Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.28377 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26613/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

G.P., residente in Monopoli, via Ludovico Ariosto n. 44;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Bari, depositata il 13 settembre 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06 giugno 2018 dal Consigliere Dott. Fabio Antezza.

FATTI DI CAUSA

1. Con avviso di accertamento notificato il 6 luglio 2005, l’Agenzia delle Entrate (Ufficio di *****) rettificò a carico di G.P., esercente l’attività di commercio di autoveicoli, il reddito di impresa prodotto nell’anno d’imposta 2002 (da Euro 15.665,00 ad Euro 89.459,00), recuperando a tassazione maggiori ricavi per complessivi Euro 73.804,50, scaturiti da omessa fatturazione, per Euro 69.029,29, ed omessa registrazione di corrispettivi, per Euro 4.775,21. L’avviso in questione, nel dettaglio, si fondava anche su due PVC della G. di F. (del 26 luglio 2002 e del 10 febbraio 2003), con addebito di maggiori imposte per IRPEF, addizionale regionale, addizionale comunale, IRAP ed IVA, in parte per errata applicazione del regime del margine di utile su operazioni imponibili ed in parte per omessa fatturazione, oltre contributi previdenziali, interessi e sanzioni.

2. Avverso il detto atto impositivo il contribuente propose ricorso dinanzi alla CTP di Bari, accolto con sentenza n. 149/8/08, emessa il 13 giugno 2008 e depositata il 16 settembre 2008.

Per quanto rileva ai presenti fini, il Giudice di primo grado (come emerge dall’attuale ricorso nonchè dalla sentenza impugnata) ritenne che la mancata produzione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della documentazione indicata nell’avviso di accertamento rendesse le relative contestazioni delle semplici affermazioni di fatti sprovvisti di prova. Trattavasi dei due PVC, citati nella motivazione del provvedimento impositivo ma ad esso non allegati e non prodotti in primo grado, nonchè di altri documenti che, nella prospettiva dell’Amministrazione finanziaria, avrebbero evidenziato la mancata emissione di fatture di vendita da parte del ricorrente (questionari inviati a fornitori, documentazione acquisita dalla G. di F. e posta a raffronto dei detti questionari).

3. La CTR di Bari, adita dall’Agenzia dell’Entrate (odierna ricorrente), con sentenza 113/7/10, emessa il 15 aprile 2010 e depositata il 13 settembre 2010, rigettò l’appello. Essa in particolare convenne con il giudice di primo grado circa l’assenza di prova delle contestazioni mosse dall’Amministrazione Finanziaria, nonostante la produzione in secondo grado (in sede di presentazione del ricorso) della documentazione di cui innanzi. Tale produzione, pur ammissibile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, a detta della CTR, non avrebbe potuto sostituirsi alle prove fondanti la pretesa fiscale, da prodursi solo in primo grado).

Pur ritenendo superfluo l’esame delle “doglianze relative al merito della controversia”, in ragione del ritenuto insussistente difetto di motivazione della sentenza impugnata, la CTR comunque ritenne correttamente applicato lo speciale regime dell’IVA sul margine di utile, sulla scorta del riconoscimento, da parte dello stesso appellante, della circostanza per la quale il contribuente commercializzava autoveicoli usati provenienti prevalentemente da Paesi UE. A ciò il Giudice di secondo grado aggiunse che la stessa Agenzia delle entrate non avrebbe escluso che trattavasi di cessione di beni effettuata da privati o ad essi assimilati (come richiesto dalla normativa in materia). Circa le contestazioni inerenti l’omessa ed irregolare fatturazione, sollevate sulla base di questionari inviati a fornitori, concluse la CTR che l’Amministrazione avrebbe potuto facilmente riscontrarne la regolarità mediante una (non disposta), “indagine ad hoc presso il PRA, necessaria al fine di verificare l’effettiva cessione degli autoveicoli”.

4. Contro la sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, mentre G.P., già contumace in secondo grado, non si è difeso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, in accoglimento dei motivi secondo, quinto e sesto, con assorbimento del motivo settimo, rigetto del motivo primo e dichiarazione di inammissibilità dei motivi terzo e quarto.

2. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 339 c.p.c. e ss. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 52 e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed all’art. 62, comma 1 citato decreto. Il ricorrente sostanzialmente si duole della circostanza per la quale la CTR, ritenendo assorbente il rigetto del motivo di appello concernente il difetto di motivazione della sentenza di primo grado, avrebbe, per ciò solo, ritenuto “superfluo l’esame” delle “doglianze attinenti al merito della controversia”, pur costituenti specifici motivi di impugnazione, così non considerando il carattere devolutivo dell’appello.

