LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –
Dott. CONDELLO A.P. Pasqualina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22575/2011 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
P.G., CONDOMINIO GENERALE *****, rappresentati e difesi dall’avv. Michele Montuori, elettivamente domiciliati in Roma, in via Igino Giordani n. 14 int. 40, presso lo studio dell’avv. Daniela Brunetti.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, sezione n. 6, n. 205/06/10, pronunciata il 24/06/2010, depositata l’8/07/2010;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 luglio 2018 dal Consigliere Dott. Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate ricorre, con quattro motivi, nei confronti di P.G. e del Condominio Generale *****, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria (in seguito: CTR), in epigrafe, che – in controversia concernente l’impugnazione di avvisi di accertamento, scaturiti da una verifica della Guardia di Finanza, che recuperavo a tassazione, ai fini IVA, IRPEG, IRAP, per le annualità 1998, 1999, 2000, redditi d’impresa non dichiarati derivanti da prestazione di servizi, per conto terzi, consistente nella gestione di beni immobili, dissimulata dalla mera amministrazione di un “normale” condominio – in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello del condominio.
La Commissione regionale, innanzitutto, ha ritenuto inammissibili, nel processo tributario, le “testimonianze” assunte dalla GdF durante l’azione accertatrice; inoltre, ha escluso che il condominio svolgesse attività d’impresa o commerciale e ha qualificato i versamenti dei condomini come meri contributi alle spese di gestione, ripartite in base alle tabelle millesimali; infine, ha rimarcato che eventuali irregolarità, abusi ed evasioni fiscali dovessero essere ascritti alla persona fisica che amministrava l’ente di gestione, non già a quest’ultimo, come se si trattasse di un’impresa.
P. e il “*****” resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Primo motivo di ricorso: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.
Si deduce l’error in procedendo della sentenza impugnata che ha affermato l’inutilizzabilità delle testimonianze acquisite durante la verifica fiscale perchè, testualmente: “inammissibili nel processo tributario” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, stabilisce (per quanto adesso rileva) che, nel giudizio tributario, non è ammessa la prova testimoniale, il che non comporta, però, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da terzi nel corso della fase amministrativa.
L’erronea espunzione di tali dichiarazioni, secondo la difesa erariale, non ha consentito alla CTR di valutare correttamente la pretesa tributaria.
1.1. Il motivo è fondato.
La CTR, nel negare ingresso alle dichiarazioni rese da terzi in fase amministrativa, si è discostata dal costante e condivisibile indirizzo della Cassazione, in virtù del quale: “Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.”. (Cass. 7/04/2017, n. 9080).
Nella specie, osserva la Corte che la verifica, da parte del giudice di merito, della riconducibilità o meno dell’attività di gestione del condominio all’esercizio di un’impresa, con le relative ripercussioni sul piano dell’imposizione tributaria, diversamente da quanto affermato dalla CTR, non poteva prescindere dall’apprezzamento della rilevanza indiziaria delle dichiarazioni rese, nella fase amministrativa, dai privati agli organi accertatori.
2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1130,1131,1133,2028 e 2031 c.c. in combinato disposto con l’art. 1703 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Si denuncia che la sentenza impugnata abbia contra legem affermato che le irregolarità e i probabili abusi commessi dalla persona fisica, quale “gestore di fatto” del condominio “*****”, dovessero essere addebitati al “vero probabile evasore” e non al condominio, laddove, invece, la corretta applicazione delle disposizioni civilistiche in tema di amministrazione dei condomini, di negotiorum gestio e in tema di mandato, avrebbe comportato la diretta riferibilità all’ente collettivo dell’attività del gestore, nella quale rientrava l’esercizio dell’impresa assoggettabile ad imposizione fiscale.
2.1. Il motivo è infondato.
La sentenza d’appello non ha erroneamente disatteso quelle norme del codice civile che, in sintesi, postulano un rapporto d’immedesimazione organica dell’amministratore rispetto al condominio, quale presupposto giuridico della riferibilità all’ente collettivo degli atti compiuti dall’amministratore nell’esercizio del mandato professionale.
La CTR, piuttosto, ha negato, in radice, che il condominio “*****” svolgesse attività d’impresa e che, quindi, producesse redditi assoggettabili ad imposizione fiscale, pervenendo ad una simile conclusione, come suaccennato (cfr. p. 1.1.), dopo avere illegittimamente espunto, dal materiale probatorio valutabile, le dichiarazioni rese da terzi, nel corso della verifica fiscale.
Per completezza di analisi, in un successivo passaggio argomentativo, la CTR, dopo avere escluso che il condominio svolgesse “attività imprenditoriale e commerciale” (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata), senza che ciò costituisse il fulcro del proprio processo decisionale, si è premurata dì precisare che la Guardia di finanza aveva rilevato irregolarità di gestione e la probabile evasione di imposte ascrivibili all’impresa individuale della persona fisica che gestiva il condominio, per poi concludere che: “L’Agenzia, sulla base dell’opera della G di F, avrebbe dovuto individuare con maggior attenzione il vero probabile evasore e non colpire la vittima dell’opera distorta dell’eventuale evasore.” (ibidem).
3. Terzo motivo: “Motivazione insufficiente in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.
Un altro rilievo critico riguarda l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata rispetto a tutti gli argomenti, addotti dall’Ufficio, a dimostrazione della natura imprenditoriale del condominio, organizzato come un’impresa e, perciò, assoggettabile a tassazione.
4. Quarto motivo (rubricato, per errore, con il numero 3): “Motivazione illogica e contraddittoria in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.
Si fa valere il vizio dell’apparato motivazionale della sentenza che ha qualificato il condominio come un consorzio, salvo poi escludere, contraddittoriamente, che esso svolgesse attività d’impresa, sebbene gli atti di acquisto delle unità abitative dei condomini recassero la clausola che obbligava gli acquirenti ad aderire al “costituendo consorzio” per la gestione delle parti comuni.
5. Il terzo e quarto motivo sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo mezzo.
6. Accolto il primo motivo, assorbiti ad esso il terzo e il quarto motivo e infondato il secondo motivo, la sentenza è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR, in diversa composizione, per il nuovo esame della vicenda, nel rispetto del principio di diritto sopra enunciato e anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il terzo e il quarto motivo; dichiara infondato il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018
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