LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22405/2011 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
Avv. M.R., in giudizio di persona, elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Province 114/B/23, presso l’avv. Paola D’Amico.
– controricorrente ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 40, n. 237/40/10, pronunciata il 9/04/2010, depositata il 25/06/2010.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 luglio 2018 dal Consigliere Dott. Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate ricorre, con un motivo, nei confronti di M.R., per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia concernente l’impugnazione di 13 avvisi di mora e 11 intimazioni di pagamento, tutti notificati il 16/04/2007, riferiti a diverse cartelle di pagamento, mai impugnate e, successivamente, oggetto di condono della L. 27 dicembre 2002, n. 289, ex art. 12, per il quale era stata versata solo la prima e non anche la seconda (e ultima) rata – confermava la sentenza di primo grado, favorevole al contribuente.
Il giudice d’appello ha negato la decadenza del contribuente dal condono ex art. 12 cit., per il mancato pagamento della seconda rata, rilevando che la norma non sancisce esplicitamente tale effetto giuridico.
Il contribuente resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale subordinato, affidato a un motivo e ha depositato una memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
a. Preliminarmente, la Corte ritiene di disattendere l’eccezione d’inammissibilità sollevata dal contribuente, secondo cui non sarebbe intervenuta alcuna pronuncia nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e si sarebbe formato il giudicato verso il concessionario del servizio della riscossione dei tributi che non ha impugnato la decisione di primo grado, che aveva ridotto il debito tributario a Euro 2.512,49.
E’ il caso di ricordare che titolare della pretesa impositiva non è il concessionario del servizio di riscossione dei tributi, ma l’Amministrazione finanziaria che, impugnando la decisione di primo grado, ha impedito il formarsi del giudicato sulla res litigiosa.
b. La medesima considerazione vale a superare la doglianza del contribuente, secondo cui l’Agenzia delle entrate sarebbe priva di legittimazione processuale.
c. E’ infondata anche l’eccezione, subordinata, del contribuente, in virtù della quale l’ente impositore avrebbe prestato acquiescenza alle decisioni dei giudici di merito per facta concludentia, avendo provveduto allo sgravio delle maggiori somme portate nelle cartelle esattoriali.
Come si evince dalla narrativa del rilievo, infatti, l’annullamento della cartella (cfr. pagg. 4 e 5 del ricorso per cassazione) non è indice della volontà dell’Erario di prestare acquiescenza alla decisione del giudice di merito, ma deriva dall’obbligo dell’Ufficio, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, comma 2, in caso di accoglimento del ricorso del contribuente, di restituire quanto versato in eccedenza rispetto alla statuizione del giudice tributario.
d. Per concludere la disamina delle eccezioni preliminari, enunciate nel controricorso, è dato rilevare che il contribuente allega la violazione, da parte dei giudici di merito, dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, per non avere considerato uno specifico motivo del ricorso introduttivo, vale a dire che gli atti d’intimazione sarebbero carenti dal punto di vista del loro contenuto.
L’eccezione è inammissibile perchè non è stata sollevata nel giudizio d’appello, al quale il contribuente non ha partecipato.
1. Primo motivo del ricorso principale: “Violazione L. n. 289 del 2002, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Si deduce l’error iuris della sentenza impugnata che ha escluso la decadenza dal beneficio del condono ex art. 12 cit., del contribuente che non versi anche la seconda rata, senza avvedersi che, diversamente da quanto previsto per alcune misure premiali disciplinate dalla stessa legge, nella specie la sanatoria si perfeziona unicamente con l’integrale pagamento di entrambe le rate.
1.1. Il motivo è fondato.
S’intende dare continuità al costante indirizzo della Corte, in virtù del quale: “La sanatoria prevista dalla L. n. 289 del 2000, art. 12, costituisce una forma di condono clemenziale applicabile in relazione a cartelle esattoriali relative ad IRPEF ed ILOR incluse in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari del servizio nazionale della riscossione fino al 31 dicembre 2000 mediante il pagamento del 25 per cento dell’importo iscritto a ruolo, sicchè, essendo pienamente certo il “quantum” da versarsi per definire favorevolmente la lite fiscale, l’efficacia della sanatoria è condizionata al pagamento dell’intero importo dovuto e l’omesso o ritardato versamento delle rate successive alla prima escludono il verificarsi della definizione della lite pendente” (Cass. n. 11669/16, 21416/16, 20746/10)” (Cass. 22/06/2018, n. 16475).
Il giudice d’appello ha erroneamente adottato una soluzione giuridica antitetica rispetto a questo principio di diritto.
Ciò stabilito, è il caso di rimarcare che, nel giudizio di legittimità, finalizzato al controllo di legalità della decisione di merito, nessuna rilevanza può riconoscersi alla circostanza di fatto, genericamente allegata dal controricorrente, in base alla quale egli avrebbe omesso di pagare la seconda rata del condono per essersi dimenticato della relativa scadenza, data l’incertezza del quadro normativo riguardante tale adempimento.
In conclusione, il motivo va accolto.
2. Occorre adesso esaminare il ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, così rubricato: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 14, 49 e 53 e art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1”.
Il contribuente eccepisce che la mancata partecipazione, al giudizio di appello e a quello per cassazione, del concessionario, che aveva preso parte al giudizio di primo grado, determina la nullità del giudizio, rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
2.1. Il motivo è infondato.
Il tema del decidere involge direttamente il credito tributario, non già un asserito vizio dell’avviso di mora, dell’intimazione di pagamento o della cartella di pagamento; sicchè la legittimazione processuale spetta all’ente impositore e non al concessionario del servizio della riscossione che, pertanto, non è litisconsorte necessario, onde nei suoi confronti non deve essere disposta l’integrazione del contraddittorio (Cass. 24/04/2018, n. 10019).
3. In definitiva, accolto il ricorso principale dell’Agenzia delle entrate, respinto il ricorso incidentale subordinato del controricorrente, la sentenza è cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
4. Le spese dei gradi di merito debbono essere compensate, tra le parti, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito; condanna il contribuente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018