LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO G. M. – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria G. – Consigliere –
Dott. ANTEZZA – rel. est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23009/2011 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;
– ricorrente –
contro
D.A., nato ad *****, residente in *****, rappresentato e difeso dall’Avv. Vincenzo Taranto, del Foro di Catania, con studio in Catania in Via Aldebaran n. 21;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Palermo, Sezione distaccata di Catania, n. 226/31/2010, pronunciata il 27 maggio 2010 e depositata il 28 giugno 2010;
lette le conclusioni scritte del Sostituto P.G. Dott. Baldi Fulvio, nel senso dell’accoglimento dei due motivi di ricorso;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2018 dal Consigliere Dott. Fabio Antezza.
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di P.V.C. redatto il 30 settembre 2000, l’Amministrazione Finanziaria il 28 maggio 2004 notificò ad D.A. avviso di accertamento per IVA, IRPEF e IRAP, relativi all’esercizio finanziario 1998, successivamente impugnato innanzi al Giudice tributario.
2. La CTP accolse il motivo di ricorso inerente la dedotta nullità dell’avviso di accertamento per inidonea motivazione per relationem, in quanto richiamante il detto P.V.C. ma non allegato all’atto impositivo e, quindi, in violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, (recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente). Essa ritenne assorbiti nel detto accoglimento gli altri motivi di ricorso deducenti la nullità dell’avviso per omessa valutazione critica del citato P.V.C. oltre che l’essersi nel merito l’atto impositivo fondato su dati non rispondenti alla reale posizione fiscale del contribuente (come emerge dalla parte motiva della sentenza di primo grado, per autosufficienza riportata nel ricorso per cassazione).
3. La statuizione della CTP di Catania fu appellata dalla sola A.E. e confermata dalla CTR di Palermo (sezione distaccata di Catania), la quale confermò l’assunto della necessità, in ragione del citato art. 7, dell’allegazione all’atto impositivo del P.V.C. da esso richiamato in motivazione (sentenza n. 227/31/2010, emessa il 25 maggio 2010 e depositata il successivo 28 giugno). La CTR aggiunse, altresì, che neanche in secondo grado era stato affrontato, dall’A.E., il tema inerente il merito della pretesa tributaria e che, oltre a quanto già esaustivamente argomentato dal primo giudice, dall’esame dell’avviso di accertamento in oggetto si constatava la sua scarna motivazione, tale da non permettere di giudicare in merito alla sua legittimità e fondatezza senza il riscontro del P.V.C., non prodotto dall’Amministrazione.
4. Contro la sentenza d’appello l’A.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, ed il contribuente si è difeso con controricorso e successivo deposito di memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I due motivi di ricorso sono inammissibili sotto diversi profili.
2. Con il motivo n. 1 si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (per errore materiale nella rubrica del detto motivo il riferimento è all’inesistente n. “7” del citato art. 360). Nella sostanza l’A.E. si duole dell’interpretazione data dalla CTR del citato articolo 7, tale da ritenere necessaria sempre l’allegazione all’avviso di accertamento del P.V.C., da esso richiamato per relationem, anche nel caso di sua conoscenza da parte del contribuente.
La norma che si assume essere stata oggetto di non corretta interpretazione è la L. n. 212 del 2000, art. 7 (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”) ed in particolare l’ultimo inciso del suo primo comma che, nel sancire la portata dell’obbligo di motivazione degli atti dell’Amministrazione Finanziaria, dispone che “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
La detta norma, come anche prospettato nel ricorso, è costantemente interpretata da questa Corte nel senso che in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, il citato art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o comunicazione (si vedano ex plurimis: Cass. sez. 6-5, 05/12/2017, n. 29002, Rv. 646527-01, per il riferimento alla notificazione; Cass. sez. 5, 14/01/2015, n. 407, Rv. 634243-01, con riferimento ad ipotesi di avviso di accertamento motivato con richiamo ad un P.V.C. precedentemente consegnato in copia, previa sottoscrizione).
2.1. Premesso ciò, il motivo in esame è inammissibile sia perchè con esso neanche si prospetta la conoscenza del PVC da parte del contribuente (per l’intervenuta notificazione o comunicazione) sia per l’assorbente difetto di autosufficienza (ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non essendo stato riprodotto nè depositato il detto documento oltre che l’avviso di accertamento, dal quale eventualmente argomentare la conoscenza di cui innanzi (per l’inammissibilità dovuta a difetto si autosufficienza per mancata riproduzione del documento, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).
Il motivo in esame è altresì inammissibile, sotto un duplice aspetto, laddove sindaca la sentenza impugnata per aver ritenuto non adeguata la motivazione per relationen al P.V.C., nonostante essa fosse stata riportata nei suoi tratti essenziali nello stesso avviso di accertamento, ancorchè non allegata.
In primo luogo il motivo, nella parte di cui innanzi, sembrerebbe voler prospettare una violazione di norme di diritto ma, in realtà, non fa valere un vizio di interpretazione e valutazione di norme giuridiche (ricadente sotto il profilo dell’errore di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ponendo invece questioni inerenti la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione, in particolare l’essenzialità delle parti del P.V.C. che si assumono essere riportati nell’avviso di accertamento (che avrebbe dovuto farsi valere, al più, ex art. 360, comma 1, n. 5). Più che dedurre un difetto logico della sentenza impugnata (che sarebbe comunque rientrato nella previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il ricorrente mira però a sostituire proprie ricostruzioni e valutazioni a quelle del giudice di merito circa la detta essenzialità, peraltro incorrendo nel già evidenziato difetto di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
3. Con il motivo n. 2 si deduce l’insufficienza motivazionale “su punti controversi e decisivi della controversia”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il ricorrente, in sostanza, si duole dell’inadeguata motivazione delle ragioni che hanno indotto la CTR a prendere in considerazione solo alcuni degli elementi istruttori acquisiti agli atti, senza considerare il P.V.C. che, a detta del ricorrente, sarebbe stato depositato (senza indicazione del momento processuale del relativo deposito).
3.1. Il motivo in esame è inammissibile, per plurime ragioni.
In primo luogo non coglie la reale ratio decidendi della sentenza impugnata, di conferma della sentenza di primo grado. Quest’ultima, difatti, aveva ritenuto non idonea la motivazione per relationem dell’atto impositivo per assenza di allegazione del richiamato P.V.C., con assorbimento degli altri motivi ed in assenza di appello incidentale (sui di essi) da parte del contribuente (per il detto profilo di inammissibilità si vedano, ex plurimis, Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755, e Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).
A quanto detto si aggiungono altri profili di inammissibilità.
Con il motivo in considerazione, infatti, più che dedurre un difetto logico della sentenza impugnata si mira a sostituire proprie ricostruzioni e valutazioni a quelle del giudice di merito, in relazione agli elementi istruttori che si vorrebbero prevalenti su quelli ritenuti determinanti dal Giudice di merito, peraltro incorrendo nel già evidenziato difetto di autosufficienza, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non riproducendo l’avviso di accertamento in questione oltre che il P.V.C, che si paventa essere stato depositato ma senza indicazione del relativo momento processuale.
4. In conclusione, ritenuti inammissibili entrambi i motivi di ricorso, il ricorrente (l’A.E.) deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che si che liquidano in Euro 7.800,00, oltre il 15% per spese generali, IVA e C.N.P.A., come per legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 7.800,00, oltre il 15% per spese generali, IVA e C.N.P.A., come per legge.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018