LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25117/2016 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
R.R.M., R.M., R.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI, rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO GUARALDI;
– controricorrenti –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositato il 23/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/06/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per accoglimento del 2 motivo del ricorso;
udito l’Avvocato GAROFALI Pietro difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato GUARALDI Bruno, difensore dei ricorrenti che si riporta agli atti depositati.
FATTI DI CAUSA
I consorti R. ebbero a proporre istanza di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di un procedimento civile avviato avanti il Tribunale di Ravenna e la loro domanda fu accolta,per quanto di ragione, dal Presidente la Corte d’Appello di Ancona.
Avverso il decreto emesso i consorti R. proposero opposizione e la Corte d’Appello di Ancona ebbe ad accogliere parzialmente la loro impugnazione, confermando la congruità dell’importo riconosciuto,ma disponendo che gli interessi di mora decorressero dalla domanda e fossero liquidati al tasso ex art. 1284 c.c., comma 4.
Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
I consorti R. hanno resistito con controricorso ed in prossimità dell’udienza hanno depositato anche memoria difensiva.
La questione inizialmente assegnata a decisione in camera di consiglio è stata, con ordinanza del 21.2.2018, rimessa alla pubblica udienza.
All’odierna udienza sentite le conclusioni delle parti presenti e del P.G. – accoglimento del secondo motivo – la Corte ha adottata la decisione illustrata nella presente sentenza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’impugnazione esposta dal Ministero della Giustizia s’appalesa siccome fondata esclusivamente con relazione al secondo motivo,mentre il primo risulta privo di fondamento giuridico.
Con il primo mezzo d’impugnazione l’Amministrazione ricorrente denunzia nullità del decreto emesso dalla Corte di merito per violazione del disposto L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, poichè la Corte marchigiana non ha rilevato che il ricorso in opposizione fu proposto quando era già spirato il termine perentorio prescritto dalla citata norma.
La censura s’appalesa priva di fondamento poichè il Ministero si limita a riproporre la sua eccezione senza in effetto confrontarsi con la specifica precisazione sul punto – errore nell’assunzione del dato nell’ambito del processo civile telematico – offerta dai Giudici anconetani.
Difatti se per errore,in un primo momento, il ricorso degli opponenti venne registrato siccome pervenuto il 20.10.2015, tuttavia, come reso evidente dalla successiva rettifica eseguita dall’Ufficio,in effetti il ricorso risultava pervenuto per via telematica alla cancelleria il giorno precedente – 19.10.2015 – ossia entro il termine previsto.
Quindi la Corte di prossimità,non già,ha omesso di esaminare la documentazione afferente la questione, e riprodotta in ricorso, bensì ha esaminato detta documentazione non già parzialmente, bensì nella sua interezza.
Ha fondamento invece la seconda ragione di doglianza sviluppata dall’Amministrazione con relazione alla falsa applicazione della disposizione in art. 1284 c.c., comma 4, poichè la Corte marchigiana ha espressamente riconosciuto che,sulla somma capitale dovuta ai R., corressero gli interessi legali al tasso stabilito in detta norma – interessi commerciali ex D.Lgs. n. 231 del 2002, e D.Lgs. n. 192 del 2012 di modifica -.
La disposizione in questiono risulta introdotta nel testo dell’art. 1284 c.c. – che disciplina gli interessi legali quanto a tasso e modalità applicative – con il D.L. n. 132 del 2014, al fine di scoraggiare l’inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie e ridurre di conseguenza il ricorso al Giudice ed anche agli arbitri privati.
La Corte anconetana argomenta la sua opzione interpretativa osservando come la lettera della norma non pone limite alcuno all’applicazione degli interessi commerciali, poichè correla la debenza di detto saggio di interesse,qualificato siccome legale,al solo avvio della lite giudiziale, anche perchè detta disposizione risulta applicabile – comma 5 – pure in relazione al giudizio arbitrale.
Detta argomentazione però ancora non risolve la questione afferente l’ambito di applicazione della nuova disposizione in relazione alla sua strutturazione letterale, poichè si limita ad individuare, siccome di dirimente rilievo, la finalità deflattiva perseguita dal Legislatore,il quale appunto ha inteso rendere più significativo l’effetto negativo per il debitore moroso derivante dall’aver imposto l’espletamento d’inutile lite con la sua condotta colpevole di inadempienza.
Difatti il dato testuale della norma risulta essere dissonante rispetto all’opzione interpretativa accolta dal Collegio anconetano ed al riguardo parte resistente argomenta nella sue difese in questo giudizio di legittimità prospettando lettura interpretativa a sostegno della soluzione accolta nel decreto impugnato.
L’elemento testuale di assoluta rilevanza ai fini della corretta interpretazione della portata applicativa della norma de qua risulta essere l’incipit della proposizione di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, – “Se le parti non ne hanno determinato la misura….” si applica il saggio d’interesse proprio per le transazioni commerciali -.
Parte resistente opina che detta clausola abbia il mero scopo di far genericamente salvo l’ambito di autonomia delle parti per quanto possa trovar esplicazione all’interno di una previsione applicabile a tutte le obbligazioni pecuniarie indipendentemente dalla loro fonte – esclusiva rilevanza della correlazione tra il saggio d’interesse ed l’avvio di lite giudiziale ovvero arbitrale -. Questa Corte invece – conformemente all’opzione interpretativa offerta dal P.G. – ritiene che l’incipit della disposizione normativa di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, in effetti abbia la funzione di delimitazione dell’ambito di applicabilità della norma correlandola ad un ben determinato tipo di obbligazioni pecuniarie ossia quelle che trovano la loro fonte genetica nel contratto.
