Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.28412 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11075/2014 proposto da:

F.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato MARCO MERLINI, rappresentata e difesa dagli avvocati FEDERICO TIBALDO, FLAVIO TIBALDO;

– ricorrente –

contro

F.P.L., rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO DINDO;

– controricorrente –

e contro

F.S.M., P.D., F.M.S., F.G., F.E., FO.GI., F.C., F.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 702/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 19/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/07/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

ritenuto che con sentenza parziale il Tribunale di Verona, per quale che ancora qui rileva, dispose divisione di un immobile proveniente dall’eredità lasciata da F.A. fra i suoi dieci figli, con assegnazione a F.M.R., con obbligo di corrispondere a ciascuno dei rimanenti nove fratelli la somma di Euro 58.000,00;

che F.P.L., che aveva appellato la statuizione, in prossimità dell’udienza di precisazione delle conclusioni, rinunciò agli atti e, nonostante che F.M.R. non avesse accettato la rinunzia, la Corte di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe dichiarò estinto il processo, compensando per intero le spese del grado;

ritenuto che F.M.R. propone ricorso per cassazione avverso la statuizione di cui sopra, prospettando sette motivi di censura, ulteriormente illustrati da memoria, e che, rimasti intimati gli altri germani, F.P.L. resiste con controricorso, in seno al quale svolge ricorso incidentale condizionato, al solo fine di riproporre le deduzioni esposte davanti alla Corte locale;

ritenuto che con i primi cinque motivi, unitariamente sintetizzabili, in quanto privi di effettiva autonomia, tutti caratterizzati per l’assenza d’individuazione della norma assunta come violata e tutti evocanti il vizio motivazionale di cui al testo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., abrogato nel 2012, la ricorrente deduce che aveva interesse alla prosecuzione del giudizio, poichè, tenuto conto che al tempo della stima dell’immobile, sulla base della quale era stato disposto l’ammontare dei conguagli, il mercato immobiliare non era stato ancora investito dalla crisi, al tempo del giudizio d’appello, quel conguaglio non poteva reputarsi più attuale, perchè conduceva ad una stima superiore all’effettivo prezzo di mercato dello stabile;

ritenuto che con gli ultimi due motivi, redatti sempre con la stessa tecnica, la ricorrente si duole della compensazione delle spese disposta dalla Corte di Venezia;

considerato che tutti i primi cinque motivi sono inammissibili, in quanto la odierna ricorrente avrebbe dovuto proporre appello incidentale, nei termini di cui all’art. 343 c.p.c., con il quale dolersi della stima dell’immobile a lei assegnato, trattandosi di aggredire la sentenza, appellata dal fratello, su un punto in ordine al quale l’appellata si riteneva non integralmente soddisfatta e, quindi, soccombente, seppure in parte; vertendosi al di fuori dell’ipotesi dell’onere di riproporre le domande e le eccezioni non accolte in primo grado (art. 346 c.p.c.), con la conseguenza che la Corte d’appello, a differenza di quel che sostiene il ricorso, non avrebbe potuto intervenire d’ufficio sulla stima fatta propria dalla sentenza di primo grado, sul punto non impugnata;

considerato che quanto sopra chiarito esonera dal prendere in esame la, peraltro evidente, aspecificità delle censure mosse con i primi cinque motivi, non corrispondenti al parametro normativo vincolato di cui al combinato disposto degli artt. 360 e 366 c.p.c., a cagione della mancanza di specificazione della norma violata e dell’evocazione di un vizio motivazionale non previsto dalla legge;

considerato che anche gli ultimi due motivi sono manifestamente destituiti di giuridico fondamento, in quanto sottopongono al giudizio di legittimità la valutazione di merito, non sindacabile, della Corte d’appello, vigente il testo dell’art. 92 c.p.c., anteriore alla riforma operata con la L. n. 69 del 2009 e ciò esonera, anche in questo caso, dal vagliarne la atipica formulazione;

considerato che, in ragione dell’epilogo, risulta priva di rilievo la riproposizione delle difese, che il controricorrente qualifica ricorso incidentale condizionato;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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