Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1034 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9698/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO Roberto, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 260/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/03/2005 R.G.N. 4858/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso con rinvio.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE La Corte:

premesso che con ricorso notificato il 22 marzo 2006 la s.p.a. Poste Italiane ha chiesto a questa Corte suprema l’annullamento della sentenza depositata il 22 marzo 2005, con la quale la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale della medesima città aveva dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati tra P.M. e la società per i periodi 14 ottobre 1997 – 31 gennaio 1998 e 27 ottobre 1998 – 30 gennaio 1999, in pretesa applicazione dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. 26 novembre 1994 come integrato con l’accordo 25 settembre 1997 (“per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”), accertando pertanto la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dall’inizio del primo contratto, con le condanne conseguenti;

che il ricorso è argomentato con un duplice motivo: a) il primo attinente alla violazione di legge (L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23, art. 1362 c.c., e segg.) e al vizio di motivazione, laddove la sentenza avrebbe affermato che la società avrebbe dovuto provare che anche la singola assunzione fosse finalizzata a coprire una posizione investita dal processo di ristrutturazione in atto in azienda; b) il secondo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., laddove la Corte aveva condannato la società a risarcire il danno dall’atto di messa in mora, erroneamente individuando tale atto nella richiesta di tentativo di conciliazione;

che P.M. si è difeso con rituale controricorso, depositando quindi memoria difensive ai sensi dell’art. 378 c.p.c.;

che, con tali difese, oltre a sostenere l’infondatezza del ricorso, P.M. deduce che quantomeno la clausola oppositiva del termine al contratto di lavoro relativo al periodo dal 27 ottobre 1998 – 30 gennaio 1999 sarebbe da ritenere invalida, in quanto giustificata da una causale (esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali…) non più utilizzabile nei contratti di lavoro stipulati successivamente alla data del 30 aprile 1998, alla stregua degli accordi collettivi attuativi dell’accordo 25 settembre 1997, che tale causale aveva individuato ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23;

che tale deduzione era stata formulata dalla difesa del P. anche nel grado di appello, senza peraltro che la Corte di appello la esaminasse, avendola evidentemente ritenuta assorbita;

ritenuto che il primo motivo di ricorso è fondato, con le precisazioni conseguenti alle deduzioni svolte in via subordinata nel controricorso e con conseguente assorbimento del secondo motivo;

che infatti, va in proposito ricordato che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata, quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962, e soggette unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti;

che siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere effettuata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063);

considerato che, con riguardo al tipo di contrattazione collettiva autorizzata a tale ampliamento, la L. n. 56, art. 23 cit., si esprime in termini di “apposizione di un termine… consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale”;

che, nel caso in esame, come ricordato anche dalle parti, l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali, aveva introdotto nel testo dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste in tale C.C.N.L. ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) il caso di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”;

che inoltre, in pari data, come rilevato nel controricorso, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle condizioni legittimanti la stipula del contratto a termine per affrontare il processo di ristrutturazione e con successivi analoghi accordi avevano accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998;

tutto ciò premesso, la sentenza oggetto del ricorso per cassazione va censurata per avere erroneamente interpretato la norma di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23, ritenendo che alla stregua di essa la ricorrenza delle ragioni giustificatrici del termine che le OO.SS. sono autorizzate ad individuare debba essere verificata con riferimento a circostanze concrete che riguardino il caso singolo effettivamente esistenti (le quali inoltre, in caso di contestazione devono essere provate in giudizio), in quanto riscontrabili e riscontrate negli specifici motivi “dell’assunzione di un determinato lavoratore proprio in quel luogo, in quel tempo, in quel settore, per lo svolgimento di quelle specifiche mansioni”;

ritenuto che un tale errore di diritto ha impedito alla Corte territoriale di valutare adeguatamente, alla luce dell’applicazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c., e segg., se nel caso in esame l’accordo integrativo del 25 settembre 1997 avesse accertato direttamente la ricorrenza di specifiche situazioni di fatto giustificative della apposizione di un termine ai contratti di lavoro con la società;

che esso ha impedito altresì alla Corte d’appello di Roma di prendere posizione – alla luce dei riferimenti contrattuali collettivi e delle considerazioni ritualmente svolte dall’appellato (e riprodotte in controricorso) – in ordine all’eventuale temporaneità della causale in questione, dedotta dal P. come convenuta a livello collettivo con termine finale al 30 aprile 1998, alla stregua di accordi attuativi stipulati nella medesima data del 25 settembre 1997 e poi il 16 gennaio 1998 e il 27 aprile 1998, secondo del resto una interpretazione di tali norme contrattuali ripetutamente ritenuta giuridicamente corretta da questa Corte in processi analoghi (cfr., per tutte Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866, 28 novembre 2008 n. 28450 e 20 marzo 2009 n. 6913);

che tali errori ed omissioni presentano diretta incidenza sulla valutazione (eventualmente differenziata) di legittimità del termine apposto ad ambedue i contratti di lavoro in esame;

ritenuto pertanto che, per le ragioni indicate (con riferimento al primo motivo di ricorso – assorbito il secondo – e tenuto contro della deduzione del controricorso relativa al mancato esame da parte della Corte della questione ritenuta assorbita e richiamata in questa sede), la sentenza impugnata vada conseguentemente cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati, procedendo alla interpretazione dei due accordi del 25 settembre 1997 e di quelli del 16 gennaio e 27 aprile 1998, in applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c., e segg..

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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