LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi F. – Presidente –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –
Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Monserrato n. 64 presso lo studio dell’avv. Tommaso Arachi, rappresentato e difeso da se stesso;
– ricorrente –
contro
D’.MA., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare n. 71, presso lo studio dell’avv. Vito Nanna, rappresentata e difesa dall’avv. LIBERTI Luigi, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 112/05 della Corte d’Appello di Bari in data 8 febbraio 2005, pubblicata il 15 febbraio 2005.
Udita la relazione del Consigliere Dott. Giancarlo Urban;
udito il P.M., in persona del Cons. Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato l’8 marzo 2000 avanti al Giudice dell’esecuzione di Trani, l’avv. D.F. proponeva opposizione avverso l’atto di precetto notificato in data 15 febbraio 2000 su istanza della moglie separata D’.Ma. nonchè avverso l’atto di pignoramento presso terzi, Banco Ambrosiano e Monte dei Paschi di Siena, notificato il 3 marzo 2000 in forza del medesimo precetto e di altro precedente, notificato il 6 ottobre 1999 per l’importo di L. 16.073.065.
La D’. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’opposizione.
Il Giudice dell’esecuzione, con sentenza depositata il 30 novembre 2000, così statuiva: 1) accoglie l’opposizione e dichiara nullo l’atto di pignoramento presso terzi notificato il 3 marzo 2000, effettuato con titolo divenuto inefficace, perchè estinto; 2) libera i terzi pignorati, Banco Ambrosiano Veneto, filiale di *****, e Monte dei Paschi di Siena, filiale di *****, dall’obbligo di non disporre delle somme pignorate rimettendole a disposizione dell’opponente; 3) condanna l’opposta al pagamento delle spese processuali.
La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 29 giugno – 19 luglio 2001, pronunciando sull’impugnazione della D’., dichiarava la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 102 c.p.c., e rimetteva la causa al Tribunale di Trani ai sensi dell’art. 354 c.p.c., compensando le spese del giudizio.
Osservava la Corte territoriale, per quanto rileva in questa sede:
che l’appello era ammissibile, dovendo l’opposizione essere qualificata come opposizione all’esecuzione e non agli atti esecutivi;
che nel giudizio di primo grado era stati pretermessi i terzi pignorati, che dovevano considerarsi litisconsorzi necessari.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello D’.Ma.
proponeva ricorso per Cassazione, che con sentenza dell’8 agosto 2003 accoglieva il primo motivo del ricorso principale, relativo alla necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del terzi pignorati, quali litisconsorti necessari; cassava in relazione la sentenza impugnata e rimetteva gli atti alla Corte d’Appello di Bari.
La Corte d’ Appello di Bari, in sede di rinvio, con sentenza del 15 febbraio 2005, accoglieva l’appello di D’.Ma. e in riforma della sentenza del Tribunale di Trani, rigettava l’opposizione proposta da D.F. avverso l’atto di precetto notificato in data 15 febbraio 2000; condannava lo stesso D. alle spese.
Propone ricorso per cassazione il D. con unico motivo.
