LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28439-2004 proposto da:
EDILE IMM SMERALDA SRL *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato BERLIRI ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PROCACCINI MARIO;
– ricorrente –
contro
COOP ARMONIA SRL in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore Sig. C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 29, presso lo studio dell’avvocato DI GRAVIO DARIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARSIGLIA VALERIA, BOSCAINO GUIDO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3602/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/12/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;
udito l’Avvocato Domenico TALARICO, con delega depositata in udienza dell’Avvocato DI GRAVIO, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA AURELIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società Edile Immobiliare Smeralda s.r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli la Cooperativa Armonia s.r.l., esponendo che con la predetta aveva concluso, in virtù del rogito per notar Fiordaliso del *****, contratto di cessione di immobili siti nel lotto *****;
che tale cessione non aveva avuto seguito perchè la Cooperativa, titolare del diritto di superficie in virtù della convenzione in data 16-7-1979 intercorsa con il Comune di Napoli per la costruzione di alloggi ai sensi della L. n. 167 del 1968, non aveva dato corso all’attuazione di quanto stabilito nel rogito per notar Fiordaliso del *****, in base al quale la Cooperativa si sarebbe dovuta adoperare presso il Comune di Napoli per la modifica dell’art. 10 della richiamata convenzione del 16-7-1979 intercorsa fra i predetti laddove vietava la cessione a terzi del diritto di superficie.
Pertanto, l’istante chiedeva che la predetta Cooperativa venisse dichiarata inadempiente alle obbligazioni assunte e condannata al risarcimento dei danni.
La Cooperativa Armonia s.r.l. contestava l’assunto, deducendo di essersi attivata presso il Comune di Napoli per rimuovere il divieto contenuto nella convenzione del 16/7/79 e di non poter essere ritenuta responsabile per il mancato conseguimento di tale obiettivo;
spiegava domanda riconvenzionale per ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto di cessione in quanto lo stesso aveva perso ogni efficacia.
Al presente giudizio veniva riunito quello instaurato dalla società Edile Immobiliare Smeralda s.r.l. che, deducendo la sopravvenuta abolizione del divieto di cessione intervenuta con la L. n. 899 del 1986, chiedeva che il Tribunale la dichiarasse piena proprietaria dei cespiti oggetto del predetto rogito.
La convenuta chiedeva il rigetto della domanda.
Con sentenza depositata in data 29 giugno 2001 il Tribunale rigettava la domanda attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava risoluto il contratto di cui al rogito Fiordaliso del *****.
Con sentenza dep. il 26 novembre 2003 la Corte di appello di Napoli rigettava l’impugnazione proposta dall’attrice che aveva chiesto l’accoglimento di entrambe le domande dalla medesima proposte.
I giudici di appello ritenevano che, per quanto riguardava la domanda diretta alla declaratoria di inadempimento della convenuta, in quanto responsabile del mancato assenso del Comune alla modifica della clausola della convenzione che vietava la cessione del diritto di superficie, da un lato, la società Cooperativa aveva offerto la prova di essersi al riguardo attivata e che, dall’altro lato, il Comune non diede corso alla richiesta perchè astretto dalla normativa vigente, tenuto conto del divieto di cessione stabilito dalla L. n. 457 del 1978, art. 45 all’epoca vigente.
