LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 26666-2008 proposto da:
FIRMA SPA (Fabbrica Italiana Ritrovati Medicinali ed Affini) in persona del suo legale rappresentante e direttore generale e del suo consigliere di amministrazione, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato ALIFANO NICOLA MARIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TARTAGLIONE LUCA, giusta procura speciale a margine del ricorso per regolamento di competenza;
– ricorrente –
contro
D.C.S. elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati AGONIGI FRANCESCA e MICCOLI FRANCESCO, giusta procura che viene allegata in atti;
– resistente –
avverso l’ordinanza R.G. 226/08 del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata il 16/10/2008;
per il resistente è solo presente l’Avvocato Francesco Miccoli.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO Con ricorso al giudice del lavoro di Livorno, D.C. S., premesso di aver svolto mansioni di informatore scientifico dall’1.5.03 all’8.10.07 alle dipendenze della FIRMA spa, conveniva quest’ultima in giudizio per accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro e il carattere simulato del contratto di agenzia tra di loro stipulato il 30.4.03, con conseguente determinazione dell’inquadramento contrattuale spettante ed il pagamento delle differenze retributive, oltre l’accertamento della giusta causa delle dimissioni da lui rassegnate, con condanna di FIRMA spa all’indennità di preavviso ed al risarcimento dei danni.
In subordine, chiedeva che fosse ritenuto giustificato il suo recesso dal contratto di agenzia con condanna della preponente al pagamento delle indennità conseguenti ed al risarcimento dei danni.
Costituitasi in giudizio, FIRMA spa eccepiva preliminarmente l’incompetenza territoriale del giudice adito in favore di quello di Firenze – città ove era stato stipulato il contratto e dove era sita la sua sede legale – e, nel merito, chiedeva il rigetto della domanda nonchè, in riconvenzionale, la condanna di controparte al pagamento dell’indennità di mancato preavviso a norma dell’art. 1750 c.c. e dell’a.e.c. 20.3.02.
Il giudice adito con ordinanza 16.10.08 rilevava che, in ragione della proposta domanda di accertamento del rapporto di lavoro subordinato, la competenza territoriale dovesse essere fissata ai sensi dell’art. 413 c.p.c. dinanzi al giudice di Livorno, che era la località in cui la prestazione aveva sempre avuto svolgimento e cui conduceva lo stesso contratto (simulato) di agenzia.
Proponeva regolamento di competenza FIRMA spa sostenendo la competenza del giudice del lavoro di Firenze per tre motivi: 1) violazione dell’art. 10 c.p.c. e carenza di motivazione, con il quesito: vero che la competenza territoriale si determina con riferimento alla domanda principale e che nella specie il giudice nel valutare la propria competenza ai sensi dell’art. 413 c.p.c., comma 2, non ha tenuto conto della richiesta di accertamento del rapporto di lavoro subordinato; 2) violazione dell’art. 413 c.p.c., comma 2, e carenza di motivazione, con il quesito: vero che in caso di rivendicazione della natura subordinata del rapporto la competenza territoriale si determina ai sensi dell’art. 413 c.p.c., comma 2, e che, secondo i parametri ivi previsti, non assume rilievo il luogo di lavoro dell’istante, atteso che questo non corrisponde necessariamente con la dipendenza cui lo stesso era addetto; 3) violazione dell’art. 413 c.p.c., comma 2, e carenza di motivazione sotto aspetto diverso, con il quesito: vero che il luogo ove il lavoratore presta la propria attività lavorativa non può essere di per sè considerato dipendenza aziendale, in quanto per essere considerato tale, ai sensi dell’art. 413 c.p.c., comma 2, occorre che presso di lui vi sia un complesso di beni decentrato e munito di propria individualità tecnico-economica direttamente e strutturalmente collegato con l’azienda.
Si difendeva con memoria il D.C..
Il consigliere relatore redigeva relazione ex art. 380 bis c.p.c., che veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza in camera di consiglio ai difensori costituiti. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il ricorso è infondato.
E’ principio costantemente affermato che la competenza va determinata sulla base all’oggetto della domanda proposta dall’attore e dell’esposizione dei fatti posti a fondamento della stessa (a meno che non risulti evidente un’artificiosa allegazione diretta allo scopo di sottrarre la causa al giudice precostituito per legge), mentre rimangono irrilevanti le contestazioni al riguardo formulate dal convenuto e, specificamente, le sue contrarie prospettazioni dei fatti (v. da ultimo Cass. 17.5.07 n. 11415, 4.8.05 n. 16404 e 30.4.05 n. 9013).
