LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –
Dott. ANTEZZA – rel. est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22991/2011 R.G. proposto da:
B.G., nato a *****, in qualità di titolare della ditta individuale ” G.B. & Associates”, con sede in *****, rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Macchion, del Foro di Brescia, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Ruggero Maria Gentile, in Roma in via Manlio di Veroli n. 2/4;
– ricorrente nonchè controricorrente al ricorso incidentale –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;
– controricorrente nonchè ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano, Sezione distaccata di Brescia, n. 226/67/2010, pronunciata l’8 novembre 2010 e depositata il 15 novembre 2010;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20 giugno 2018 dal Consigliere Dott. Fabio Antezza.
FATTI DI CAUSA
1. Con scrittura privata autenticata, il 13 marzo 2003 ***** s.r.l. (successivamente dichiarata fallita il 24 febbraio 2005) cedette a B.G., quale titolare della ditta individuale ” G.B. & Associates”, il credito d’IVA (pari ad Euro 160.00,00) maturato con riferimento all’esercizio finanziario 2002. Il detto atto di cessione il 16 maggio 2003 fu consegnato, da parte del cessionario B. (attuale ricorrente), all’Amministrazione che contestualmente rilascio, tramite suo impiegato, ricevuta recante la dizione “NOTIFICA CESSIONE CREDITO IVA”. Circa un mese prima della cessione del credito (il 24 febbraio 2003), la s.r.l. cedente presentò modello “VR”, per l’anno d’imposta 2002, per ottenere il rimborso della detta imposta, con successiva liquidazione di essa in data 7 agosto 2003 da parte del concessionario della riscossione. Il successivo 30 agosto 2006 il cessionario B. presentò istanza di liquidazione della detta somma di Euro 160.000,00 e l’A.E. gli comunicò la già intervenuta liquidazione del 7 agosto 2003 del credito d’IVA in favore della ***** s.r.l. (cedente), con nota del 4 settembre 2006 (ricostruzione dei fatti pacifica tra le parti ed emergente dal ricorso, dal ricorso incidentale, dai controricorsi oltre che dalla sentenza impugnata).
2. La CTP di Brescia accolse il ricorso proposto da B. avverso la nota dell’Amministrazione ritenendola, diversamente da quanto eccepito dall’A.E., atto impugnabile dinanzi al Giudice tributario, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 19. Nel merito, il Giudice tributario considerò efficace la cessione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ancorchè ad essa comunicata mediante “consegna a mani” e non notificata del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ex art. 69 (recante “nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”).
3. La statuizione della CTP fu appellata dalla A.E. e riformata dalla CTR di Milano (sezione distaccata di Brescia), la quale, rigettando le eccezioni dell’appellato, ritenne ammissibile l’appello sotto i profili della specificità dei motivi, avendo l’A.E. criticato la statuizione di primo grado riproponendo le argomentazioni già prospettate innanzi alla CTP, e della mancata indicazione esplicita della parte appellata. La CTR, in merito a tale ultimo profilo, considerò la parte appellata senza dubbio individuata in B., al quale era peraltro stato notificato il ricorso, in ragione della formulazione dell’appello e delle indicazioni ivi riportate.
Nel merito, ritenuta impugnabile la nota in oggetto, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, la CTR accolse il ricorso in appello interpretando il richiamo al processo di notificazione, effettuato dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, in senso tecnico-giuridico e, quindi, escludendo che una mera comunicazione, ancorchè avvenuta con “consegna a mani”, potesse sortire i medesimi effetti di rendere la cessione opponibile all’Amministrazione.
4. Contro la sentenza d’appello B.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’A.E. si è difesa con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato ad un motivo, con riferimento al quale il ricorrente principale si è difeso con controricorso ulteriormente spiegato da successive note.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ fondato il solo motivo n. 2 del ricorso principale (nei limiti di seguito specificati) mentre il motivo n. 1 è in parte inammissibile ed in parte infondato; parimenti infondato è il motivo unico del ricorso incidentale.
2. Priorità logico-giuridica ha la trattazione dell’unico motivo sul quale si fonda il ricorso incidentale proposto dall’A.E. Con esso, difatti, sostanzialmente si deduce, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, la non impugnabilità innanzi al Giudice tributario della nota con la quale l’Amministrazione comunicò al cessionario B. la già intervenuta liquidazione del credito d’IVA in favore del cedente, in quanto non integrante diniego di rimborso.
