LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5212/2016 proposto da:
A.B., elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio n. 91, presso lo studio dell’avvocato Lucisano Claudio, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Banca Popolare Friuladria S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli n.15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Casucci Roberto, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
T.A., T.P.;
– intimati-
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata i 15/12/2015 e la sentenza n. 1949/15 del TRIBUNALE DI VENEZIA, pubblicata il 08/06/2015;
udita la relazione della cau3a svolta nella pubblica udienza del 10/07/2018 dal cons. IOFRIDA GIULIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Claudio Lucisano che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia, con ordinanza ex art. 348 bis-ter c.p.c., n. 1838/2015, comunicata il 21/12/2015, – pronunciata in un giudizio promosso dalla Banca Popolare Friuladria spa nei confronti di A.B., di T.P. e T.A., al fine di sentire dichiarare inefficace in pregiudizio alla prima, ai sensi dell’art. 2901 c.c., il contratto di compravendita, stipulato nel novembre 2010, con il quale i T. (i quali, nell’aprile 2009, avevano prestato fideiussione in favore della Banca, a garanzia di un contratto di mutuo acceso dal debitore principale) avevano venduto la nuda proprietà di un immobile sito in ***** alla A., donando contestualmente l’usufrutto ad una loro zia (di lì a poco deceduta) – ha confermato, ritenendo il gravame inammissibile in difetto di ragionevoli probabilità di accoglimento, la decisione di primo grado, che aveva accolto le domande attoree.
Il Tribunale di Venezia, in particolare, ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova della generica conoscibilità da parte dell’acquirente A. del pregiudizio arrecabile al ceto creditorio del disponente (considerato l’esiguo prezzo, Euro 75.000,00, rispetto al valore di mercato, Euro 205.000,00, stimato dal CTU, nonchè la donazione dell’usufrutto da parte dei venditori ad una loro zia, nata nel *****, con modeste aspettative di vita), con conseguente accoglimento della domanda di revocatoria ordinaria, respingendo la domanda riconvenzionale di manleva, della A. nei confronti dei coniugi T., per sua genericità.
Avverso l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. della Corte d’appello di Venezia e la sentenza del Tribunale di Venezia, A.B. propone ricorso (spedito a mezzo posta il 18/2/2016) per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti della Banca Popolare Friuladria spa (che resiste con controricorso) e di T.P. e T.A. (che non svolgono attività difensiva).
Nell’ordinanza suddetta, il collegio, dato atto che, con ordinanza di questa Corte n. 9651/2017, era stato definito il separato ricorso per cassazione, promosso, avverso la medesima ordinanza della Corte d’appello e la stessa sentenza del Tribunale, dai sig.ri T., ne senso dell’inammissibilità del ricorso avverso l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. e del rigetto del ricorso avverso la decisione del giudice di primo grado, e che residuava interesse della A. al presente ricorso per cassazione, con riguardo al primo ed al terzo motivo, attenenti alla domanda di manleva svolta in primo grado, non coperti dal suddetto giudicato di rigetto, ha rilevato che, sulla questione sollevata con il terzo motivo, inerente alla ammissibilità, anche nei limiti di una domanda di condanna generica, della domanda di manleva svolta dal terzo acquirente, in via subordinata per l’ipotesi di accoglimento dell’azione revocatoria ai suoi danni, non si registravano precedenti, con conseguente necessità di rimessione alla sezione semplice. Le parti, ricorrente e controricorrente, hanno depositato memorie. La ricorrente ha anche depositato documenti.
La causa è stata quindi trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 10 luglio 2018.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, rivolto verso l’ordinanza della Corte d’appello di Venezia, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 348 bis c.p.c., avendo la Corte omesso di pronunciare, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sul motivo inerente alla inammissibilità della domanda di manleva; 2) con il secondo motivo, rivolto verso la sentenza del Tribunale di Venezia, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2901 c.c., avendo il Tribunale ritenuto sussistente la consapevolezza del pregiudizio arrecato alla creditrice in capo all’acquirente A., pur in difetto di sua conoscenza delle ragioni di credito vantate dalla banca nei confronti dei T. e pur in presenza di un prezzo di acquisto della nuda proprietà del tutto in linea con quello di mercato, come accertato da una perizia di stima richiesta prima della compravendita; 3) con il terzo motivo, sempre rivolto contro la sentenza del Tribunale, la violazione o erronea/falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art.1483 c.c., anche in relazione all’art. 2902 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al rigetto della domanda riconvenzionale di manleva e garanzia, svolta in via subordinata nei confronti dei T., avendo erroneamente il Tribunale ritenuto generica la richiesta, laddove la domanda di manleva non poteva che essere formulata nel senso di essere tenuta indenne, dai venditori, da tutto quanto essa avente causa fosse tenuta a riconoscere alla creditrice BPF.
2. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della produzione documentale effettuata dalla ricorrente, atteso il divieto di cui all’art. 372 c.p.c. di produrre nuovi documenti nel giudizio di cassazione fatta eccezione per quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso.
3. Il primo motivo, rivolto verso l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. della Corte d’appello, è inammissibile.
Occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 1914 del 2016, hanno chiarito come avverso l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (c.d. filtro in appello, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54conv. con modifiche dalla L. n. 134 del 2012), sia proponibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, a titolo esemplificativo: l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348- bis c.p.c., comma 2 e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo, implicanti il mancato rispetto delle dinamiche dettate sull’iter che conduce all’ordinanza filtro; la pronuncia dell’ordinanza quando l’appello era fondato su ius superveniens o fatti sopravvenuti; la statuizione sulle spese), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso.
In particolare, le S.U. hanno escluso che possa configurarsi il vizio di omessa pronuncia riguardo a singoli motivi di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c., potendo eventualmente porsi un problema di motivazione della decisione assunta, necessariamente complessiva. L’ordinanza ex art. 348 – ter c.p.c. risulta in tali ipotesi di natura decisoria (in quanto idonea ad incidere su diritti soggettivi) ed anche definitiva (non essendo esperibile alcun rimedio diretto per ottenere il controllo del corretto operato da parte del giudice d’appello).
Le stesse S.U. hanno poi precisato che la decisione, che pronunci l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali (ad es. perchè proposto in violazione dell’art. 342 c.p.c.), ancorchè adottata con ordinanza richiamante l’art. 348-ter c.p.c. ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, ma al di fuori del suo ambito applicativo (in violazione quindi dell’art. 348 bis c.p.c., che esclude che possa essere pronunciata ordinanza di inammissibilità dell’appello per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento, quando l’impugnazione debba essere dichiarata, con sentenza, inammissibile o improcedibile sotto profili normativamente previsti e logicamente antecedenti e quindi diversi dalla manifesta infondatezza), è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale (solo in rito), che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza, nel merito, del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti.
In presenza dunque di un’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. emanata correttamente nell’ambito suo proprio, l’unico rimedio consentito dalla legge è l’impugnazione della sentenza di primo grado.
Ora, nella specie, anche alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia del 2016, avverso la specifica ordinanza ex art. 348 – ter c.p.c. di inammissibilità dell’appello della Corte territoriale, non è effettivamente proponibile ricorso per cassazione, ordinario o straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, essendo la stessa stata adottata, nel rispetto della relativa procedura e nell’ambito applicativo dettato dagli artt. 348 bis e ter c.p.c., per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento, nel merito, del gravame.
Il giudizio prognostico sfavorevole espresso dal giudice d’appello nell’ordinanza ex art. 348-ter c.p.c. in oggetto si è appunto sostanziato nella conferma della sentenza di primo grado per essere l’appello prima facie destituito di fondamento, con motivazione del tutto sovrapponibile a quella di prime cure. L’unico rimedio impugnatorio era, dunque, quello previsto contro la sentenza di primo grado. Inoltre, il vizio denunciato di omessa pronuncia risulta inammissibile avverso ordinanza resa ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c..
4. Il secondo motivo è improcedibile, essendosi formato il giudicato, per effetto dell’ordinanza di questa Corte n. 9651/2017, nel giudizio promosso, avverso la medesima sentenza, dai venditori T. nei confronti della Banca Popolare Friuladria spa e della stessa A., che non aveva svolto difese in quella sede. Questa Corte invero ha respinto il ricorso per cassazione, ritenendo che il Tribunale, con riguardo agli elementi costitutivi dell’azione revocatoria ordinaria dell’eventus damni e del consilium fraudis, avesse correttamente valutato il materiale istruttorio e fosse adeguatamente motivata.
Questa Corte ha chiarito (Cass. 9164/1994; Cass. 6578/2001; Cass. 4617/2004; Cass. 5846/2008; Cass. 3870/2010; Cass. 17328/2012) che, in caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l’improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza – in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell’art. 335 c.p.c. – alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l’impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati.
Nella specie, i distinti ed autonomi ricorsi per cassazione, promossi, rispettivamente, dai T. e dalla A. non sono stati riuniti ed erano solo in parte sovrapponibili, ma il motivo qui in esame (il secondo del ricorso proposto dalla A.) deve ritenersi improcedibile per preclusione dovuta al giudicato di rigetto.
3. Il terzo motivo (non coperto dal giudicato) è fondato.
Il Tribunale ha respinto la domanda di manleva, svolta in via subordinata dall’acquirente A. nei confronti degli alienanti, per essere tenuta indenne dalle conseguenze pregiudiziali dell’accoglimento dell’azione revocatoria, in quanto non erano state “neppure chiarite le pretese”.