Resiste con controricorso D’.Ma..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c.: il ricorso per cassazione proposto dal D. è stato notificato alla D’. in data 26 aprile 2005 ed è stato depositato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione in data 26 maggio 2005 e quindi oltre i termini di legge.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
La controricorrente ha proposto domanda di responsabilità aggravata ai danni del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c.: la domanda può essere proposta anche in cassazione con controricorso (cfr. Cass. 13 giugno 1985 n. 3552; Cass. 8 giugno 2007 n. 13395; Cass. 15 febbraio 2007 n. 3388). Nel caso di specie essa risulta fondata e deve pertanto essere accolta, in quanto risulta documentato un atteggiamento ingiustificatamente persecutorio del ricorrente, con uso strumentale di ogni mezzo previsto dalla normativa al solo scopo di danneggiare la controparte, dalla quale è separato consensualmente. La stessa vicenda processuale per cui è causa è indicativa di una volontà’ di voler dilazionare il più possibile il soddisfacimento delle legittime aspettative del coniuge separato, accompagnato da una negligente conduzione degli adempimenti processuali certamente non estranei all’avv. D., che esercita la professione di avvocato.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte statuito che l’accoglimento della domanda ex art. 96 c.p.c., comma 1, presuppone l’accertamento sia dell’elemento soggettivo dell’illecito (malafede o colpa grave) sia l’elemento oggettivo (entità del danno sofferto) e per quanto attiene al primo aspetto ha più volte statuito che esso, traducendosi nel carattere temerario della lite, va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza (cfr. in tali sensi tra le tante: Cass. 21 luglio 2000 n. 9579, ed in epoca più recente Cass. 1 ottobre 2003 n. 14583; Cass. 3 agosto 2001 n. 10731). Corollario di tale principio è che deve ritenersi sussistente l’elemento soggettivo per la configurabilità della responsabilità aggravata in tutti quei casi in cui il diritto di difesa si sia svolto come nella fattispecie in esame al di la del suo schema tipico; ed invero, il relativo esercizio allorquando si concretizzi in una utilizzazione di uno strumento impugnatorio, privo di una qualsiasi valida copertura sia in dottrina che in giurisprudenza, attesta l’assenza di quella diligenza che si deve accompagnare ad ogni atto difensivo e che deve consentire di avvertire l’ingiustizia della propria condotta processuale per la qualifica di colpa grave della condotta di chi si ponga in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale già formatosi in materia; Cass. 17 febbraio 1993 n. 1953; Cass. 18 febbraio 18 febbraio 1994 n. 1592).
Con riferimento poi alla sussistenza del danno ex art. 96 c.p.c., ed alla necessità della sua prova si è affermato che è onere della parte che richiede il risarcimento dedurre e dimostrare la concreta ed effettiva esistenza di un danno che sia conseguenza del comportamento processuale della controparte, sicchè il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza, desumibili anche da nozioni di comune esperienza e dal pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stato costretta a contrastare una iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario (così: Cass. 4 novembre 2005 n. 21393); e si è ribadito più volte che la liquidazione del danno da responsabilità aggravata postula che la parte istante abbia quanto meno assolto l’onere di allegare gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, necessari ad identificarne concretamente l’esistenza ed idonei a consentire al giudice la relativa liquidazione, anche se equitativa (cfr. ex plurimis: Cass. 12 dicembre 2005 n. 27383, nonchè Cass. 19 luglio 2004 n. 13355, secondo cui il giudice può desumere detto danno da nozioni di comune esperienza e fare riferimento anche al pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare una iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario).
I principi sopra enunciati legittimano l’assunto che la responsabilità aggravata possa essere fatta valere a fronte di tutte quelle condotte processuali che, improntate a mere finalità dilatorie, comportino pregiudizievoli ricadute sui tempi del processo determinando nel contempo come è stato nel presente giudizio lamentato dalla controricorrente sulla base degli elementi agli atti un danno non soltanto patrimoniale, da liquidarsi in forma equitativa dal giudice, secondo i parametri dell’illecito extracontrattuale (in termini: Cass. Sez. Un., 26 gennaio 2004 nn. 1338, 1339 e 1340; Cass. 3 agosto 2001 n. 10731; Cass. Sez. Un., 20 aprile 2005, n. 8202 e n. 8203; Cass. Sez. Un., 7 marzo 2005 n. 4811; Cass. Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353; Cass. Sez. Un., 26 gennaio 2004 n. 1138 cit.; Cass. Sez. Un., 23 gennaio 2002 n. 761).
Tenuto conto della natura della controversia, del suo valore economico nonchè del ritardo che a seguito del presente ricorso è destinata a subire la definizione del merito della controversia, si liquida in via equitativa il danno nella somma globale di Euro 5.000,00 (cinquemila).
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Condanna inoltre il ricorrente al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., che liquida in favore della controricorrente in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila).
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010