2.1. Il motivo in esame è infondato, ancorchè ammissibile, diversamente da quanto prospettato dal controricorrente, in ragione della censura sostanzialmente dedotta.
In forza dell’efficacia derivativa della cessione del credito anche ove il debitore ceduto sia il fisco (Cass. sez. 5, 20/04/2018, n. 9842. Rv. 648359-01), il cessionario del credito IVA subentra nella posizione del contribuente e la relativa controversia conserva la sua natura tributaria (Cass. sez. 1, 17/01/1998, n. 379, Rv. 51165801). Ne consegue, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, lett. g), l’impugnabilità della nota dell’Amministrazione, in risposta ad istanza di rimborso presentata dal cessionario, con la quale essa si limiti ad evidenziare l’intervenuta liquidazione del credito in favore del cedente, in quanto implicante rifiuto della restituzione del tributo (in merito si vedano, ancorchè con riferimento non al D.Lgs. n. 546 del 1992, bensì del previgente D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 16:Cass. Sez. U., 19/03/1990, n. 2281, Rv. 466045-01; Cass. Sez. U., 04/06/2002, n. 8090, Rv. 554869-01; Cass. Sez. U., 19/11/2007, n. 23835, Rv. 600590-01; si veda altresì, in merito al citato d.lgs. n. 546 ma con riferimento ad istanza di restituzione di somme indebitamente versate, Cass. sez. U., 17/04/2009, n. 9142, Rv. 607454-01).
3. Con il motivo n. 1 del ricorso principale si deduce: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53,con riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c. nonchè omessa o insufficiente motivazione con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”. In sostanza il ricorrente si duole del mancato accoglimento delle eccezioni di inammissibilità dell’appello proposto dall’A.E., per mancata indicazione dell’appellato oltre che per specificità dei motivi di impugnazione, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53.
3.1. Il motivo in esame è in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.2. Inammissibile è il profilo relativo al rigetto dell’eccezione di inammissiblità dell’appello per mancata indicazione dell’appellato.
Il ricorrente, in realtà, non fa valere un vizio di interpretazione e valutazione di norme giuridiche (ricadente nella previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), nè deduce una insufficienza o un vizio logico della sentenza impugnata (ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), ma mira a sostituire la propria valutazione di merito a quella della CTR.
Il tentativo di investire questa Corte di valutazioni di merito inerisce in particolare il giudizio circa l’assenza di assoluta incertezza dell’elemento del ricorso in appello costituito dall’indicazione della parte appellata, ai sensi del citato art. 53, peraltro prospettando la doglianza, in maniera indistinta, in termini di “violazione e/o falsa applicazione di legge oltre che di omessa o insufficiente motivazione”.
In applicazione della norma di cui innanzi, difatti, con motivazione logica e coerente, la CTR ha argomentato l’assenza di incertezze circa l’individuazione dell’appellato (con riferimento peraltro a sentenza emessa nei confronti di due sole parti). Essa ha invero ritenuto tale elemento del ricorso senza dubbio individuato in B., in ragione della formulazione dell’appello e delle indicazioni ivi riportate, peraltro unico ricorrente in primo grado al quale era stato notificato l’atto d’appello ed in ordine al quale questi si era difeso anche nel merito. E’ comunque appena il caso di evidenziare che la circostanza per la quale B. sarebbe stato “erroneamente indicato come “contribuente” “, da cui il ricorrente farebbe derivare elemento di incertezza, non è concludente anche perchè non considera che il cessionario del credito IVA subentra nella posizione del contribuente e la relativa controversia conserva la sua natura tributaria (sul punto si veda il precedente paragrafo 2 1) 3.3. Infondato è invece il profilo inerente la statuizione di secondo grado in ordine alla ritenuta specificità dei motivi d’appello.
Sul punto, in particolare, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di principi già affermati da questa Corte, dai quali non vi sono motivi per discostarsi.