2.1. Il primo motivo è infondato.

In merito rileva difatti l’assorbente circostanza per la quale all’esito del rigetto del primo motivo d’appello la CTR, pur ritenendolo superfluo in forza delle argomentazioni del detto rigetto, ha vagliato anche le altre doglianze, cioè quelle inerenti “al merito della controversia” (applicazione del regime speciale dell’IVA sul margine di utile ed omessa contabilizzazione di vendite di autovetture). Ciò emerge dalla sentenza impugnata (pag. 5), dallo stesso ricorso, che la riporta nell’esposizione dei fatti (pag. 7), ed in particolare dai motivi nn. 5, 6 e 7, con i quali l’Agenzia delle entrate si duole proprio dell'”esame del merito” da parte della CTR.

3. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed all’art. 62, comma 1, del citato decreto. Il ricorrente sostanzialmente si duole della circostanza per la quale la CTR, confermando la sentenza di primo grado sul punto, avrebbe ritenuto ammissibili ma non utilizzabili a fini probatori (inerenti le contestazioni di cui al provvedimento impositivo) i documenti indicati nell’avviso di accertamento e non depositati in primo grado ma contestualmente al ricorso in appello.

3.1. Il secondo motivo di gravame merita accoglimento, con assorbimento del settimo motivo e con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

La questione inerisce l’esegesi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, disciplinante le “nuove prove in appello”.

Ai sensi del primo comma della detta norma, il giudice d’appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle fornite nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. Il comma 2 del detto art. 58 fa però salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti.

Come già chiarito da questa Corte, il comma 2 di cui innanzi consente la produzione nel giudizio di appello di documenti, pur se già disponibili in precedenza (ex plurimis, Cass. sez. 6-5, 06/11/2015, n. 22776, Rv. 637175-01) ed in assenza delle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c., alla luce del principio di specialità espresso dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima (ex plurimis, Cass. sez. 5, 22/11/2017, n. 27774, Rv. 646223-01).

Ritenere però, come ha fatto la ctr ammissibile la produzione documentale in appello, alla stregua del citato art. 58, comma 2, ed allo stesso tempo non considerarla ai fini della formazione della prova, sostenendo che quest’ultima debba formarsi solo in primo grado in ragione di quanto disposto dallo stesso art. 58, comma 2 in ordine alle “nuove prove in appello”, implica non solo una contraddizione in termini bensì non corretta interpretazione della disposizione in esame.

Il disposto del citato art. 58, comma 2, difatti, che, come detto, non è soggetto alle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c., ha portata derogatoria rispetto ai limiti dell’assunzione/acquisizione di nuove prove in appello, di cui al primo comma dello stesso articolo.

Sicchè, ex art. 384 c.p.c., comma 1, deve formularsi il seguente principio di diritto, al quale dovrà attenersi il giudice del rinvio: “in tema di contenzioso tributario, è ammissibile la produzione nel giudizio d’appello di nuovi documenti D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, comma 2, senza che operino le preclusioni previste dall’art. 345 c.p.c. e quale deroga ai limiti imposti dal comma 1 dello stesso art. 58, dovendo quindi il giudice considerarli ai fini della formazione della prova nonchè fondare la propria decisione anche in base ad essi, non potendo egli invece ritenerli ammissibili ma non utilizzabili adducendo, come necessaria, la formazione della prova solo in primo grado”.

Con il settimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. “2637”, 2727 e 2729 ed insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1.

Nonostante la formulazione del motivo in oggetto nei termini di cui innanzi, il suo assorbimento nella pronuncia sul secondo motivo si argomenta dal fatto che il ricorrente sostanzialmente si duole della circostanza per la quale la CTR avrebbe annullato il rilievo concernente l’omessa contabilizzazione della vendita di alcune autovetture, desunta dalle risposte a questionari fornite da un intermediario e da una società finanziaria, nel presupposto che l’Ufficio non avrebbe dimostrato l’avvenuta cessione dei veicoli in contestazione attraverso “un’indagine ad hoc presso il PRA”. La CTR, quindi, avrebbe negato valore probatorio ai questionari che, peraltro, a suo stesso dire non avrebbero potuto essere utilizzati a fini probatori in secondo grado, ancorchè ammessi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, e senza valutare, ai fini del processo inferenziale, altri elementi indicati nell’accertamento ed emergenti dalla detta documentazione.

4. I motivi nn. 3 e 4, che possono trattarsi congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, sono inammissibili in quanto censurano argomentazione della sentenza impugnata svolta solo ad abundantiam e non costituente ratio decidendi della stessa (per il detto profilo di inammissibilità si vedano, ex plurimis, Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755, e Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).

4.1. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992.

Con il quarto motivo, invece, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed all’art. 62, comma 1, innanzi citato.

Sostanzialmente il ricorrente si duole, sotto i due profili di cui innanzi, della circostanza per la quale il giudice d’appello avrebbe affrontato, peraltro male interpretando la norma sostanziale di riferimento, la questione inerente l’obbligo motivazionale gravante sull’Amministrazione finanziaria con riferimento all’avviso di accertamento, non fatta oggetto di motivo di gravame (proposto peraltro dalla sola Agenzia delle Entrate). L’accoglimento in primo grado era difatti motivato in ragione, principalmente, delle dette carenze probatorie oltre che per circostanze afferenti l’applicazione dello speciale regime dell’IVA sul margine di utile e l’omessa contabilizzazione.

