Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28429 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6827/2014 proposto da:

P.R., N.E., N.F., N.N., elettivamente domiciliati in Roma, Via Antonio Pacinotti n. 5/d, presso lo studio dell’avvocato Chiefari Maria, rappresentati e difesi dagli avvocati Cosentino Angelo, Cosentino Vittorio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Altomonte, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio Cesare n. 21/23, presso lo studio dell’avvocato Armentano Antonio, rappresentato e difeso dall’avvocato Ferrara Alessandro, giusta procura a margine dei controricorso;

– controricorrente –

contro

A.t.e.r.p. – Azienda Territoriale per l’Edilizia Pubblica della Provincia di *****, già Istituto Autonomo Case Popolari di *****, in persona del commissario straordinario pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Urso Massimo, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 295/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 25/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/09/2018 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 295/2013, pronunciata in un giudizio promosso da P.F.S., P.M.G. e P.R., nei confronti dello I.A.C.P. della Provincia di ***** (con la chiamata in causa del Comune di Altomonte), per sentire condannare il convenuto al risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione d’urgenza di un terreno di loro proprietà, per la realizzazione di alloggi di edilizia popolare, senza completamento nei termini di legge della procedura di espropriazione e con irreversibile trasformazione dell’area, – è stata confermata la decisione di primo grado che, rilevata la tempestiva emanazione nella fattispecie del decreto di esproprio, esclusa la legittimazione passiva dello I.A.C.P. e riqualificata la domanda in opposizione alla stima dell’indennità di occupazione e di esproprio, ha dichiarato la propria incompetenza in ordine a quest’ultima, essendo competente la Corte d’appello di Catanzaro in unico grado.

In particolare, la Corte territoriale, riguardo alla questione principale relativa alla tempestività del procedimento ablativo, ha rilevato che, come accertato in primo grado, l’ultimazione dei lavori era tempestivamente intervenuta nel 1983, cosicchè il decreto di esproprio, emesso nel marzo 1987, entro il termine fissato, per effetto di varie proroghe, per l’occupazione d’urgenza (inizialmente, autorizzata dalla Giunta Regionale, con decreto del dicembre 1980, per quattro anni dalla effettiva immissione in possesso, avvenuta il 7/5/1981, con proroghe di un anno, nel dicembre 1984, per effetto di un decreto del Presidente della Giunta Regionale, e di un ulteriore anno, per effetto della L. n. 42 del 1985, in vigore dal marzo 1985), ma oltre quello quinquennale previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità (con Delib. Giunta Comunale 26 febbraio 1980, termine venuto a scadere quindi nel febbraio 1985) per il completamento delle procedure espropriative, non era stato emanato in carenza di potere espropriativo, non era inutiliter datum, essendo comunque sorretto dal potere espropriativo in capo alla pubblica amministrazione adottante, ed era quindi idoneo ad escludere in radice la configurabilità stessa dell’acquisizione a titolo originario della proprietà da parte dell’Ente pubblico per accessione invertita, fatto illecito questo posto a fondamento della pretesa risarcitoria azionata in giudizio dagli attori.

Avverso detta sentenza, P.R., N.F., N.E., N.N., questi ultimi tre quali eredi di P.M.G. ved. N., deceduta nelle more, e tutti e quattro anche quali eredi di P.F.S., pure deceduto nelle more, propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della A.T.E.R.P. Azienda Territoriale per l’Edilizia Pubblica della Provincia di *****, già I.A.C.P., e del Comune di Altomonte (che resistono con controricorsi). I ricorrenti ed il Comune controricorrente hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti lamentano, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, L. n. 2359 del 1865, art. 13, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, in riferimento alla ritenuta tempestività dei decreto di esproprio, pure emesso oltre il termine originariamente previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità ed addirittura dopo l’instaurazione, nell’ottobre 1985, della lite; con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 104 del 2010, art. 133, lett. g), per avere la Corte d’appello ritenuto che la scadenza del termine finale del procedimento espropriativo non dia luogo a carenza di potere, ma determini solo un vizio del procedimento da dedurre dinanzi al giudice amministrativo, in violazione della riserva di giurisdizione del giudice ordinario per la risoluzione delle questioni inerenti alla determinazione e corresponsione dei danni spettanti al proprietario che abbia subito l’illecita ablazione.