Nel caso di specie si prospettano diverse conclusioni in punto di competenza territoriale a seconda che si consideri la domanda principale, diretta all’accertamento del rapporto di lavoro subordinato, o quella subordinata, diretta all’attuazione del contratto di agenzia che pure si assume simulato, atteso che nel primo caso dovrebbe farsi applicazione dell’art. 413 c.p.c., comma 2, e nel secondo dell’art. 413 c.p.c., comma 4. E’ stato, tuttavia, ritenuto che, in caso di più domande l’una all’altra subordinata, debba farsi riferimento al contenuto della domanda principale; di modo che, ove l’attore deduca la simulazione di un contratto di agenzia, in quanto dissimulante un rapporto di lavoro subordinato, e chieda la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive inerenti al contratto dissimulato, deve farsi riferimento – ai fini dei criteri determinativi della competenza per territorio – all’art. 413 c.p.c., comma 2, che riguarda i rapporti di lavoro subordinato, e non al successivo quarto comma (Cass. 7.10.93 n. 9929).
Tanto premesso, l’art. 413 c.p.c., per la parte che qui interessa, prevede che “competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto” (comma 2).
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha enucleato una nozione particolarmente ampia del concetto di dipendenza aziendale, in quanto ha ritenuto che esso, non solo non coincide con quello di unità produttiva contenuto in altre norme di legge, ma deve intendersi in senso lato, in armonia con la mens legis, mirante a favorire il radicamento del foro speciale del lavoro nel luogo della prestazione lavorativa. Condizione essenziale, però, è che l’imprenditore disponga ivi almeno di un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, di modo che costituisce dipendenza aziendale ogni complesso decentrato di beni dell’azienda, per quanto di esigue dimensioni, che sia munito di propria individualità tecnico-economica e destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali; non rilevando in contrario che a quel nucleo sia addetto un solo lavoratore nè che i relativi locali o attrezzature, utilizzati dall’imprenditore, siano di proprietà di un terzo anzichè dell’imprenditore stesso (Cass. 8.1.96 n. 67 e altre sentenze conformi, tra le quali v. da ultimo Cass. 4.6.04 n. 10691).
In questa ricostruzione il punto essenziale e discriminante è costituito dalla circostanza che sia stato l’imprenditore a procedere alla destinazione aziendale, nel senso che egli, per sua consapevole scelta abbia indirizzato un pur modesto complesso di beni di sua o di altrui proprietà all’esercizio dell’attività imprenditoriale, ivi collocando il lavoratore per lo svolgimento dell’attività concordata. Per definizione, infatti, la caratterizzazione di “bene aziendale” è estensibile solo a quei beni che siano stati individuati come tali dall’imprenditore.
Nel caso di specie, dovendosi la questione di competenza decidere “in base a quello che risulta dagli atti” (art. 38 c.p.c., comma 3), deve rilevarsi che il D.C. sostiene che presso il suo domicilio livornese esiste un complesso di beni aziendali strumentali all’esercizio dell’attività di impresa, costituito da un elaboratore di dati fornito dalla società convenuta, con il quale mediante collegamento telefonico dedicato installato a cura della stessa è possibile l’accesso all’archivio aziendale. Tale struttura informatica consente un dialogo continuo tra il ricorrente e la società, accelerando e facilitando i loro contatti.
Tale assunto, risultante dagli atti in quanto posto a base di alcuni capitoli di prova che con il ricorso l’attore sottopone al giudice del lavoro, costituisce circostanza sufficiente a ritenere – nei limiti consentiti per la decisione della istanza di regolamento – che sussista una “dipendenza” come sopra intesa in territorio di *****, ove il D.C. svolge la sua prestazione.
Risultando presenti in ***** beni aziendali strumentali all’esercizio dell’attività imprenditoriale, tali da dare corpo ad una struttura consapevolmente destinata dall’imprenditore allo svolgimento della propria attività, deve ritenersi sussistente una struttura locale, qualificabile come “dipendenza” che, ai sensi dell’art. 413 c.p.c., comma 2, legittima la competenza del giudice lavoro adito.
Deve essere, dunque, rigettato il ricorso e deve essere fissata la competenza dinanzi al Tribunale di Livorno.
Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale di Livorno. Condanna alle spese la ricorrente nella misura di Euro 30,00 per esborsi e di Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese accessorie, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 novembre e il 9 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010