Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.28419 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9693/2016 proposto da:

C.M.L., A.C. DI AN.CR. E C SNC, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO TOMASELLI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

REGIONE LOMBARDIA GIUNTA REGIONALE DIREZIONE GENERALE AGRICOLTURA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLO’ PORPORA 16, presso lo studio dell’avvocato EMANUELA QUICI, rappresentata e difesa dagli avvocati MARINELLA ORLANDI, MARIA EMILIA MORETTI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3987/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/09/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Emanuela Quici per delega dell’Avvocato Moretti ed Orlandi per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

I ricorrenti proponevano opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento n. 6273/2008 con la quale la Regione Lombardia intimava loro il pagamento della sanzione di Euro 5.000.00 in conseguenza della violazione dell’obbligo di corretta tenuta della contabilità, così come prescritto dal Reg. CE n. 595/2004, art. 24, dalla L. n. 119 del 2003, art. 8, comma 3, art. 10, commi 1 e 5 e del D.M. 31 luglio 2013, artt. 12, 13 e 14, con riferimento all’analisi della materia grassa, relativamente agli anni 2005-2006.

Il Tribunale di Lodi con la sentenza n. 150 del 15 febbraio 2011 accoglieva l’opposizione, ritenendo di dover disapplicare le cartelle di accertamento che traggono origine da procedimenti di calcolo meramente induttivi, privi cioè di obiettivi riscontri ed in assenza di predefiniti metodi (normativi) di calcolo e di chiare procedure per il campionamento della materia grassa.

La Regione Lombardia impugnava la decisione del Tribunale, e la Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 3987 del 19 ottobre 2015, riformava la pronuncia gravata.

Rilevava che il sistema del settore lattiero – caseario, per effetto della normativa comunitaria, si fondava sull’attribuzione ai produttori di specifici quantitativi individuali, il cui superamento imponeva un prelievo supplementare, al fine di scoraggiare l’eccesso di produzione.

Accanto all’assegnazione del Quantitativo di riferimento individuale (QRI), riferito al quantitativo di latte che ogni produttore può immettere nel mercato, si prevede anche un Tenore di massa grassa di riferimento (TMGR).

Per calcolare l’effettiva misura del prelievo occorre tuttavia tenere conto oltre che delle quantità di latte prodotto, anche delle eventuali differenze tra il tenore effettivo di massa grassa ed il tenore di massa grassa di riferimento, che viene fissato storicamente ed ad inizio periodo, e che possono consentire di aumentare ovvero di ridurre il quantitativo di latte riconducibile al singolo produttore.

A tal fine ogni produttore deve rendere delle dichiarazioni mensili ed una dichiarazione finale di fine periodo con la quale indica il Tenore medio grasso di periodo (TMGP), che raffrontato con il TMGR consente di stabilire in che percentuale debba essere rettificato il QRI.

Divengono quindi essenziali le verifiche periodiche della massa grassa, ed in tal senso si è previsto che sia l’acquirente a far effettuare i prescritti controlli almeno due volte al mese, onde stabilire la media aritmetica che fissi il valore del TMGP.

Orbene, nella fattispecie emergeva che a fronte del TMGR assegnato all’unico produttore da cui si riforniva la società opponente, la percentuale di massa grassa ricavata dai controlli mensili era di valore notevolmente inferiore al primo indice, e che ciò non era stato ritenuto verosimile dalla Regione.

Poste tali premesse, rilevava la Corte distrettuale che in realtà la contestazione mossa agli opponenti non atteneva nè alla mancata raccolta dei campioni nè all’invio degli stessi a laboratori non autorizzati, ma alle concrete modalità di raccolta dei campioni, le quali inficiavano a monte l’attendibilità dei dati ricavabili dalle analisi poi effettuate.

In particolare la società era munita di un impianto di raccolta del latte costituito da un frigorifero verticale dal quale è possibile estrarre campioni solo mediante un lattometro omologato (circostanza che aveva indotto gli incaricati dell’associazione dei produttori tenuti alla raccolta dei campioni, a sospendere le rilevazioni).

L’impianto era però privo di un miscelatore necessario per far sì che la massa grassa, che di norma tende ad affiorare, sia omogeneamente rinvenibile anche nella parte bassa del contenitore, parte bassa nella quale è ubicato il rubinetto dal quale si prelevano i campioni.