D’altra parte – per quanto riguardava la domanda proposta con la successiva citazione a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 899 del 1986 – dopo avere osservato che, secondo quanto previsto nello stesso, il contratto stesso avrebbe perduto qualsiasi inefficacia, ove il Comune non avesse aderito alla richiesta della Cooperativa, la sentenza, correggendo la motivazione del primo giudice, rigettava nel merito la domanda rilevando che la causa petendi posta a base di questa seconda domanda – seppure apparentemente identica a quella posta a fondamento della prima (l’inadempimento della Cooperativa ai vincoli contrattuali di cui al contratto intercorso con l’attrice) – era diversa da quella azionata con il primo giudizio, posto che il fatto costitutivo fatto valere con la seconda domanda non esisteva più, atteso che il contratto intercorso fra le parti e posto a fondamento della domanda di trasferimento aveva perso ormai efficacia: le parti avevano manifestato la volontà che il negozio sarebbe stato privo di valore ove non fosse intervenuto il consenso del Comune alla modifica della convenzione, modifica che rappresentava per i contraenti un presupposto di validità della cessione. Nè avrebbe assunto rilievo la normativa sopravvenuta che aveva reso non necessario il consenso del Comune per il trasferimento, non potendo rivivere un contratto che non esisteva e che non vincolava più la Cooperativa.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società Edile Immobiliare Smeralda s.r.l. sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso la Cooperativa Armonia s.r.l. Le parti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1358, 1175, 1337, 1366 e 1375 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censura la decisione gravata che, nell’escludere la responsabilità della Cooperativa Armonia s.r.l., aveva ritenuto che la medesima aveva inoltrato la prescritta richiesta al Comune per la modifica della convenzione laddove era stabilito il divieto di cessione del diritto di superficie, non essendo stato in alcun modo provata la presentazione della richiesta, senza considerare che la consegna dell’istanza a mano e a distanza di due anni dalla stipulazione del rogito Fiordaliso costituiva un comportamento colposo così come colposo è il grave ritardo con cui tale iniziativa avrebbe avuto luogo.
Il motivo va disatteso.
La censura è inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata che ha escluso la sussistenza di un inadempimento imputabile alla Cooperativa non solo perchè ha ritenuto, alla stregua della documentazione prodotta, che la stessa si fosse attivata in esecuzione degli obblighi contrattuali ma anche in considerazione del fatto (decisivo) che, in base alla normativa all’epoca vigente, il Comune non avrebbe potuto comunque prestare il proprio consenso alla modifica della convenzione pattuita con la cessione, modifica che non sarebbe stato possibile ottenere stante il divieto legislativo: il che sta significare come – ai fini dell’esecuzione del contratto e quindi del trasferimento dell’immobile – la condotta addebitata alla Cooperativa era del tutto irrilevante perchè al riguardo priva di efficienza causale.
Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censura la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto inammissibile la successiva domanda di esecuzione del contratto, perchè sarebbe stata proposta dopo che l’attrice aveva chiesto la risoluzione del negozio, quando invece con il primo atto di citazione era stata avanzata domanda di risarcimento dei danni e non di risoluzione del contratto per inadempimento; sulle contestazioni in ordine alla dedotta inammissibilità della seconda domanda non si erano pronunciate nè il Tribunale nè la Corte di appello.
Il motivo va disatteso.
La doglianza è inammissibile laddove si censura la decisione di primo grado e le motivazioni al riguardo formulate, posto che l’impugnazione deve riguardare il provvedimento impugnato; per quanto riguarda la denuncia di omessa pronuncia da parte del giudice di appello sulle deduzioni sollevate con il gravame, va considerato che i giudici di appello, non condividendo la declaratoria di inammissibilità pronunciata dal Tribunale, hanno corretto le motivazioni del primo giudice, esaminando nel merito la relativa domanda che veniva rigettata, per cui ogni questione circa l’inammissibilità è del tutto irrilevante.
Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il Tribunale, oltrechè inammissibile, aveva dichiarato infondata la domanda di trasferimento sul rilievo che gli immobili de quibus erano stati realizzati con il contributo statale, per cui non poteva trovare applicazione la sopravvenuta normativa: in realtà, la domanda era da ritenere fondata proprio a seguito dell’entrata in vigore di tale legge, che non richiedeva più l’assenso del Comune, tenuto conto che dalla documentazione prodotta era da escludere che detti immobili fossero sottoposti a contributo statale; su tali aspetti la sentenza di appello non si era minimamente pronunciata. Il motivo va disatteso.