2. Le due censure, da esaminare congiuntamente in quanto connesse, sono infondate.

I ricorrenti lamentano che l’opera pubblica sia stata completata prima del termine di scadenza dell’occupazione d’urgenza, ma che il decreto di esproprio sia intervenuto oltre la scadenza del termine (febbraio 1985, secondo l’assunto dei ricorrenti) stabilito per il compimento dei lavori, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 13, operante nella fattispecie, con Delib. Comunale del febbraio 1980, contenente la dichiarazione di pubblica utilità, con la conseguenza che quest’ultima era divenuta inefficace, non rilevando la proroga legale del termine che era intervenuta quando i lavori erano stati già ultimati entro il quinquennio dall’immissione in possesso, avvenuta nel maggio 1981.

Ora, nel giudizio di merito, a fondamento della prospettata occupazione appropriativa, era stata dedotta l’inapplicabilità della proroga legale dei termine di occupazione legittima, disposta dalle disposizioni sopra indicate, in ragione del fatto che l’opera pubblica era stata già completata tempestivamente nel quinquennio.

Il richiamo alla durata della dichiarazione di pubblica utilità, operato dai ricorrenti, è inammissibile, richiedendo un accertamento di fatto, precluso dinanzi al giudice di legittimità, in ordine alla determinazione (della scadenza) dei quattro termini di cui alla L. del 1865, art. 13 (v. Cass. n. 4201 del 2009), vale a dire il termine iniziale e finale del procedimento espropriativo, da una parte, ed il termine iniziale e finale dei lavori, dall’altra parte (“Nell’atto che si dichiara un’opera di pubblica utilità saranno stabiliti i termini entro i quali dovranno incominciarsi a compiersi le espropriazioni ed i lavori. L’autorità che stabilì i suddetti termini li può prorogare per casi di forza maggiore o per altre cagioni indipendenti dalla volontà dei concessionari, ma sempre con determinata prefissione di tempo. Trascorsi i termini, la dichiarazione di pubblica utilità diventa inefficace e non potrà procedersi alle espropriazioni se non in forza di una nuova dichiarazione ottenuta nelle forze prescritte dalla presente legge.”), avendo questa Corte più volte affermato che l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità consegue alla scadenza di tutti e quattro i suddetti termini (v., tra le tante, Cass. del 2009 cit., n. 10251 del 2002).

La dichiarazione di pubblica utilità dell’opera doveva infatti recare l’indicazione della data di inizio e compimento delle procedure espropriative, dell’inizio e compimento dei lavori, indicazioni queste necessarie, ai sensi della L.S. n. 2359 del 1865, art. 13, per delimitare, nel tempo, il potere espropriativo della pubblica amministrazione, a tutela dell’interesse pubblico e privato, ma l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità conseguiva, però, alla scadenza di tutti e quattro i termini, come ripetutamente affermato dalle S.U. di questa Corte, secondo cui il terzo comma della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13 (a norma del quale, trascorsi i termini di inizio e compimento dell’espropriazione e dei lavori, stabiliti nella dichiarazione della P.U., quest’ultima diventa inefficace e non può procedersi all’espropriazione se non in forza di una nuova dichiarazione) deve essere interpretato nel senso che solo la scadenza del termine finale di compimento dell’opera determina la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e, di conseguenza, la perdita del potere espropriativo, mentre agli altri termini (riguardanti l’inizio e al fine del procedimento espropriativo l’inizio dei lavori) deve riconoscersi natura ordinatoria e acceleratoria, sicchè la loro inosservanza non dà luogo a carenza di potere, deducibile innanzi al giudice ordinario (Cass. S.U. 1962/1995; cfr. Cass. 5990/1999).

Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 10375/2007) ha ribadito poi che “in tema di espropriazione per pubblica utilità, i termini entro i quali devono cominciare e compiersi le espropriazioni ed i lavori, stabiliti dalla L. n. 2359 del 1865, art. 13, comma 1, non hanno eguale rilievo rispetto all’efficacia temporale della dichiarazione di pubblica utilità, in quanto l’inosservanza del termine per il compimento della procedura espropriativa non ne determina la decadenza, qualora non sia ancora perento il termine finale per il compimento dell’opera” (conf. Cass. 3177/2010).

In realtà, nella specie, come si evince, anche dalla decisione impugnata, il termine per il completamento dei lavori era fissato inizialmente in quattro anni dalla data di occupazione, nel maggio 1981, ma il termine di occupazione dell’area risultava essere stato prorogato di due anni, con conseguente scadenza al maggio 1987, cosicchè la Corte d’appello ha rilevato che il decreto di esproprio, emanato nel marzo 1987, era legittimo, in quanto intervenuto comunque entro il termine di occupazione legittima dell’area, a prescindere dal rispetto del termine fissato per l’ultimazione dei avori (peraltro, le opere erano state completate sin dal 1983).

Nel ricorso, si denuncia anche l’inapplicabilità della proroga legare dell’occupazione, disposta dal D.L. n. 901 del 1984, art. 5 bis, conv. in L. n. 42 dei 1985 (“5-bis. Per le occupazioni d’urgenza in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la scadenza dei termini di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, comma 2, è prorogata di un anno”), stante l’intervenuta realizzazione dell’opera.

Questa Corte, invece, ha chiarito che la proroga legale del termine dell’occupazione d’urgenza opera nonostante si sia già verificata l’irreversibile trasformazione dell’area occupata, sicchè, fino a quando tale termine originario o prorogato non sia spirato, il proprietario null’altro può pretendere se non la corresponsione della relativa indennità ed è sempre possibile l’emanazione del decreto di espropriazione di un’area che continua ad appartenere all’originario proprietario (Cass. 19601/2016; Cass. n. 556 del 2010; Cass. 4201/2009; Cass. n. 2962 del 2003).

E sempre questa Corte ha chiarito (Cass. 11481/2016; cfr. Cass. S.U. 2630/2006) che “le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza stabilite da varie disposizioni di legge (nella specie, la L. n. 158 del 1991, art. 22) e di cui alla L. n. 166 del 2002, art. 4, si applicano, con effetto retroattivo, anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle Amministrazioni precedenti, deponendo in tal senso sia la lettera della norma – che, con l’avverbio “anche” (“…riferite anche…”), manifesta l’intento del legislatore ad estendere gli effetti delle proroghe precedentemente disposte oltre i confini segnati ai termini di scadenza delle sole occupazioni d’urgenza – sia la “ratio legis”, essendo diversamente inconcepibile il legittimo perdurare di un regime occupatorio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per l’emissione del decreto definitivo di esproprio”.

Inoltre, con riguardo alla normativa speciale operante nell’ambito di un piano edilizio particolareggiato, secondo la previsione della L. 18 aprile 1962, n. 167, art. 9, sulla acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare (e nella specie si verte in tema di acquisizione di area per la realizzazione di alloggi popolari), questa Corte ha da tempo chiarito che la prescrizione della L. n. 2359 del 1865, art. 13, non sia neppure da applicare, stante il carattere di specialità della normativa del settore, con la prefissione di un unico termine per l’intero iter espropriativo, coincidente con il periodo decennale di efficacia del piano medesimo, salve successive proroghe di legge, con la conseguenza che i decreti ablatori, di occupazione temporanea e di espropriazione, semprechè emanati entro detto termine non sono emessi in situazione di carenza di potere e sono legittimi (Cass. S.U. n. 4264 1985; cfr. anche Cass. 4027/2009; Cass. 758/2018).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate, in favore del Comune controricorrente, in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, ed, in favore dell’A.T.E.R.P. controricorrente, in complessivi Euro 3.700,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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