LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27679-2004 proposto da:
IMMOBILIARE LIGURE CINODROMO DI DENTONE SIMONA & C SAS C.F.
***** in persona del socio Accomandatario legale rappresentante pro tempore D.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PLINIO 44, presso lo studio dell’avvocato LANDOLFI ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARBAGELATA BRUNO;
– ricorrente –
contro
M.F. C.F. *****, V.F.
C.F. ***** nella loro qualità di partecipanti al CONDOMINIO *****, elettivamente domiciliati in ROMA, V. PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato IASIELLO PAOLO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 876/2003 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 27/10/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito l’Avvocato LANDOLFI ROBERTO difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato ROMANELLI GUIDO difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI GIAMPAOLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28.3.2000, il Condominio di via ***** conveniva in giudizio avanti al tribunale di Chiavari Sa soc. Immobiliare Ligure Cinodromo di Dentone Simona & C. sas, deducendo: che il caseggiato condominiale era stato edificato nel 1966 dal geom. P.F. sul terreno da lui acquistato, con atto 14.05.1966, dalla sas Nuova Silicea di Luigi Livellara & C;
che nell’atto d’acquisto era stata costituito in favore dei terreno venduto una servitù di transito, anche con veicoli, con divieto di sosta, su tutta la striscia di terreno destinata a restare libera tra l’erigendo caseggiato condominale e il filo a ponente del muro di cinta, da costruirsi alla distanza di m. 3,45 dalla facciata a ponente dell’adiacente *****; che successivamente, tale striscia di terreno gravata da servitù, era divenuta di proprietà dell’ Immobiliare Ligure Cinodromo di Dentone Simona & C. sas, di cui erano socie M.N. e le figlie D.C. e S.; che queste ultime, negli ultimi anni, erano solite posteggiate le loro automobili sulla striscia di terreno in questione, ignorando le ripetute diffide dell’amministratore del condominio e di alcuni condomini.
Chiedeva pertanto il Condominio che il tribunale adito accertasse il divieto di sosta carrabile su tutta la striscia di terreno che da accesso ai box, dichiarando altresì “l’inesistenza del diritto vantato dalle medesime convenute di poter posteggiare i propri beni mobili sulla superficie della rampa di accesso ai box, con ordine di astensione da ogni turbativa e molestia”. La società Immobiliare, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda attrice, deducendo che il divieto di sosta sull’area in questione era stato previsto ma solo per i condomini e non anche per il proprietario del terreno e che in ogni caso, la sosta di 2 o tre automobili in punti precisi (eventualmente da concordarsi con lo stesso Condominio) non avrebbe in alcun modo ostacolato l’esercizio della servitù carrabile.
L’adito Tribunale di Chiavari con sentenza n. 469/2001 accoglieva la domanda attrice, dichiarando che la società convenuta non poteva parcheggiare o far parcheggiare a terzi automobili nel tratto interessato dalla servitù di passaggio, con ordine alla medesima società di astenersi da tale comportamento. Il tribunale a tal fine prendeva in esame sia le ridotte dimensioni dell’area interessata dalla servitù per trame il convincimento che il parcheggio di veicoli ne impedivano o rendevano difficoltoso l’esercizio; sia la clausola contrattuale che prescriveva che la manutenzione della striscia su cui gravava tale servitù fosse a carico dei condomini.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la soc. immobiliare Ligure Cinodromo di Dentone Simona & C. sas chiedendo la riforma della stessa; resisteva il Condominio instando per la conferma.
L’adita Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 876/03 depos. in data 27.10.2003, dichiarava inammissibile l’appello ex art. 345 c.p.c. per genericità dei motivi. Secondo la Corte territoriale, l’appellante aveva contestato solo un’argomentazione de tribunale (sulla ritenuta ristrettezza della striscia di terreno) ma non anche una seconda ratio decidendi (sull’interpretazione dell’ultima parte della clausola contrattuale con la quale era stata istituita la servitù), autonoma e di per sè idonea a sorreggere la decisione impugnata.
Avverso la suddetta pronuncia la società propone ricorso per cassazione sulla base di 2 mezzi; il condominio intimato non ha svolto difese; resistono con controricorso – illustrato da successiva memoria – i sig.ri V.F. e M.F., nella loro qualità di partecipanti a Condominio medesimo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare si ritiene infondata l’eccezione relativa alla carenza di legittimazione processuale dei controricorrenti V.F. e M.F., che hanno proposto controricorso in luogo del condominio, il cui amministratore non ha inteso svolgere difese. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte”, configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale. Ne consegue che ciascun condomino è legittimato ad impugnare personalmente, anche per cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale ed eventualmente a resistere all’impugnazione proposta da altri, ove (come nella specie) non vi provveda l’amministratore (Cass. n. 11882 del 07/08/2002; Cass. n. 18226 del 10.09.2004). Passando all’esame del 1 motivo del ricorso, con esso l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’ art. 342 c.p.c.; nonchè l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo ella controversia; deduce che i motivi dell’impugnazione erano stati correttamente delineati in modo specifico nell’atto d’appello, e non in modo generico, come affermato dal giudice a quo. A tal fine riporta le conclusioni assunte dalla società nell’atto introduttivo del giudizio d’impugnazione (pag. 8-9) che trovano “preciso supporto nelle doglianze formulate nel corpo, nella parte volitiva ed argomentativa dello stesso atto d’appello”. Nell’atto d’appello così testualmente sì concludeva: “…in parziale riforma della sentenza impugnata n. 469/01 del Giudice Unico…… dichiarare che la società ha diritto di parcheggiare autovetture sull’area cortilizia di sua proprietà e per cui è causa in quanto il divieto di sosta citato negli atti pubblici, è stato imposto al costruttore P. (ed oggi al Condominio di via *****….), e conseguentemente revocare e/o annullare il divieto imposto alla società ….di non parcheggiare o far parcheggiare a terzi autoveicoli su tale aera …”.
