Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.101 del 08/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SINTED S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via Muzio Clementi n. 58, presso lo studio dell’avv. Gaia Beccacci, rappresentata e difesa dall’avv. Riccardo Leonardi;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, sez. 7^, n. 57, depositata il 20 giugno 2007;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore Dott. CAPPABIANCA Aurelio;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 3.

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che la società contribuente propose ricorso avverso avviso di rettifica e liquidazione, con cui l’Ufficio le aveva intimato il pagamento di maggior imposta di registro in relazione alla compravendita di terreno edificabile stipulato in data *****;

che l’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla commissione regionale;

che la decisione di appello risulta così testualmente motivata:

“Anche questo Collegio non ritiene giusta la rettifica operata dall’Ufficio perchè non è accettabile in quanto non sufficientemente provata. L’Ufficio si limita genericamente per le motivazioni, alla stima UTE, senza specificare sui valori contenuti in tale stima che tra l’altro è riferita a transazioni commerciali che non hanno ad oggetto beni omogenei a quello de quo. La relazione dell’UTE fa riferimento ad una stima anteriore di molto a quanto previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3. Il contribuente ha inoltre evidenziato che le peculiarità del terreno erano tali da rendere difficile e costosa la realizzazione di costruzioni, poichè era necessaria una palificazione di sostegno e contenimento del terreno, e di conseguenza deve ritenersi esatta la congruità del valore dichiarato nella compravendita. E’ inoltre censurabile che in una operazione di stima così importante per i valori in discussione e per le somme che ne conseguono in termini di maggiori imposte, sanzioni ed interessi, la valutazione sia stata eseguita “a tavolino” senza che sia stato effettuato alcun sopralluogo. Una verifica sul posto dell’Ufficio UTE avrebbe consentito di prendere atto o contestare quanto asserito dal contribuente. Da ciò si conclude che il prezzo dichiarato dal contribuente è conforme al valore commerciale del terreno e, gli equilibrismi ai quali l’Ufficio è ricorso per convalidare il suo avviso di rettifica e liquidazione, non possono nascondere la realtà dei fatti”;

che, avverso tale decisione, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi, illustrati anche con memoria;

che la società contribuente ha resistito con controricorso, deducendo, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 327 c.p.c. e depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 3;

rilevato:

– che il ricorso – notificato il 20.9.2008 in relazione a sentenza depositata il 20.6.2007 – risulta tempestivo nella prospettiva di cui all’art. 327 c.p.c., in quanto promosso nel prescritto termine di un anno e quarantasei giorni (del periodo di sospensione dei termini processuali);

osservato:

– che, tanto premesso, deve rilevarsi che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “motivazione apparente su punto decisivo della controversia, (art. 360 c.p.c., n. 5)”;

considerato:

– che, in disparte il rilievo che la riportata motivazione evidenzia come, nella specie, non appaia nemmeno astrattamente configurabile una radicale insussistenza della motivazione (anche sotto la specie della motivazione apparente), il motivo si rivela inammissibile, poichè introduce un sindacato in fatto non consentito in sede di legittimità;

che invero – a fronte del convincimento dei giudici del gravame dell’inadeguatezza della valutazione del bene prospettata nell’atto impugnato, coerentemente tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili (riferimento, nella relazione ute ad una stima molto risalente; peculiarità del fondo non suscettibile di edificazione senza preventive costose opere di contenimento), l’Agenzia, pur apparentemente prospettando una carenza di motivazione, rimette, in realtà in discussione, contrapponendovene uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità in quanto espresso con motivazione ancorata alle risultanze delle acquisizioni documentali ed in sè coerente;

– che, infatti, nell’ambito di tale sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione: cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03);

che il motivo è, d’altro canto, anche in contrasto con le prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., giacchè privo del momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, prescritto dalla disposizione, con riguardo ai motivi prospettanti vizio di motivazione (v. Cass. 4719/08, 20603/07);

che, in proposito, deve, invero, considerarsi che questa Corte ha reiteratamente puntualizzato che, per i motivi basati su vizi di motivazione, la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., sussiste, ogni volta che il fatto controverso coinvolto dal motivo, in relazione al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, e le ragioni, per cui la motivazione medesima sia reputata inidonea a sorreggere la decisione, risultano suscettibili d’identificazione solo in esito alla completa lettura del motivo e non in base alla specifica sintesi offertane dal ricorrente, al fine dell’osservanza del requisito sancito dalla norma (v. Cass. 4311/08, 4309/08, 20603/07, 16002/07);

osservato:

– che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 35, comma 3 e dell’art. 277 c.p.c.” ed ha formulato il seguente quesito: “Dica la Corte se in presenza di una rettifica, del valore iniziale e finale di un terreno edificatile, ai fini dell’imposta di registro ed invim, la ritenuta incongruità dei valori accertati dall’ufficio comporti o meno l’obbligo per le Commissioni tributarie, quali giudice del merito, di rideterminare l’effettivo valore ritenuto congruo e parallelamente l’imposta dovuta, anzichè procedere all’annullamento integrale del rilievo in assenza di riscontro di vizi formali nell’atto di rettifica stesso”;

considerato:

che il motivo e infondato, giacchè l’analisi della decisione impugnata rivela che i giudici di appello non si sono limitati ad annullare l’accertamento impugnato, ma hanno, altresì, affermato la correttezza del valore dichiarato dalla società contribuente;

osservato:

– che, con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c”, sotto il profilo dell’ultrapetizione, e formulato il seguente quesito: “se, nel giudizio tributario di appello in materia di rettifica del valore iniziale e finale di un terreno edificabile oggetto di compravendita, il giudice adito in relazione al solo motivo di difetto motivazionale dell’avviso di rettifica stesso, violi la norma censurata decidendo ed accertando d’ufficio che la rettifica è non sufficientemente provata tralasciando di decidere sulla carenza o meno della motivazione dell’atto impugnato”;

considerato:

– che la censura è infondata;

che l’esame della decisione impugnata rivela, invero, che la società contribuente ha, sin dal ricorso originario, dedotto in controversia la questione attinente al merito della valutazione operata e che l’Ufficio ha devoluto in appello anche tale questione (“in sede di appello l’Ufficio contesta la decisione nella parte in cui mette in discussione la valutazione operata, chiede la riforma della sentenza impugnata e la conferma, della, legittimità del suo operato”), mentre d’altro canto, con inevitabili ricadute sul piano del difetto di autosufficienza del ricorso, l’Agenzia non ha descritto, a supporto della censura, il ricorso introduttivo ed il proprio atto di appello nè li ha allegati, secondo i tempi e le modalità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. Cass. 2855/09, 28547/08);

ritenuto:

che il ricorso dell’Agenzia va, pertanto, respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

che, per la soccombenza i contribuenti vanno condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 1.500,00 (di cui Euro 1.300,00, per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte: respinge il ricorso; condanna i contribuenti al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 1.500,00 (di cui Euro 1.300,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010

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