LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi F. – Presidente –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –
Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
G.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 82 presso lo studio dell’avv. IANNOTTA Gregorio e Antonella Iannotta, che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
LLOYD ADRIATICO s.p.a., in persona del legale rappresentante, domiciliato in Roma, Via Vinicio Cortese n. 176, presso lo studio dell’avv. Giovanni B. Fonnesu;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2357/04 della Corte d’Appello di Roma in data 8 aprile 2004, pubblicata il 19 maggio 2004.
Udita la relazione del Consigliere Dott. Giancarlo Urban;
udito l’avv. Gregorio Iannotta;
udito il P.M., in persona del Cons. Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione in data 16 maggio 1992, G.A. esponeva di aver convenuto in giudizio la Lloyd Adriatico s.p.a. per ottenere il pagamento di un indennizzo relativo a un sinistro subito il *****; con sentenza del 16 dicembre 1988, il Tribunale di Roma aveva dichiarato l’improcedibilità della domanda in relazione all’art. 13 delle condizioni generali di assicurazione, ritenuta la necessità di adire la procedura arbitrale. Non essendosi il Lloyd Adriatico curato di nominare il proprio arbitro, egli aveva richiesto la nomina al Presidente del Tribunale di Roma; il lodo arbitrale aveva dichiarato il Lloyd Adriatico tenuto a corrispondere al prof. G. la somma di L. 21.300.000 oltre rivalutazione ed interessi e solo a seguito di decreto ingiuntivo egli aveva conseguito dall’assicuratore il pagamento della complessiva somma di L. 50.312.762.
Con ordinanza 9 luglio 1991 il collegio arbitrale aveva liquidato a titolo di proprio compenso la somma complessiva di L. 30.000.000, oltre L. 1.000.000 per spese, di cui L. 11.250.000 per il Presidente, L. 7.500.000 per l’arbitro avv. Iannotta, L. 7.500.000 per l’arbitro Dr. Giarrizzo e L. 3.750.000 per il segretario Dr. Francesco Chianese. Precisava l’istante che mentre i due arbitri avv. Iannotta e Dr. Giarrizzo erano stati pagati rispettivamente da esso istante e dal Lloyd Adriatico, quest’ultimo non aveva ritenuto di corrispondere le spese liquidate in favore del terzo arbitro e del segretario, invocando quanto stabilito dall’art. 13 delle condizioni generali di assicurazione secondo cui ciascuna delle parti si sarebbe accollata le spese del proprio perito e metà di quelle del terzo. Deduceva la nullità di tale clausola per violazione del diritto di difesa e del principio di soccombenza, non potendosi costringere la parte adempiente a corrispondere somme per ottenere il soddisfacimento del proprio credito, addossando alla parte adempiente il costo dell’attività del mandatario.
Costituendosi in giudizio, la convenuta aveva chiesto il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Roma con sentenza del 19 gennaio 1999 rigettava la domanda dell’attore e compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 19 maggio 2004, rigettava l’appello proposto da G.A., che condannava alle spese del giudizio.
Propone ricorso per cassazione G.A. con tre motivi.
L’intimata Lloyd Adriatico s.p.a. non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1229 c.c., nonchè dei principi che regolano la nullità delle clausole limitative e/o la esclusione della responsabilità del debitore; dell’art. 1419 c.c., nonchè dei principi che regolano la nullità parziale; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in quanto la sentenza impugnata aveva disatteso le deduzioni formulate dall’appellante in relazione alla nullità della clausola n. 13 della polizza assicurativa che aveva previsto che ciascuna delle parti provvedesse al pagamento del proprio arbitro e per metà dell’onorario del terzo arbitro, in quanto in tal modo si era prevista una evidente limitazione della responsabilità della parte soccombente.
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., nonchè dei principi che regolano il diritto di difesa; dell’art. 1419 c.c., nonchè dei principi che regolano la nullità parziale; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in quanto la sentenza impugnata aveva disatteso le deduzioni formulate dall’appellante in relazione alla previsione di una clausola che ripartiva le spese per il collegio arbitrale senza tener conto dell’esito del giudizio, in evidente violazione dei diritti della difesa.
I primi due motivi vanno trattati congiuntamente, in quanto connessi tra loro.
I rilievi formulati dal ricorrente risultano in gran parte fondati.
