Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.28414 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5833/2014 proposto da:

CHIARMAN s.r.l., in persona del l’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato SAVERIO CARUCCIO;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO *****, in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato CINZIA MONTANARI giusta procura speciale rilasciata in Ravenna il 27.10.2017;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1400/2013 del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata il 26/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/07/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda processuale qui in rilievo può riassumersi nei termini seguenti:

– il Giudice di pace su richiesta del Condominio *****, ingiunse alla condomina Chiarman s.r.l. il pagamento di somma di denaro a titolo di oneri condominiali;

– divenuto il decreto irrevocabile, il Condominio iniziò procedimento esecutivo immobiliare;

– nel corso di questo il Condominio riconobbe che una parte della somma ingiunta non era dovuta, poichè afferente ad unità immobiliare non in proprietà della Chiarman, e si dichiarò, per quella parte, disponibile a rinunziare all’esecuzione;

– sulla base del predetto riconoscimento la Chiarman citò il Condominio chiedendo, ex art. 656 e art. 395, n. 2, la revoca del decreto ingiuntivo e il Giudice di pace accolse la domanda;

– il Tribunale, accolta l’impugnazione del Condominio, in riforma della sentenza del Giudice di pace, dichiarò inammissibile l’azione di revocazione, esperita, ai sensi del comb. disp. dell’art. 656 c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 2, dalla Chiarman, in quanto si era in presenza, al più, di un errore rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, che non poteva essere prospettato a riguardo di un decreto ingiuntivo, ostandovi il tenore dell’art. 656 c.p.c., non sussistendo il motivo revocatorio invocato di cui dell’art. 395 c.p.c., n. 2 (riconoscimento falsità della prova);

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorre la Chiarman, sulla base di cinque motivi;

che il Condominio resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 403 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 assumendosi che avverso la sentenza di revocazione sono ammessi, a mente dell’art. 403 c.p.c., solo i mezzi d’impugnazione ai quali era in origine soggetta la sentenza revocata e poichè il provvedimento revocato era un decreto ingiuntivo, impugnabile solo ai sensi dell’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 5 e 6 e con l’opposizione di terzo, nei casi contemplati dall’art. 404 c.p.c., avverso la sentenza di revocazione del medesimo non era esperibile l’appello, ma solo il ricorso straordinario per cassazione, ex art. 111 Cost.;

considerato che la censura è destituita di giuridico fondamento, in quanto:

– il parallelismo posto dalla ricorrente poggia sopra una congettura non giustificata dall’assetto normativo, invero, la circostanza che il decreto ingiuntivo può essere solo opposto davanti al giudice che lo ha emesso non implica affatto che la sentenza che lo revoca debba essere sottratta agli ordinari gravami e, pertanto non possa essere appellata e proprio la non ragionevolezza dell’opposta opzione ha reso rara e, comunque scontata, la decisione sul punto in sede di legittimità (correttamente il controricorrente richiama la lontana sentenza di questa Corte n. 1741 del 5/7/1966, Rv. 323392, e la più recente n. 3554 dell’11/3/2003, in motivazione);

ritenuto che con il secondo e il collegato terzo motivo viene prospettata violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 2, nonchè dell’art. 63 disp. att. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto, a differenza di quanto opinato dal Tribunale, la norma in parola ricomprende anche le “dichiarazioni non veritiere imputabili a imperizia, o a leggerezza o a negligenza” e anche il falso ideologico; inoltre il comportamento concludente della ricorrente se poteva indurre, sul piano del diritto sostanziale, una situazione di apparenza del diritto del Condominio, questo, nel momento in cui decideva di ricorrere al giudice aveva il dovere di verificare, attraverso l’accesso ai registri immobiliari, l’estensione della proprietà della condomina; infine, nel novero delle prove false, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 2, doveva farsi rientrare l’erroneo riparto delle spese sulla base del quale il Condominio aveva richiesto e ottenuto l’ingiunzione;

considerato che il complesso motivo sopra sintetizzato è infondato, poichè:

a) correttamente la Corte locale ha escluso che nel caso in esame ricorra la fattispecie del falso: da anni la ricorrente aveva pagato le quote, corrispondenti ad una proprietà esclusiva mai contestata, la delibera condominiale di riparto si era limitata a stabilire il quantum e non ad accertare l’estensione della proprietà esclusiva e non costituiva una prova falsa, determinante la statuizione;

b) si è al di fuori del falso ideologico, del quale possono risultare affetti solo gli atti redatti da un pubblico ufficiale, destinati a riportare i fatti accaduti sotto la sfera percettiva sensoriale del medesimo;

c) lo stato di ripartizione delle spese condominiali costituisce un atto di parte e la circostanza che sia necessario al fine di richiedere il decreto ingiuntivo non lo trasforma in una prova;

ritenuto che con il quarto motivo, deducente violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, il ricorso afferma che trattavasi di “una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile”, che aveva portato ad una statuizione smentita “incontestabilmente” dagli atti di causa;

considerato che la doglianza è inammissibile, in quanto il mezzo invocato è espressamente escluso dall’art. 656 c.p.c. e, peraltro, neppure consta invocato in precedenza;

ritenuto che con il quinto motivo la Chiarman allega violazione e falsa applicazione del comb. disp. dell’art. 656 c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che il divieto di cui all’art. 656 c.p.c., opera solo nel caso in cui ricorra l’ipotesi di cui dell’art. 395 c.p.c., n. 1, ma non nel caso di cui dell’art. 395, n. 2;

considerato che anche quest’ultima censura è inammissibile, poichè la ricorrente non mostra di cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, come si è visto, ha escluso il ricorrere, nel merito dell’ipotesi di cui al n. 2 cit.;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione ternporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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