LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – rel. Consigliere –
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4086-2005 proposto da:
G.L. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CESETTI FABRIZIO;
– ricorrente –
contro
G.G. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRIA 128, presso lo studio dell’avvocato PIRO ANTONINO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARTORELLT MARIO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 481/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 26/06/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2009 dal Consigliere Dott. ENNIO MALZONE;
udito l’Avvocato;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI VINCENZO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione 16.11.1991 G.G. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Fermo, il germano G.L., chiedendo la divisione dei beni immobili a destinazione abitativa – artigianale con adiacente area di servizio, di proprietà comune con il fratello, da essi stessi posseduti in comunione in *****.
Il convenuto, costituitosi, non si opponeva alla divisione, limitandosi a reclamare l’indivisibilità del piazzale antistante il fabbricato.
iL Tribunale, disposta c.t.u., con sentenza n. 524/2000, disponeva la divisione, assegnando all’attore e al convenuto rispettivamente le porzioni A) e B) indicate nella relazione del c.t.u., ponendo a carico del primo il conguaglio in L. 16.294.875 e compensando le spese.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale il convenuto e incidentale l’attore.
Il primo contestava la c.t.u. e chiedeva che, ove fosse accertata la divisibilità del compendio, si procedesse secondo le indicazioni della nuova c.t.u.; in subordine, elevare almeno a L. 50.000.000 il conguaglio a proprio favore con vittoria delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Il secondo resisteva al gravame e chiedeva l’assegnazione di uno dei manufatti esterni (ripostigli), l’esclusione del conguaglio e, in subordinerà sua riduzione all’importo di L. 8.434.875.
La Corte di merito con sentenza n. 481/04, depositata in data 26.6.04, rigettava l’appello principale proposto da G. L. (convenuto) e in parziale accoglimento di quello incidentale avanzato da G.G. (attore), rideterminava in L. 8.434.875 (Euro 4.356, 24) il conguaglio a favore del convenuto G.L., ponendo a suo carico le spese del gravame.
Osservava la Corte di merito che la questione dell’incertezza del confine su uno dei lati dell’area comune era irrilevante perchè tale porzione era destinata a restare comune; che il differente valore assegnato alle due soffitte era dovuto ai lavori di ristrutturazione eseguiti dall’attore, a sue spese, nella soffitta a lui assegnata, così da renderla abitabile; infine, che il cordolo in cls insisteva sul terreno lasciato in comproprietà e poteva essere agevolmente rimosso qualora ostacolasse il passaggio delle autovetture.
Osservava, quindi, quanto all’appello incidentale dell’attore, che la richiesta di riduzione del conguaglio dovuta alla controparte era fondata, perchè era stata applicata la somma prevista in ipotesi che le due soffitte fossero state valutate allo stato grezzo.
Per la cassazione della decisione ricorre G.L. esponendo tre motivi, cui resiste i l’intimato con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 117 c.c., n. 1, artt. 1112, 1032 e 1062 c.c., nonchè L. n. 1159 del 1942, artt. 41 sexies e succ. mod., nonchè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, nn. 4 e 5 e art. 474 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nel punto in cui la Corte di merito ha confermato la divisibilità dell’area antistante al fabbricato, come accertato dal ctu e condivisa dal primo giudice, in dispregio della sua doglianza basata sulla conclamata necessità di lasciare comune tale spiazzale come bene condominiale a servizio del fabbricato, anche perchè il medesimo adempiva alla finzione di accesso con automezzi ai locali-magazzini assegnati a ciascuna delle parti. Si sostiene che è errato il principio secondo cui, in materia di scioglimento della comunione, vada adottato il principio della divisibilità oggettiva, bensì che l’indivisibilità è limitata a quei beni previsti come tali dalla legge e tra questi avrebbe dovuto annoverarsi, a mente dell’artt. 117 e 1112 c.c., il piazzale antistante al fabbricato, data la sua configurazione giuridica come cortile.
La doglianza, così come prospettata nei predetti due motivi, sostanzialmente connessi, è infondata, perchè si riscontrano ragioni particolari che possano giustificare la tesi della indivisibilità dei beni in comunione. In particolare, l’avvertita esigenza di lasciare in comune l’area antistante al fabbricato risulta soddisfatta con la decisione adottata in proposito dai giudici di merito di mantenere il cordolo in cls esistente davanti al fabbricato in ragione della specifica funzione del piazzale come via di accesso degli automezzi diretti ai magazzini dei condividenti, e di rimettere la decisione degli stessi la possibilità di eliminarlo “se ostacola il passaggio di autovetture”: è chiaro che in ipotesi di disaccordo dei comproprietari dovrà decidere il giudice.
Non migliore sorte subisce il terzo motivo di ricorso con cui si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 151 del 1975 e degli artt. 102 e 784 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti delle mogli dei due condividenti, in considerazione del fatto che alcuni dei beni in comunione sarebbero stati acquistati dopo i rispettivi matrimoni.
E’ sufficiente all’uopo osservare che non sono stati indicati tali specifici beni nè sono stati esibiti i relativi atti di matrimonio, ai fini della verifica del regime giuridico patrimoniale dei due matrimoni. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in forza del principio della soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed oneri accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010