In tema di contenzioso tributario, benchè l’appello abbia carattere devolutivo pieno, le deduzioni dell’appellante devono essere svolte in contrapposizione alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, di cui la parte non può disinteressarsi, limitandosi a riproporre al giudice di secondo grado le medesime testuali difese contenute nel ricorso introduttivo. In questi termini, ex plurimis, Cass. sez. 5, 22/02/2017, n. 4558, Rv. 643214-01, che, nella specie, ha cassato la sentenza impugnata che aveva omesso di rilevare la mancanza, in sede di gravame, di una qualsivoglia critica alla decisione di prime cure, essendosi l’appellante limitato a riprodurre testualmente le deduzioni difensive iniziali, senza prendere minimamente in considerazione il contenuto della sentenza di primo grado.
Sicchè, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, ove l’Amministrazione finanziaria, in contrapposizione alle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata, si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto da lei considerate idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato (sul punto si veda Cass. sez. 6-5, 22/03/2017, n. 7369, Rv. 643485-01).
4. Con il motivo n. 2 del ricorso principale si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 1264 c.c., R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69 e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”. In sostanza il ricorrente si duole dell’interpretazione data dalla CTR al citato art. 69, nel senso della non equipollenza, ai fini dell’opponibilità della cessione del credito al debitore ceduto, della mera comunicazione all’Amministrazione dell’atto di cessione del credito d’IVA in luogo della richiesta “notificazione”.
4.1. Il motivo in esame, sotto il profilo della dedotta violazione di legge, è fondato, nei termini di seguito evidenziati, con assorbimento del profilo inerente il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
4.2. La questione di diritto sottoposta a questa Corte attiene all’interpretazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, recante “disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”. Esso in particolare inerisce la portata del riferimento che, al comma 1, fa alla notificazione della cessione al debitore ceduto (Amministrazione centrale ovvero ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento), per l’opponibilità a quest’ultimo dell’atto di cessione che, in ragione del comma successivo, deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio.
Il ricorrente sostiene l’interpretazione per la quale la notificazione di cui al citato art. 69, al pari di quanto pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte in merito alla cessione del credito ex art. 1264 c.c., possa avvenire in forma libera, cioè non necessariamente mediante l’adozione del procedimento di notificazione previsto per gli atti processuali, purchè con atto idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità del rapporto obbligatorio. A ciò si aggiunge che, comunque, anche qualora si dovesse optare per la tesi della necessità del ricorso alla notificazione prevista per gli atti processuali, troverebbe nella specie applicazione la procedura della notificazione diretta di cui del D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 16, trattandosi di cessione di un credito tributario. L’articolo da ultimo citato difatti contempla anche la notificazione diretta a mezzo del servizio postale nonchè, all’Amministrazione, mediante consegna dell’atto impugnato all’addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
L’A.E. controricorrente sostiene la tesi, fatta propria dalla sentenza impugnata, per la quale il riferimento di cui innanzi debba intendersi al procedimento di notificazione degli atti processuali, per giunta limitato a quello disciplinato dagli artt. 137 c.p.c. e segg. e non esteso a quello previsto in materia di contenzioso tributario dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16.
4.3. Nella giurisprudenza di legittimità, è pacifico che, per l’opponibilità nei confronti dei soggetti pubblici di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, la cessione del credito debba necessariamente risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio, notificati nelle forme di legge, in forza del citato art. 69, norma eccezionale riguardante la sola Amministrazione statale, pertanto insuscettibile di applicazione analogica o interpretazione estensiva con riguardo ad amministrazioni diverse.
Argomentando dal detto principio, Cass. sez. 3, 21/12/2017, n. 30658, Rv. 647121-01, ha ritenuto la norma in esame non applicabile per l’opponibilità delle cessioni nei confronti delle ASL che, sin dalla loro istituzione, sono enti pubblici estranei al novero della amministrazioni statali. Negli stessi termini, ex plurimis, Cass. sez. 1, 27/10/2016, n. 21747, Rv. 642633-02, che, nella specie, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto documentalmente provata, senza necessità di notifica alla P.A., la cessione da parte di un socio agli altri due della propria quota di una società (italiana in Etiopia confiscata dal governo etiope), con conseguente diritto di ciascuno dei soci cessionari ad ottenere l’indennizzo per il valore di un mezzo della società. Parimenti, Cass. sez. 5, 06/03/2013, n. 5493, Rv. 625398-01, ha statuito che la cessione realizzata in forme diverse da quelle prescritte dalla citata norma, pur valida nei rapporti tra cedente e cessionario, è inefficace nei confronti del debitore ceduto, salva la facoltà di accettazione.