La clausola compromissoria prevista all’art. 13 delle condizioni generali del contratto di assicurazione prevede un meccanismo per la corresponsione dell’onorario degli arbitri e per le spese, che prescinde dall’esito della controversia, nel senso che ciascuna parte è tenuta al pagamento dell’onorario dell’arbitro dalla stessa nominato e di metà di quello relativo al terzo nonchè di metà delle spese, sia che risulti vittoriosa, sia che sia soccombente.
Come è noto, l’entità degli onorari degli arbitri è legata al valore della causa, ma non in misura proporzionale poichè tanto minore è il valore della causa, tanto maggiore è l’incidenza di onorari e spese sul valore stesso. Ne consegue che nelle controversie di modesto valore, l’incidenza degli onorari e delle spese dell’arbitrato risulterà proporzionalmente più gravosa rispetto a quelle di valore più elevato: ne è la riprova il caso in esame, nel quale a fronte di una sorte di L. 21.300.000 (esclusi rivalutazione e interessi), furono liquidati compensi agli arbitri per L. 30 milioni, da ripartire tra le parti in pari misura. La tesi sostenuta dalla parte ricorrente è che il meccanismo sopra indicato finisce per favorire la parte soccombente – nella specie la compagnia assicuratrice -, nel senso che essa ha tutto l’interesse a contestare in ogni modo le pretese dell’assicurato perchè il danneggiato ben difficilmente si indurrà a fare ricorso all’arbitrato, dato che in ogni caso, e quindi anche quando risulti vittorioso, sarà obbligato a corrispondere rilevanti somme per gli onorari degli arbitri. Non risulta quindi pertinente la motivazione espressa dalla Corte d’Appello, quando, nell’escludere qualsiasi violazione dell’art. 1229 c.c., rilevò che nessuna voce di danno era stata esclusa dalla decisione assunta dagli arbitri, nè che alcuna limitazione del diritto di difesa fu riscontrata nel corso della procedura arbitrale, tant’ è che la stessa parte attrice – il G. – risultò vincitore.
In realtà, come si è rilevato in precedenza, il tenore della clausola compromissoria di cui all’art. 13 delle condizioni generali di contratto, risulta di fatto limitativa della responsabilità dell’assicuratore giacchè è premiato il comportamento dilatorio e ostruzionistico dello stesso, che ha tutto l’interesse a non aderire prontamente alla liquidazione del danno, forte del fatto che il danneggiato viene in ogni caso pesantemente penalizzato dal dover adire la procedura arbitrale.
L’art. 1882 c.c., definisce il contratto di assicurazione contro i danni il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno patrimoniale ad esso prodotto da un sinistro: la funzione tipica e concreta che il contratto è destinato a realizzare (e quindi la causa dello stesso) è la rivalsa a favore dell’assicurato dei danni procurati al suo patrimonio da un sinistro.
Quando la funzione tipica del contratto, nella specie la funzione indennitaria, venga meno, il contratto è nullo ai sensi degli artt. 1418 e 1325 c.c., per mancanza del requisito essenziale della causa:
avuto riguardo alla situazione in esame, quindi, si dovrà valutare entro quali limiti la clausola compromissoria, così come strutturata nel contratto stipulato tra la parti, sia ostativa o limitativa del diritto dell’assicurato ad essere sollevato dalle conseguenze pregiudizievoli del sinistro, tenuto anche conto del comportamento dell’assicuratore, che, secondo la tesi del ricorrente, si sarebbe avvalso di ogni strumento consentito dal contratto, per ostacolare il riconoscimento delle pretese dell’assicurato.
La sentenza impugnata merita quindi di essere cassata, mentre il giudice del rinvio dovrà procedere ad una nuovo esame della vicenda in conformità ai principi di diritto sopra enunciati.
Resta quindi assorbito il terzo motivo di ricorso con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1469 bis e 1469 quinquies c.c., nonchè dei principi che regolano l’efficacia e/o la validità di clausole contrattuali; dell’art. 1341 c.c., nonchè dei principi che regolano la disciplina delle clausole vessatorie; dell’art. 2909 c.c., e dei principi e norme che regolano il giudicato interno; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in quanto la sentenza impugnata aveva disatteso le deduzioni formulate dall’appellante in relazione alla natura vessatoria della clausola sopra indicata, in quanto derogativa della competenza dell’autorità giudiziaria e limitativa delle azioni riservate al consumatore nei confronti dell’altra parte.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio in relazione ai motivi accolti; le spese del presente giudizio di cassazione saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010