La doglianza non è fondata.
Giova a tal fine ricordare che la clausola costitutiva della servitù contenuta nell’atto di compravendita del 15.4.96, consta di due parti distinte ed è del seguente testuale tenore:
“Nella vendita (del terreno ove poi sorgerà il Condominio) sono compresi i diritti: a) …….b) di transito (e perciò di divieto di sosta) anche con veicoli su tutta la striscia di terreno che rimarrà libera tra il nuovo caseggiato e il filo a ponente del muro di cinta che verrà costruito a distanza di m. 3,45 dalla facciata a ponente della Villa ***** sovra ricordata: la manutenzione di detta striscia di terreno gravata da servitù che dovrà sempre essere tenuta sgombra da cose e persone, sarà a carico dei condomini della nuova costruzione”. Ciò posto il giudice di prima istanza aveva affermato il divieto di parcheggio su terreno gravato da servitù di passaggio in favore del Condominio, sulla base di due distinte rationes decidendi: a) la prima faceva riferimento alla ridotta larghezza della striscia di terreno, tale da non consentire il parcheggio di autovetture a meno di non rendere più difficoltoso l’esercizio della servitù di passaggio; la seconda ratio faceva espresso richiamo alla seconda parte della clausola contrattuale (e precisamente all’inciso “….la manutenzione di detta striscia di terreno gravata da servitù che dovrà sempre essere tenuta sgombra da cose e persone, sarà a carico dei condomini della nuova costruzione”) “per interpretarla nel senso che essa imponeva un obbligo per tutte le parti contraenti (ivi compresa la proprietaria del fondo servente) di tenere la striscia di terreno destinata all’esercizio della servitù sgombra da persone e cose e quindi libera anche dalie autovetture lasciate in sosta dalla società. Il Tribunale ha così argomentato: “…Soprattutto nel contratto, poche righe dopo c’è la clausola: la manutenzione di detta striscia di terreno gravata da servitù che dovrà sempre essere tenuta sgombra da cose e persone, sarà a carico dei condomini della nuova costruzione che chiaramente, come formulata, pone un obbligo per tutte le parti a lasciare libero il transito di terreno destinato ad esercitare la servitù”.
Ciò posto non v’è dubbio che l’atto d’appello contiene censure specifiche riguardanti solo la prima delle due argomentazioni del tribunale, riferita alla larghezza della strada, ma nulla dice con riguardo a questa seconda specifica ratio decidendi, basata esclusivamente sull’interpretazione della clausola contrattuale de qua. Ne corpo dell’atto d’appello vi, è invero, qualche richiamo a tale clausola pattizia, ma solo alla prima parte della stessa, senza peraltro lo svolgimento di alcun argomento volto a contrastare l’interpretazione accolta dal tribunale imperniata sulla seconda parte della clausola, ritenuta cogente per tutti i contraenti.
E’ bene ricordare – in conformità con la costante giurisprudenza di questa S.C. – che “nel giudizio di appello – che non è un novum iudicium – la cognizione dei giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, dirette ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, in quanto le statuizioni di una sentenza non si possono separare dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, a qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che Se ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata. (Cass. 9244 del 18/04/2007; Cass. n. 22906 del 14/11/2005). Ancora rileva la S.C. che ai fini della validità dell’appello non è sufficiente che l’atto di gravame consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con Sa motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro lato, esso esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico- giuridico delle prime (Cass. n. 4068 del 19/02/2009; Cass. n. 10314 del 28.05.2004).
Deve peraltro rilevarsi che l’unico riferimento dell’appellante a tale specifica interpretazione da parte del tribunale della 2 parte della clausola in questione, è rinvenibile soltanto nella comparsa conclusionale, ciò che non sana il vizio di non specificità dei motivi d’impugnazione in quanto si tratta di difese svolte, non già in atto d’appello, ma in atti e difese ad esso successive. Questa Corte ha più volte precisato, al riguardo, che “in materia di impugnazioni civili, il requisito della specificità dei motivi dell’appello postula che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico – giuridico delle prime, in quanto le statuizioni di una sentenza non sono scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono. E’ pertanto necessario che l’atto di appello contenga tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, non essendo al riguardo ammissibile che l’esposizione delle argomentazioni venga rinviata a successivi momenti o atti del giudizio, quale la (mera) produzione di documenti effettuata senza nemmeno l’indicazione della valenza a ciascuno di essi attribuita, ovvero addirittura il deposito della comparsa conclusionale” (Cass. n. 6396 del 01/04/2004; Cass. n. 4019 del 23.02.2006; Cass. n. 6630 del 24.3.06; Cass. n. 11673 del 12.05.08).
La censura in esame è dunque infondata; ciò comporta il rigetto del ricorso, rimanendo assorbiti i restanti mezzi di gravame.
Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.200,00: di cui Euro 2000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010