Tale situazione impediva quindi di ritenere attendibili i campioni prelevati ed impediva di pervenire ad una determinazione univoca della percentuale di massa grassa, il che implicava altresì che sussistesse la violazione contestata, rappresentata dalla non corretta tenuta della contabilità con riferimento alle analisi della materia grassa.

Infine andava esclusa anche la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 15, in quanto la contestazione non si fondava su alcun ulteriore prelievo (atteso che i controllori, proprio per la peculiare struttura dell’impianto dell’opponente, non avevano più svolto ulteriori prelievi).

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la A.C. di An.Cr. e C. S.n.c., ora Ditta A.C. S.r.l., nonchè C.M.L., sulla base di due motivi.

La Regione Lombardia resiste con controricorso illustrato da memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso, che denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, è manifestamente infondato.

La tesi dei ricorrenti, che si fonda sulla mancata considerazione da parte della Corte di appello della natura non vincolante ed avente valore di pubblica fede dei dati contenuti nel Bollettino dei Controlli della Produttività del Latte, nonchè l’indicazione quali dati non considerati, e che invece apparivano determinanti ai fini dell’accoglimento dell’opposizione, della regolare tenuta della contabilità da parte della società acquirente, della regolare effettuazione dei prelievi e dell’invio dei campioni ai laboratori specializzati, non si confronta tuttavia con il reale contenuto della decisione gravata.

La Regione, partendo dalla rilevante differenza riscontrata tra i valori di massa grassa dichiarati dall’unico produttore da cui si riforniva la società opponente, e quelli invece emergenti dalle analisi dei campioni da questa ultima inviati periodicamente ai laboratori d’analisi, che non trovava all’apparenza una razionale giustificazione, lungi dal contestare la falsità dei dati in esame, ha in realtà addebitato ai ricorrenti l’adozione di modalità di prelievo inidonee ad assicurare che il campione riflettesse in maniera fedele il quantitativo di massa grassa effettivamente presente nel latte trattato.

In tal senso, la particolare conformazione del tank refrigeratore ove viene custodito il latte, l’assenza di un miscelatore e la logica considerazione suggerita dalle leggi della fisica, per la quale la massa grassa tende ad affiorare, hanno indotto a ritenere del tutto inattendibile il metodo di prelievo eseguito tramite un rubinetto posto nella parte inferiore del contenitore, con la conseguenza che, pur a fronte di una formale osservanza delle prescrizioni normative, i prelievi effettuati non sono in radice idonei ad offrire una rappresentazione fedele della massa grassa, rendendo per l’effetto del tutto inattendibile la contabilità relativa alla stessa massa grassa.

Ne discende quindi che le circostanze di cui si assume essere stata omessa la disamina, oltre a risultare in realtà valutate dal giudice di merito (si pensi alla questione relativa al peculiare regime alimentare del bestiame del produttore, ovvero alla conformazione dell’impianto di raccolta del latte della società acquirente), appaiono prive comunque del carattere della decisività, in quanto non sono in grado di inficiare la specifica motivazione per la quale la Corte d’Appello, condividendo l’assunto della Regione, ha reputato inattendibili, non già i risultati delle analisi, ma le stesse modalità di prelievo, che a monte possono ragionevolmente inficiare anche l’esito delle successive analisi.

Il divario esistente tra i dati estrapolati dai bollettini AIA che permettono di fissare il TMGR, con quelli emersi dai prelievi periodici compiuti a cura della parte acquirente non è l’oggetto della contestazione posta a fondamento dell’ordinanza opposta, ma ha rappresentato un mero elemento indiziario, dal quale poter poi evincere la suddetta inaffidabilità del metodo di prelievo praticato presso la società ricorrente.

2. Analogamente infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, che lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 15, nella parte in cui la Corte distrettuale ha escluso la violazione di tale norma, senza tenere conto della contestazione mossa in appello secondo cui era mancata ogni comunicazione agli interessati dell’esito delle analisi effettuate per l’accertamento della violazione contestata.

La valutazione dei giudici di merito appare però incensurabile, posto che la contestazione di cui al provvedimento sanzionatorio non si fonda sugli esiti di analisi di laboratorio, autonomamente svolte dalla Regione, ed i cui risultati non siano stati tempestivamente comunicati al trasgressore, ma sulla più volte ricordata inidoneità delle modalità di prelievo ad offrire un quadro attendibile circa la quantità di massa grassa presente nel latte acquistato.

3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e le spese seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 1.900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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