in particolare, è tacciata di insufficienza nella parte in cui rigetta l’istanza proposta dal contribuente, ai sensi del citato art. 8, ritenendo inesistente “alcuna incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa richiamata”. La CTR, a detta del ricorrente, non considererebbe quindi: una (paventata) “”opinione dissenziente” della Cassazione”; la circostanza della diversa interpretazione della stessa norma da parte del giudice di primo grado, oltre che un asserito contrasto tra la circolare dell’A.E. n. 40 del 18 luglio 2013 e la precedente nota della Direzione regionale delle entrate del Veneto n. 8526 del 25 aprile 2002.

Per quanto evidenziato dallo stesso ricorrente (oltre che emergente dalla sentenza impugnata) trattasi di istanza di applicazione della disciplina dell’errore sulla norma tributaria, formulata con specifico riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 e motivata in base ad obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce. L’obiettiva incertezza, sempre per quanto esplicitato dallo stesso ricorrente, è stata prospettata al giudice di merito come derivante da un contrasto giurisprudenziale oltre che da un asserito contrasto tra la circolare dell’A.E. n. 40 del 18 luglio 2013 e la precedente nota della Direzione regionale delle entrate del Veneto n. 8526 del 25 aprile 2002. Solo con la circolare del 2003, si asserisce nel ricorso, diversamente da quanto invece avrebbe chiarito la precedente nota del 2002, si interpreterebbe la normativa di riferimento (inerente lo speciale regime del margine) nel senso dell’attribuzione in capo al cedente di un dovere di controllo giuridico sul comportamento del cessionario.

Il ricorrente, dunque, non deduce di aver chiesto al giudice di merito l’applicazione del diverso della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 2 (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”), in termini di tutela dell’affidamento del contribuente su precedenti atti dell’Amministrazione. A ciò aggiungasi, in merito all’effettiva portata della nota e della circolare di cui innanzi (comunque non esaustivamente riportate nel ricorso che, quindi, pecca in autosufficienza), che non di controllo trattasi bensì di accertamento della buona fede del cedente alla stregua dell’obbligo di diligenza esigibile (nei termini di cui alla trattazione dei motivi nn. 3 e 4). Il motivo in esame non potrebbe altresì essere inteso in termini di domanda direttamente rivolta a questa Corte, ai sensi del citato art. 10, comma 2, altrimenti inammissibile in quanto domanda nuova in sede di legittimità (sul punto della novità della domanda si vedano, per il costante orientamento di questa Corte, ancorchè in fattispecie non perfettamente coincidenti, ex plurimis: Cass. sez. 65, n. 14/07/2016, n. 14402, Rv. 640536-01; Cass. sez. 5, 12/11/2014, n. 24060, Rv. 633464-01).

6.1. Premesso quanto innanzi circa la portata del motivo in esame, la dedotta insufficienza non sussiste, avendo la sentenza impugnata esplicitato le relative ragioni del rigetto.

Il passaggio motivazionale sindacato (innanzi riportato) deve difatti leggersi alla stregua di quanto argomentato in precedenza dalla CTR circa i presupposti, oggettivi e soggettivi, necessitanti per l’applicabilità dello speciale regime dell’IVA sul margine d’utile, ed in particolare non solo in merito all’assenza di contrasti giurisprudenziali sul punto ma anche in virtù del diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di giustizia (si veda quanto sopra argomentato circa i precedenti motivi nn. 3, 4 e 5).

Sul punto, difatti, la sentenza impugnata motiva ritenendo non sussistente “alcuna incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione” della normativa inerente lo speciale regime dell’IVA sul margine di utile. Tale parte motiva deve intendersi in riferimento a quanto emerge dalle argomentazioni che la precedono nel corpo della motivazione, circa la necessità che la condizione di acquisto da soggetto non deducente l’IVA debba sussistere anche in caso di una catena di cessioni oltre che in merito al dovere di diligenza gravante in capo al cessionario.

Deve altresì aggiungersi che il ricorrente, al fine di argomentare la dedotta insufficienza motivazionale, non correttamente vorrebbe far derivare le “obiettive condizioni di incertezza”, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8: da una paventata ma insussistente “”opinione dissenziente” della Cassazione”; dal contrario avviso del giudice di primo grado in seno allo stesso processo, invece ontologicamente non annoverabile in termini di contrasto giurisprudenziale, oltre che da un asserito contrasto tra la circolare dell’A.E. n. 40 del 18 luglio 2013 e la precedente nota della Direzione regionale delle entrate del Veneto n. 8526 del 25 aprile 2002, invece irrilevante nei termini innanzi già chiariti.

Nel ricorso, in particolare, si asserisce l’esistenza della dissenziente opinione di questa Suprema Corte circa i presupposti di applicabilità dello speciale regime in esame invece insussistente. Ciò è ulteriormente dimostrato dal citato intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 21105 del 2017, volto a risolvere non un contrasto nella giurisprudenza di legittimità bensì una questione di massima di particolare importanza, confermando ed ulteriormente specificando il consolidato orientamento del Giudice di legittimità.

L'””opinione dissenziente” della Cassazione”, prospettata dal ricorrente, in relazione alla quale si deduce il vizio di motivazione, oltre a non sussistere afferisce a sentenze di legittimità inerenti altro istituto e, comunque, come anche egli rileva, in linea con l’orientamento consolidato della Suprema Corte. Il riferimento è, in particolare, a Cass. sez. 5, 18/02/2000, n. 1841, Rv. 534056-01, in merito alla differente materia dell’obbligo gravante sul cessionario ricevente una fattura irregolare di provvedere alla regolarizzazione dell’operazione, con la presentazione di un documento integrativo e versamento dell’imposta dovuta, tale però da non implicare anche un sindacato sulle valutazioni giuridiche espresse dall’emittente (in senso conforme anche: Cass. sez. 5, 23/02/2001, n. 4284, Rv. 545136-01; Cass. sez. 5, 19/04/2001, n. 5805, Rv. 546091-01; Cass. sez. 5, 20/04/2001, n. 5880, Rv. 546123-01). Come già innanzi detto, però, cosa ben differente è il richiesto obbligo di diligenza in capo al contribuente in relazione alla buona fede quale requisito soggettivo dello speciale regime in esame.

7. In conclusione, dichiarati inammissibili i motivi nn. 3.1 e 6 nonchè ritenuti infondati gli altri, il ricorso è rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che, in attuazione delle tabelle applicabili ratione temporis, si liquidano in Euro 10.179,00, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i motivi nn. 3.1 e 6 del ricorso e rigetta gli altri, condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 10.179,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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