Devono ribadirsi le considerazioni sopra svolte in occasione dell’esame del precedente motivo laddove vengono formulati rilievi nei confronti della pronuncia e delle motivazioni della sentenza di primo grado; per quel che concerne la decisione di appello, la motivazione del rigetto della domanda di trasferimento non si basa sull’inapplicabilità della L. n. 899 del 1986 per la sussistenza del contributo pubblico: in realtà tale affermazione, evidentemente contenuta nella decisione di primo grado, non costituisce la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, correggendo le motivazioni del primo giudice, ha ritenuto inefficace il contratto in forza del quale era invocato il trasferimento degli immobili per non essersi realizzata la condizione alla quale le parti avevano subordinato gli effetti negoziali; tale considerazione è assorbente di ogni altra, divenendo del tutto superflua la verifica della natura del contributo.
Con il quarto motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1353, 1356, 1359, 1360, 1183, 1184 e 1457 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto inefficace il contratto del ***** quando non era apposto alcun termine di scadenza, mentre era significativo che la Cooperativa, a distanza di due anni, aveva inoltrato al Comune la richiesta di modifica della convenzione, senza che il Comune avesse fornito alcuna risposta: in presenza di tale situazione, estremamente fluida, era sopraggiunta la L. n. 899 del 1986 che consente la cessione dei beni per cui è causa senza bisogno di alcun provvedimento dell’ente pubblico e non si comprendeva come il rogito Fiordaliso avesse perso giuridica efficacia, mentre lo stesso doveva considerarsi pienamente valido al momento dell’entrata in vigore della richiamata normativa. Il motivo va disatteso.
La sentenza ha ritenuto che, in virtù di quanto dalle parti pattuito nel contratto del *****, lo stesso avesse perduto efficacia e si fosse ormai risolto al momento dell’entrata in vigore della L. n. 899 del 1986. La doglianza si risolve nella censura circa l’interpretazione del contratto in ordine alla volontà delle parti di stabilire o meno un termine di scadenza in relazione all’avverarsi della condizione apposta: orbene, l’interpretazione del contratto ha ad oggetto un accertamento di fatto riservato all’indagine del giudice di merito e, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se non per violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss cod. civ., o per vizio di motivazione, che nella specie non sono stati dedotti.
Con il quinto motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1358 e 1359 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, deduce che il mancato avveramento della condizione apposta in contratto era imputabile alla Cooperativa che aveva interesse contrario al suo avveramento: nonostante le richieste di esibizione formulate dal procuratore dell’attrice nel giudizio di primo grado, non erano stati mai prodotti il carteggio esistente presso il Comune ed in particolare l’esposto-lettera a firma dei soci della cooperativa e dei suoi legali rappresentanti con cui questi si erano opposti alla modifica della convenzione; d’altra parte, il procuratore del convenuto non aveva contestato l’esistenza dell’esposto.
In ogni caso, chiede: la Corte vorrà dichiarare che la Cooperativa non si era comportata secondo buona fede.
Il motivo va disatteso.
In primo luogo va ribadito quanto già si è detto a proposito della ratio decidendi della sentenza impugnata in ordine alle cause che hanno determinato, secondo i giudici, la risoluzione del contratto de quo, essendo stata esclusa la stessa configurabilità di un comportamento imputabile alla Cooperativa stante il divieto legislativo di cessione. Ciò posto, la doglianza, pur facendo riferimento a violazioni di legge, da cui la sentenza è immune, si risolve nella richiesta (inammissibile in sede di legittimità) di riesame del merito, sollecitando la Corte alla valutazione di circostanze di fatto da cui dovrebbe trarsi la conclusione circa l’inadempimento della Cooperativa e che il mancato avveramento della condizione fosse alla medesima ascrivibile: trattasi di accertamenti di fatto, che sono evidentemente oggetto dell’indagine riservata al giudice di merito e, come tali, sono sottratti al sindacato del giudice di legittimità il quale non ha il potere di esaminare gli atti e valutare l’esattezza della decisione rispetto alle risultanze processuali, dovendo verificare la correttezza logico giuridica del provvedimento impugnato.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010