Le due censure non colgono però la reale ratio decidendi della sentenza impugnata, da individuarsi, come detto al precedente punto 2.2., nella considerazione della non utilizzabilità a fini probatori della documentazione prodotta in secondo grado e non nella nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione.

Deve in proposito evidenziarsi che la digressione del giudice d’appello in merito all’onere motivazionale gravante in capo all’Amministrazione circa l’avviso di accertamento in realtà costituisce, nella struttura della stessa sentenza impugnata, mero passaggio (non necessario) per l’argomentazione principale, inerente l’assenza di prova circa le contestazioni mosse al contribuente, in ragione della (ritenuta) non utilizzabilità a fini probatori della documentazione prodotta in secondo grado.

Quanto detto è ulteriormente confermato dalla circostanza per la quale la sentenza gravata, sul punto, conclude nel rigetto del motivo d’appello principalmente concordando con il giudice di primo grado proprio circa l’assenza di prova. Diversamente opinando il ricorrente avrebbe dovuto sindacare la sentenza per violazione del giudicato interno, non avendo il contribuente appellato la sentenza non accogliente lo specifico motivo inerente il difetto di motivazione, ma ciò non ha fatto proprio in forza della diversa ratio decidendi.

5. I motivi nn. 5 e 6, che possono trattarsi congiuntamente per la connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, meritano accoglimento, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Con essi sostanzialmente si deduce l’insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (motivo n. 5), nonchè la violazione e falsa applicazione del D.L. 23 febbraio 1885, n. 41, art. 36 (conv., con modif., dalla L. 22 marzo 1995, n. 85), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, con riferimento tanto ai presupposti per l’applicabilità dello speciale regime del margine di utile in materia d’IVA quanto dei criteri sottesi al riparto dell’onere probatorio.

5.1 In merito la sentenza gravata, nella parte di motivazione specificamente criticata dal ricorrente, recita: “in relazione all’applicabilità al contribuente accertato del c.d. regime speciale del margine, è appena il caso di rilevare che lo stesso Ufficio appellante riconosce che il contribuente commercializza autoveicoli usati provenienti prevalentemente da Paesi UE, in particolare Germania e Belgio, ed al tempo stesso non esclude trattarsi di cessioni di beni effettuata da privati o ad essi assimilati, come richiesto dalla normativa in materia”.

La stessa motivazione, quindi, evidenzia che l’avviso di accertamento prospetterebbe la sussistenza di taluni presupposti per l’applicabilità dello speciale regime in esame ma tralascia di considerare che in esso sono esplicitate le ragioni che ne negherebbero l’applicabilità (come emerge dall’avviso riportato nel ricorso). Essa tralascia di considerare altresì che l’Amministrazione ha contestato, in base ad elementi oggettivi e specifici, l’indebita fruizione da parte del cessionario di tale regime in quanto l’IVA non sarebbe stata assolta a monte dai cedenti, di vari Paesi comunitari (Germania, Belgio, Francia e Olanda), senza possibilità di detrazione (come emerge dallo stesso avviso di accertamento in parte riportato nel ricorso).

In ragione di quanto innanzi, quindi, la CTR avrebbe poi dovuto applicare l’ormai consolidato principio sancito da questa Corte in tema di riparto dell’onere probatorio circa il regime speciale del margine di utile in materia di IVA. Trattasi di principio recentemente fatto proprio dalle Sezioni Unite, le quali hanno però confermato ed ulteriormente specificato precedenti arresti delle sezioni semplici, anche in considerazione della normativa comunitaria nonchè di diverse pronunce della Corte di giustizia, tra le quali la recente Corte giust., 18 maggio 2017, causa C-624/15, Litdana.

In tema di IVA, difatti, come chiarito da Cass. Sez. U., 12/09/2017, n. 21105, Rv. 645308-01, “il regime del margine – previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36 conv. con modif. in L. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole” (in senso conforme la successiva Cass. sez. 5, 16/02/2018, n. 3819, Rv. 646942-01, oltre che, sostanzialmente, la precedente Cass. sez., 24/07/2015, n. 15630, Rv. 636112-01).

6. In conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso e dichiarati inammissibili i motivi terzo e quarto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, in esso assorbito il settimo motivo, oltre che dei motivi quinto e sesto, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti dei motivi accolti, e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

in accoglimento dei motivi nn. 2, 5, e 6, del ricorso, assorbito invece il motivo n. 7, rigettato il motivo n. 1 nonchè dichiarati inammissibili i motivi nn. 3 e 4, cassa, in riferimento ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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