In diverse circostanze è stato altresì specificato il riferimento all’eccezionalità del citato art. 69, rispetto a quanto previsto dall’art. 1264 c.c., per l’opponibilità dell’ordinaria cessione del credito, in merito al requisito formale (atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio). Cass. sez. 3, 19/05/2017, n. 12616, Rv. 644303-01, in particolare, ha chiarito che la forma eccezionalmente solenne di cui innanzi introduce un’ipotesi di inefficacia nell’interesse esclusivo del debitore ceduto, il quale, pertanto, è il solo titolato a farla valere, con la conseguenza che il rilievo d’ufficio della carenza di forma comporterebbe il vizio di ultra o extra petizione.
Ha esplicitamente argomentato dalla forma eccezionalmente solenne anche Cass. sez. 3, 13/07/2004, n. 12901, Rv. 57448-01. Per essa le cessioni in oggetto sono difatti efficaci nei confronti del ceduto solo se poste in essere con atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio anche se il debitore ceduto, successivamente alla cessione, si è poi trasformato da soggetto pubblico a privato. Trattasi peraltro, sempre a detta della sentenza in argomento, di inefficacia rilevabile soltanto dal debitore ceduto, incorrendosi, in caso di rilievo d’ufficio, nel vizio di ultra o extra petizione (fattispecie relativa ad una cessione di credito nei confronti dell’ente pubblico Ferrovie dello Stato che, al momento dell’introduzione del giudizio, si era già trasformato in società privata).
Cass. sez. 3, 23/11/2000, n. 15153, Rv. 542110-01, parimenti, ha fatto riferimento alla necessità della forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da notaio per chiarire che, in deroga al principio posto dall’art. 1264 c.c., comma 2, il pagamento dal debitore ceduto al cedente, anzichè al cessionario, pur dopo che le sia stata notificata la cessione non effettuata nelle forme indicate, produce effetto liberatorio, essendo irrilevante la conoscenza da parte della P.A. dell’avvenuta cessione. Tuttavia, per la sentenza da ultimo citata, se la cessione è stata accettata dalla P.A. il successivo pagamento effettuato al cedente non libera l’amministrazione nei confronti del cessionario.
Sostanzialmente, negli stessi termini, circa l’eccezionalità del requisito formale, si è espressa anche Cass. sez. 4, 03/04/1992, n. 4105, Rv. 476587-01, per la quale una cessione di un credito vantato nei confronti di uno dei soggetti di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, non risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio, pur essendo valida nei rapporti fra cedente e cessionario, è inefficace nei confronti della P.A. debitrice ceduta, ancorchè le sia stata notificata. Rimane altresì esclusa la possibilità di sanare tale difetto di autenticazione con un successivo accertamento giudiziale di autenticità delle firme stesse o attraverso un riconoscimento da parte della P.A., ancorchè formato per iscritto, tenuto conto, come ha precisato la citata sentenza, che l’indicata norma esige inderogabilmente che la cessione medesima sia ab origine consacrata in un documento munito del suddetto requisito di forma (in senso conforme si veda, tra le altre, anche Cass. sez. 1, 23/02/1984, n. 1286, Rv. 433426-01; si veda altresì, ex plurimis, per il riferimento alla necessaria consacrazione in scrittura privata autenticata, anche Cass. sez. 3, n. 27/02/1987, n. 2103, Rv. 451346-01).
Quanto si ricava dall’analisi dei precedenti di cui innanzi, circa la eccezionalità del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, rispetto all’art. 1264 c.c., ma con riferimento ai detti requisiti formali e non alla richiesta notificazione, è stato esplicitamente chiarito da Cass. sez. 3, 05/02/2008, n. 2665, sul punto priva di massima ufficiale.
Per la sentenza da ultimo citata, difatti, limitatamente a quanto rileva ai presenti fini, ai sensi dell’art. 69 cit. e art. 1264 c.c., per l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto è sufficiente, fermo restando il rispetto del necessario requisito formale, la notificazione a lui dell’atto. Essa, ex art. 1264 c.c., non si identifica però con la notificazione effettuata ai sensi dell’ordinamento processuale, potendo realizzarsi con un atto a forma libera purchè idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio, cioè in forma idonea a consentirgli di disporre le opportune variazioni negli ordini di pagamento (nella specie avvenuta con lettera raccomandata ricevuta dall’Amministrazione).