Va,anzitutto, notato come la locuzione utilizzata dal Legislatore sia omologa a quella presente nell’art. 1284 c.c., comma 2, afferente al computo del saggio degli interessi convenzionali, bensì pattuiti in astratto dalle parti ma non determinati in concreto nel loro tasso di computo.
Quindi va rilevato come la struttura letterale della norma lumeggia che la proposizione iniziale dianzi ritrascritta, proprio per la sua collocazione nella frase, regge la successiva disposizione circa il saggio d’interesse applicabile in conseguenza all’avvio della lite,lumeggiando il diretto collegamento tra la possibilità delle parti di aver previamente pattuito il saggio degli interessi e l’obbligazione fatta valere nella lite giudiziaria od arbitrale,situazione connaturata esclusivamente,nell’ambito delle fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., all’ipotesi dell’accordo contrattuale.
La disposizione in questione apparirebbe altrimenti inutile ripetizione della compiuta disciplina in tema di danni da inadempimento nelle obbligazioni pecuniarie portata nell’art. 1224 c.c., che opera richiamo all’uopo agli interessi legali ed espressamente prevede il rispetto del saggio d’interesse superiore a quello legale pattuito dalle parti.
Dunque e la struttura letterale della norma e la necessità di individuare un significato proprio della stessa,altrimenti inutile ripetizione, lumeggiano la funzione dell’incipit quale delimitazione all’applicabilità della disposizione in questione.
Un tanto esclude che la citata proposizione iniziale della norma de qua abbia natura di mero inciso per far salva l’autonomia delle parti – già fatta salva in apposita norma -,in una disposizione avente natura universale che correla il saggio d’interesse unicamente all’avvio della lite giudiziale per inadempienza ad obbligazione pecuniaria derivante da qualsiasi fonte.
L’opzione ermeneutica di questa Corte rimane confermata e, non già, inficiata dall’osservazione – fatta dalla Corte anconetana a sostegno della sua statuizione – che il Legislatore ebbe appositamente ad estendere anche al giudizio arbitrale l’applicazione della citata norma.
Difatti,da un lato, appare perseguito lo scopo di scoraggiare l’inadempimento e render svantaggioso il ricorso ad inutile litigiosità e, dall’altro,la disposizione dell’art. 1284 c.c., comma 4, comunque anche in detto giudizio esplica i suoi effetti nei limiti dianzi ricordati.
Infine va considerata proprio la finalità deflattiva perseguita dal Legislatore con l’adozione degli intessi commerciali,aventi saggio assai più elevato degli interessi legali siccome individuati art. 1284 c.c., ex comma 1.
Difatti il cenno alla convenzione tra le parti sul punto lumeggia come la voluntas legis sia diretta a colpire l’inadempienza, rispetto ad un obbligo liberamente e pattiziamente assunto, anche mediante l’abuso del processo come mezzo per prolungare ai danni del creditore la soddisfazione del suo diritto.
Quindi si deve concludere che la norma di cui all’art. 1284 c.c., comma 4, disciplina il saggio degli interessi legali – e come tali dovuti automaticamente senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza – applicato a seguito d’avvio di lite sia giudiziale che arbitrale però in correlazione ad obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti, anche se afferenti ad obbligo restitutorio.
Viceversa in relazione alle obbligazioni pecuniarie derivanti dalle altre fonti indicate in art. 1173 c.c., detta disciplina non risulta applicabile poichè nemmeno in astratto è possibile ipotizzare un previo accordo tra le parti interessate circa il saggio d’interesse o le conseguenze dell’inadempimento.
Così nell’atto illecito e nelle obbligazioni derivanti da disposizione di legge – caso esaminato in questo procedimento – per la loro stessa struttura fattuale non è ipotizzabile il previo accordo tra le parti al fine di disciplinare le conseguenze di un fatto genetico dell’obbligazione del quale nemmeno è ipotizzato od ipotizzabile il suo verificarsi da parte di entrambi i soggetti interessati.
Nella specie l’obbligazione indennitaria, dovuta dallo Stato in dipendenza dell’eccessiva durata di un procedimento giudiziale a sensi della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, non può esser determinata, per la stessa strutturazione della disposizione legislativa che la prevede, che a seguito dell’apposito procedimento giudiziario, sicchè non risulta ipotizzabile la necessaria possibilità per le parti di disciplinare pattiziamente le conseguenze dell’inadempimento.
Deve quindi questa Corte affermare il seguente principio di diritto “il saggio d’interesse legale stabilito nella disposizione normativa presente nell’art. 1284 c.c., comma 4, trova applicazione esclusivamente quando la lite giudiziale ovvero arbitrale ha ad oggetto l’inadempimento di un accordo contrattuale anche in relazione alle relative obbligazioni restitutorie”.
Di conseguenza il decreto adottato dalla Corte d’Appello va cassato in relazione alla statuizione afferente il tasso d’interesse dovuto dall’Amministrazione in relazione alla somma capitale di condanna.
Posto che non v’è necessità di alcun accertamento di fatto per l’applicazione nella specie del principio di diritto dianzi affermato, la Corte può procedere a decidere nel merito disponendo che sulla somma capitale dovuta dall’Amministrazione ricorrente dalla domanda corrono gli interessi legali ex art. 1284 c.c., comma 1.
Atteso l’esito complessivo della lite che ha comportato solamente il parziale accoglimento dell’opposizione spiegata dai consorti R., reputa questa Corte Suprema concorrano, ex art. 92 c.p.c., i requisiti di legge per compensare integralmente tra le parti le spese dell’intera lite.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa il decreto impugnato nei limiti di cui in motivazione e decidendo nel merito esclude l’applicazione nel caso dell’art. 1284 c.c., comma 4, rimanendo applicabile il saggio d’interesse previsto dal comma 1 del citato articolo.
Compensa tra le parti le spese dell’intero procedimento.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018