Ora, anzitutto, il richiamo, presente in ricorso, all’art. 2902 c.c., comma 2, che disciplina gli effetti dell’azione revocatoria accolta sui terzi contraenti – e, nella specie, l’ A. ha partecipato essa stessa direttamente al contratto di compravendita stipulato dai debitori – alienanti -, è utile in relazione alla conferma, nella suddetta disposizione, della sussistenza, in capo al terzo contraente verso il debitore, di possibili “ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria”.
L’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, che si prospetti compromessa dall’atto di disposizione da questi posto in essere; essa, pertanto, in caso di esito vittorioso, non travolge l’atto impugnato, con conseguente effetto restitutorio o recuperatorio del bene al patrimonio del debitore, ma ha l’effetto tipico di determinare l’inefficacia dell’atto stesso nei confronti del solo creditore, al fine di consentirgli di aggredire il bene con l’azione esecutiva qualora il proprio credito rimanga insoddisfatto (sentenza 14/6/2007 n. 13972).
Poichè l’effetto dell’accoglimento dell’azione revocatoria è l’inefficacia relativa in pregiudizio al creditore dell’atto dispositivo posto in essere dal debitore e quindi la possibilità di esercitare l’azione esecutiva sul bene, possono essere richiamate le disposizioni dettate in materia di evizione del bene compravenduto.
Questa Corte ha da tempo chiarito che gli effetti della garanzia per evizione, che sanziona l’inadempimento da parte del venditore dell’obbligazione di cui all’art. 1476 c.c., conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato e, quindi, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, in quanto detta perdita comporta l’alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto (Cass. 21675/2005; Cass. 20877/2011; Cass. 5561/2015). E, con riferimento specifico alle azioni di garanzia proponibili nell’ambito di un giudizio ex art. 2901 c.c., questa Corte ha affermato che “nel giudizio in cui sia stata esercitata l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.), il debitore alienante è litisconsorte necessario del convenuto terzo acquirente poichè l’accoglimento della domanda comporta, per effetto dell’assoggettamento del terzo alle azioni esecutive sul bene oggetto dell’atto di disposizione impugnato, l’acquisto da parte di costui di ragioni di credito verso l’alienante (art. 2902 c.c., comma 2), nonchè, oltre ad altri effetti immediati e diretti (quali l’obbligo della restituzione del prezzo a seguito della evizione della cosa), postula nei confronti del debitore l’accertamento della sua frode e dell’esistenza del credito. Ne consegue che dell’intero giudizio debbono necessariamente essere parti il terzo acquirente ed il debitore alienante e, nel caso di morte di costoro, i loro eredi” (Cass. 8952/2000).
Ne consegue che il terzo acquirente, in qualità di soggetto passivo dell’azione esecutiva che il creditore può promuovere a seguito della dichiarazione d’inefficacia dell’atto dispositivo, può proporre azione di manleva ovvero di garanzia nei confronti dell’alienante e la domanda, al momento dell’instaurazione della lite per revocatoria ordinaria, non può che essere formulata nel senso di essere tenuto indenne dalle conseguenze pregiudizievoli, non note ancora, dell’instaurata azione revocatoria, non potendosi per ciò solo ritenere generica e non specifica.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va accolto il terzo motivo del ricorso, inammissibile il primo ed improcedibile il secondo, con cassazione della sentenza del Tribunale impugnata, in relazione al motivo accolto, e decidendo quindi nel merito, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto si dichiarano gli alienanti T. tenuti a manlevare l’acquirente A. da ogni conseguenza pregiudizievole derivata alla medesima dall’azione revocatoria ordinaria e dalla conseguente azione esecutiva intrapresa dalla creditrice Banca Popolare Friuladria.
Le spese dell’intero giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nel rapporto T./ A., mentre vanno compensate quelle del presente giudizio di legittimità nel rapporto tra la ricorrente A. e la controricorrente Banca, avuto riguardo a tutte le peculiarità, processuali e sostanziali, della controversia.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, inammissibile il primo ed improcedibile il secondo, cassa la sentenza del Tribunale impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, dichiara gli alienanti T. tenuti a manlevare l’acquirente A. da ogni conseguenza pregiudizievole derivata alla medesima dall’azione revocatoria ordinaria e dalla conseguente azione esecutiva intraprese dalla creditrice Banca Popolare Friuladria; condanna gli intimati T. al rimborso, in favore della ricorrente A., delle spese processuali dell’intero giudizio, liquidate, quanto al giudizio di primo grado, in complessivi Euro 3.050,00, a titolo di compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%, e, quanto al presente giudizio di legittimità, in complessivi Euro 7.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità nel rapporto tra la ricorrente A. e la controricorrente Banca.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018
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