Sembrerebbe contrastare (ma non dichiaratamente) con l’assunto di cui innanzi Cass. sez. 5, 06/03/2013, n. 5493, Rv. 625398, per la quale, ai fini dell’opponibilità in esame, è necessario il rispetto del requisito formale e che l’atto sia “notificato nelle forme di legge”. Essa ha infatti precisato che il R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, nel riferire l’efficacia della cessione alla notificazione del relativo atto, evoca la specificità di uno strumento formale che non ammette equipollenti, per ragioni di certezza sottese alla previsione normativa che impone che l’atto sia appunto notificato.
Più che un vero contrasto in merito all’interpretazione del riferimento nell’art. 69, in esame alla notifica dell’atto di cessione, la specificazione di cui innanzi sembrerebbe però dettata dalla specificità della fattispecie concreta, caratterizzata dall’aver scelto, il cessionario, la procedura della notificazione mediante ufficiale giudiziario ma a mezzo posta, ex art. 149 c.p.c., e dall’assenza, nel caso concreto, di avviso di ricevimento che non ammette equipollenti. La CTR aveva invece ritenuto provato il ricevimento del plico, ex art. 116 c.p.c., in forza del comportamento processuale dell’Amministrazione inadempiente ad un ordine di esibizione (della documentazione dalla quale si sarebbe potuta argomentare la ricezione o l’assenza di ricezione del plico). In tale contesto, caratterizzato dalla scelta del cessionario di attivare la procedura di cui all’art. 149 c.p.c., la citata sentenza n. 5493 del 2013 ha chiarito che, in vista della verifica del momento cui riferire gli eventuali effetti della cessione per il debitore ceduto (ricezione del plico), il giudice di merito non avrebbe potuto valorizzare altro elemento se non l’avviso di ricevimento, per ragioni di certezza sottese alla previsione normativa che impone che l’atto sia appunto notificato.
4.4. Premesso quanto innanzi, deve pervenirsi all’interpretazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, in un ottica di sistema con l’art. 1264 c.c. ed in ragione della comune ratio sottesa alla prevista notifica al debitore ceduto (per l’opponibilità a lui della cessione), da individuarsi nella necessità di porlo nella consapevolezza della mutata titolarità del rapporto obbligatorio in forma idonea a consentirgli di disporre le opportune variazioni negli ordini di pagamento.
Sicchè, l’eccezionalità della prima norma (art. 69) rispetto alla seconda (art. 1264 c.c.), per quanto rileva ai presenti fini, riguarda il richiesto requisito formale dell’atto di cessione (atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio) e non anche lo strumento per la sua notificazione al debitore ceduto, previsto da entrambe le norme richiamate e da interpretarsi quale atto a forma libera purchè idoneo, avuto riguardo anche alle caratteristiche del ceduto, a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio.
Peraltro, conforta ulteriormente la detta interpretazione la circostanza per la quale l’art. 69 cit., nella parte che rileva con riferimento alla questione di diritto in esame, non ha subito modifiche sin dal 1923, con la conseguenza che il riferimento alla notificazione, in esso contenuto, non è tale da evocare, perlomeno nell’intenzione del legislatore del tempo, necessariamente il rispetto delle forme processualcivilistiche, invero non richiesto dal diritto vivente anche con riferimento all’art. 1264 c.c., nonostante l’anteriorità del codice di procedura civile (1940) al codice civile (1942), ancorchè entrambi in “esecuzione a cominciare dal 1942”.
In merito è difatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, orientamento dal quale non vi sono ragioni per discostarsene, che l’art. 1264 c.c., per il quale la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata, debba essere interpretato nel senso che la notificazione della cessione non è soggetta a particolari discipline o formalità, non identificandosi quindi con quella disciplinata dall’ordinamento processuale, ma costituisce un atto a forma libera, purchè idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio. A tale riguardo si veda, ex plurimis, Cass. sez. 3, 28/01/2014, n. 629429-01, per la quale, di conseguenza, la notificazione può essere effettuata sia mediante ricorso per decreto ingiuntivo sia mediante comunicazione operata nel corso del successivo giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. (si vedano altresì, Cass. sez. 3, 07/02/2012, n. 1684, Rv. 621493-01; Cass. sez. 1, 21/12/2005, n. 28300, Rv. 586388; Cass. sez. 3, 18/10/2005, n. 20144, Rv. 584568-01).
