Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28420 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8308/2013 proposto da:

Curatela del Fallimento ***** S.n.c., in persona del curatore rag. M.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via G.

Avezzana n. 1, presso lo studio dell’avvocato Manfredini Ornella, rappresentata e difesa dall’avvocato Federici Nicola, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Mps Gestione Crediti Banca S.p.a., non in proprio ma in nome e per conto della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia n. 9, presso lo studio dell’avvocato Mannocchi Massimo, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1384/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 26/10/2012;

letta la memoria di parte ricorrente ex art. 380 bis 1 c.p.c.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2018 dal cons. Dott. VELLA PAOLA.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Firenze ha accolto l’appello proposto da Mps Gestione Crediti Banca S.p.a. quale procuratore speciale della Banca Toscana s.p.a. – e, in totale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze, ha rigettato la domanda di revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, proposta dalla Curatela del Fallimento ***** S.n.c., in relazione alle rimesse effettuate dalla società e dai soci sui conti correnti intestati ai medesimi presso la filiale di ***** del Monte dei Paschi, ritenendo non dimostrata la sussistenza della scientia decoctionis.

2. Avverso detta sentenza la Curatela del Fallimento ***** S.n.c. ha proposto ricorso affidato ad un motivo, cui Mps Gestione Crediti Banca S.p.a. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si rileva l’infondatezza dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal controricorrente, per essere stato il ricorso indirizzato e notificato a “MPS GESTIONE CREDITI BANCA SPA” quando quest’ultima aveva agito “esclusivamente in nome e per conto della Banca Toscana S.p.A. e mai in proprio, come invece nella presente sede di legittimità è stata evocata nella qualità di resistente”.

1.1. Invero, l’esplicito richiamo, in esordio al ricorso in esame, alla sentenza d’appello impugnata – nella cui intestazione la “M.P.S. GESTIONE CREDITI BANCA s.p.a.” figura chiaramente “non in proprio ma in qualità di procuratore speciale di BANCA TOSCANA s.p.a.” – rende inequivocabile la volontà di parte ricorrente di proseguire il giudizio nei confronti della parte intimata nella medesima qualità già spesa nei precedenti gradi di giudizio.

2. Passando all’esame del ricorso, con l’unico motivo – rubricato “Violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67 (ante riforma del 2005) (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) in coordinamento con il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e/o Omessa o contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa l’insussistenza dei gravi indizi in ordine alla sussistenza della scientia decoctionis sempre L. Fall.L. Fall., ex art. 67 letto in coordinamento con il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385” – la ricorrente contesta la valutazione del giudice d’appello circa la mancanza di prova piena della scientia decoctionis in capo alla banca convenuta, ritenendo che la lettura dei fatti offerta dal giudice a quo “non sia affatto conforme con i riferimenti normativi e giurisprudenziali che pure vengono citati, ovvero che sia totalmente carente e contraddittoria”.

3. Il motivo è affetto da plurimi profili di inammissibilità.

4. In primo luogo, in esso vengono prospettati cumulativamente e confusamente mezzi di impugnazione eterogenei (vizi motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; n. 5964 del 2015; nn. 26018 e 22404 del 2014).

5. In secondo luogo, la censura motivazionale è erroneamente parametrata sul previgente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) nonostante si tratti di sentenza pubblicata dopo l’11 settembre 2012 (Cass. n. 19761 e n. 19040 del 2016); tra l’altro, essa prospetta in modo incongruo tanto l’omissione quanto la contraddittorietà e insufficienza della motivazione, non potendosi predicare l’assenza di ciò che si critica quanto ad estensione e contenuto (cfr. Cass. nn. 13336 e 6690 del 2016).

6. Infine, la parte del motivo apparentemente formulata come vizio di legge veicola in realtà censure di merito, attinenti alla valutazione del materiale probatorio, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione rappresenta un rimedio impugnatorio a critica vincolata e cognizione determinata dall’ambito dei vizi dedotti, non già uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (ex plurimis, Cass. Sez. U. 7931/2013; conf. Cass. 14233/2015, 12264/2014). Sono dunque inammissibili in sede di legittimità le censure volte ad ottenere una rivisitazione (e differente ricostruzione) delle risultanze istruttorie, spettando al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Cass. 19547/2017; cfr. Cass. 962/2015, 26860/2014).

7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.

8. Trattandosi di ricorso notificato successivamente al 30 gennaio 2013, si dà atto – in mancanza di qualsivoglia discrezionalità al riguardo (Cass., Sez. U., n. 15279 del 2017 e n. 24245 del 2015; Cass. n. 5955 del 2014) – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento da parte dell’impugnante soccombente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013”), che ha aggiunto nel Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (v., da ultimo, Cass. Sez. 3, n. 6028 del 2018; Sez. 2, n. 5930 del 2018).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, coma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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