Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.28404 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21180/2013 R.G. proposto da:

Avv. R.F., in proprio e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luigi Ciangalini, in Roma, alla via V. Bachelet, n. 12;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte, – Sez. 26 n. 10/26/13 depositata in data 04/02/2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19 settembre 2018 dal Cons. Dott. Marcello M. Fracanzani.

RILEVATO

che il contribuente reagiva alla cartella esattoriale ed al preavviso di fermo amministrativo, assumendo – fra l’altro – essere stati assunti nel periodo di sospensione giudiziale del presupposto atto di accertamento, sospensione disposta dalla competente CTP avanti alla quale pendeva la relativa impugnazione;

che, nelle more del giudizio, il ricorso avverso il presupposto accertamento veniva definito in senso sfavorevole al contribuente;

che, altresì si concludeva il giudizio relativo agli atti conseguenti qui all’esame e, con il deposito della sentenza di primo grado, cessavano gli effetti della sospensione dell’efficacia, di talché riprendeva corso la procedura esecutiva – cartella e preavviso di fermo amministrativo – pur in pendenza dell’appello;

che il giudizio d’appello relativo al presupposto accertamento si chiudeva in senso favorevole al contribuente e, nel corso del giudizio relativo alla cartella e preavviso di fermo amministrativo, l’Amministrazione dichiarava di prestarvi acquiescenza e di procedere allo sgravio, come poi accadeva, chiedendo quindi che venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere;

che la CTP prendeva atto, dichiarava cessata la materia del contendere e si pronunciava sulle spese in senso favorevole al contribuente;

che appellava l’Ufficio per la riforma della condanna alle spese e, in via incidentale, lo stesso contribuente, chiedendo l’integrale riforma della sentenza perché errata;

che la CTR ripercorreva le vicende sostanziali e processuali, prendendo atto dell’automatica cessazione della materia del contendere e conseguente estinzione del giudizio, per annullamento dell’atto presupposto, cui l’Amministrazione dichiarava in udienza di prestare acquiescenza;

che, quindi, la CTR riteneva doversi pronunciare solo sulle spese e – richiamato l’arresto della Consulta che ne aveva fulminato la compensazione ope legis nel processo tributario – rettificava la motivazione della sentenza di primo grado, specificando che onerato doveva ritenersi l’Agenzia delle Entrate, ma confermando l’ammontare delle spese determinate in primo grado, in quanto profilo che rientra nell’autonoma valutazione del giudice;

che ricorre il contribuente proponendo due motivi di gravame; che si è costituita l’Amministrazione finanziaria con controricorso.

CONSIDERATO

che occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire ex. art. 100 c.p.c., sollevata dall’Avvocatura;

che, nello specifico, la sentenza di primo grado ha preso atto della cessata materia del contendere per annullamento ossequiato – dell’atto impositivo presupposto e si è pronunciata solo sulle spese;

che la sentenza di secondo grado, qui impugnata, ripercorre e conferma le conclusioni in rito cui è pervenuta la pronuncia di primo grado, salvo specificazione sulle spese;

che la riforma dell’impugnata sentenza e la riedizione del giudizio non porterebbero ad alcun vantaggio, attuale, concreto, personale ed economicamente valutabile in capo all’odierno ricorrente, perché in ogni caso si giunge alla presa d’atto della cessata materia del contendere;

che parimenti le doglianze relative all’errore dei giudici di merito per aver considerato come fermo amministrativo ciò che era ed è stato impugnato come preavviso di fermo amministrativo (p. 13, secondo e terzo capoverso, del ricorso per cassazione) non conducono ad alcuna utilità per il ricorrente, ove il preavviso di fermo è atto prodromico, privo di effetti diretti e, quindi, non produttivo di danno, tanto da essere considerato atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile;

che l’eccezione di carenza di interesse per questi profili è fondata ed il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile;

che, per contro, il ricorrente aveva chiesto in primo grado, e riproposto in secondo, il risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., da liquidarsi in via equitativa (cfr., rispettivamente, p. 4, quinto capoverso e p. 6, sempre quinto capoverso del ricorso per cassazione);

che su tale punto la sentenza di secondo grado non ha statuito, ma che tale profilo non è stato fatto dal ricorrente oggetto di specifico motivo di doglianza nella presente fase di giudizio, restando quindi inibito a questa Corte di pronunciarsi sul punto;

che residua quindi solo l’interesse ad una diversa, più favorevole, quantificazione del ristoro delle spese, poste a carico dell’Agenzia delle Entrate;

che tale profilo è stato censurato per insufficiente motivazione (cfr. p. 15, penultimo capoverso, e p. 16 del ricorso), ma che invero trattasi di apprezzamento discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, specie quando la somma rientri fra il massimo ed il minimo tariffario previsto per lo scaglione di riferimento della tariffa professionale in ordine al valore della controversia, da intendersi ormai solo come mero parametro indicativo e non vincolante;

che, pertanto, non sono più conferenti i precedenti richiamati da parte ricorrente (pag. 16 del ricorso, note n. 20 e 21) perché relativi all’orientamento formatosi sul previgente carattere inderogabile dei minimi tariffari;

che, infine, laddove lamenta l’incongruità della liquidazione delle spese per rapporto al valore della causa, il ricorso non assolve all’onere dell’autosufficienza, non indicando specificamente, quale fosse il valore effettivo della controversia e lo scaglione di riferimento;

che, in definitiva, il ricorso è in parte inammissibile per carenza di interesse e in parte inammissibile per mancanza di autosufficienza del motivo;

che le spese della presente fase del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in C. duemilacinquecento oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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