In senso sostanzialmente conforme è Cass. sez. 3, 18/10/2005, n. 20143, Rv. 584566-01, per la quale, sempre argomentando dal principio di cui innanzi, la notificazione in esame può essere effettuata anche mediante comunicazione scritta, eventualmente mediante citazione in giudizio, integrante intimazione di pagamento al debitore ceduto o anche successivamente, nel corso del giudizio.
Conforme è altresì la precedente Cass. sez. 3, 10/05/2005, n. 9761, Rv. 581309-01, che ha ritenuto sortire gli effetti dell’opponibilità al debitore ceduto la notifica, ancorchè da parte del cessionario e non del cedente, effettuata con qualsiasi mezzo idoneo a far conoscere al debitore la mutata titolarità attiva del rapporto, senza necessità di trasmettergli l’originale o la copia autentica della cessione, purchè il ceduto possa conoscerne gli elementi identificativi e costitutivi. In applicazione del principio la citata sentenza ha confermato quella di merito che aveva condannato al pagamento in favore della cessionaria la debitrice, la quale aveva ricevuto dalla cessionaria stessa idonea comunicazione della cessione del proprio debito e nonostante ciò aveva pagato il prezzo della fornitura alla cedente, senza informare di ciò la cessionaria.
Per Cass. sez. 1, 02/09/1997, n. 8387, Rv. 507462-01, poi, la detta interpretazione dell’art. 1264 c.c., opera, eccetto i casi espressamente previsti, anche nei confronti della P.A. debitrice (nella specie, dell’indennità di espropriazione parziale di un fondo agricolo venduto successivamente all’espropriazione), essendo sufficiente che le sia data notizia della cessione in forma idonea a consentirle di disporre le opportune variazioni negli ordini di pagamento (si vedano altresì, ex plurimis: Cass. sez. 1, 12/05/1998, n. 4774, Rv. 515347-01; Cass. sez. 4, 12/05/1990, n. 4077, Rv. 467099-01; Cass. sez. 1, 20/11/1976, n. 4372, Rv. 383085-01, per la quale è sufficiente anche una lettera raccomandata – ritualmente ricevuta presso un magazzino, che la stessa società ceduta aveva indicato al creditore cedente come proprio recapito ed al quale comunque le veniva regolarmente inoltrata la corrispondenza – non essendo necessaria la notificazione a mezzo di pubblico ufficiale e non essendo necessario portare a conoscenza l’intero atto di cessione, essendo sufficiente che al debitore ceduto giunga una notizia idonea a porlo in grado di apprendere la mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio).
In forza di quanto innanzi, la sentenza impugnata deve essere cassata, e decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con accoglimento del ricorso originario del contribuente, ex art. 384 c.p.c., ed in forza del seguente principio di diritto: “in materia di cessione del credito, ove debitore sia taluno dei soggetti di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, ai fini dell’opponibilità al ceduto, fermo restando il requisito di forma di cui al citato articolo, la notificazione al ceduto prevista dal comma 1 della detta disposizione costituisce atto a forma libera, purchè idoneo a porre il debitore, avuto riguardo anche alle sue caratteristiche, nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio, e, pertanto, come nella specie (caratterizzata da cessione del credito d’IVA), a fortiori può essere effettuata in forma diretta all’Amministrazione mediante consegna dell’atto all’addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia”.
5. In conclusione, dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato il motivo n. 1 del ricorso principale, nonchè infondato il motivo unico del ricorso principale, è accolto il motivo n. 2 del ricorso principale (con assorbimento del profilo inerente il difetto motivazionale), con conseguente cassazione, nei limiti del motivo accolto, della sentenza impugnata ed accoglimento del ricorso originario dell’attuale ricorrente B.G.. In ragione della peculiarità e novità della questione di diritto, si compensano le spese dei giudizi di merito oltre che quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie, nei limiti di cui in parte motiva, il motivo n. 2 del ricorso principale, rigettati tutti gli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale, cassa, nei limiti del motivo accolto, l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario dell’attuale ricorrente B.G., con compensazione delle spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018
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