Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.107 del 08/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

GI.DI.CI. S.A.S. DI CIMADAMOEE TULLIO & C. IN liquidazione, in persona, del liquidatore pro tempore, C.E., D.

A. e B.E., elettivamente domiciliati in Roma, via Giuseppe Gatti n. 12, presso lo studio dell’avv. Alessandro Morioni, rappresentata e difesa dall’avv. Pierluigi Spadavecchia;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che le rappresenta, e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, sez. 8, n. 48, depositata il 25 giugno 2007;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore Dott. CAPPABIANCA Aurelio;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 3.

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che la società contribuente propose ricorso avverso avviso di rettifica iva, per l’anno d’imposta 1995, emesso, sulla scorta delle risultanze di verifica della G.d.F. ed, in particolare, delle indagini eseguite sui conti correnti bancari degli amministratori, dei soci e dei relativi familiari;

– che l’adita commissione tributaria respinse i ricorsi, sul presupposto che le operazioni rilevate nei sopra indicati conti- correnti bancari non risultavano contabilizzate nè erano state altrimenti giustificate;

che, in esito all’appello della società contribuente, la decisione fu parzialmente riformata dalla commissione regionale, che ritenne che, a fronte del maggior imponibile accertato, occorreva riconoscere una maggior percentuale di costi (e, in concreto, ricaricò quelli dichiarati del 70%); rilevato:

che, avverso tale decisione, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi;

– che l’Agenzia ha resistito con controricorso; osservato:

– che, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente ha dedotto violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e erroneità ed insufficienza della motivazione ed ha formulato il seguente quesito:

“…se sia ammissibile e legittimo motivare per relationem l’avviso di accertamento richiamando sic e simpliciter i verbali della Polizia, Tributaria senza alcuna contezza del contenuto di essi ed omettendo l’allegazione dei medesimi verbali vieppiù destinati a soggetto diverso dal contribuente perchè succeduto successivamente all’effettuato accertamento”;

considerato:

– che il motivo è manifestamente infondato;

che occorre, invero, rilevare che secondo consolidati canoni ermeneutici (da cui non vi è motivo di discostarsi) – anteriormente alle modifiche operate prima dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, art. 7, e poi, per le imposte sui redditi, dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1, (le quali hanno introdotto l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato, o, comunque, di riproduzione del suo contenuto nell’atto notificato) – il requisito motivazionale dell’avviso di accertamento poteva essere assolto anche per relationem, cioè mediante il riferimento ad elementi di fatto offerti da altri documenti, a condizione che si trattasse di atti già notificati (come, nella specie è incontroverso, essendo destinataria dell’atto impositivo la società e non la persona fisica, sua rappresentate legale) o comunicati al destinatario o da questi, comunque, conosciuti (cfr.

Case. 10965/07, 25064/06, 15842/06);

osservato:

– che, con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente ha dedotto violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, e erroneità ed insufficienza della motivazione ed ha formulato il seguente quesito: “… se sia ammissibile e legittimo presumere maggiori redditi societari riferendosi alle motivazioni di conti correnti bancari intestati a persone fisiche e persone giuridiche distinte dalla società accertata richiamandosi unicamente alla, presunzione legale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nonostante le prove documentali fornite nel corso del giudizio dell’assoluta non riferibilità stila. società degli intestatari dei conti e dell’uso personale delle movimentazioni bancarie a ragione della revoca giudiziale della qualifica dei soggetti indicati come legali rappresentanti della società accertata e delle sentenze giudiziali penali con le quali veniva accertato l’utilizzo estraneo alla società indagata dei fondi movimentati nei conti oggetto di indagine bancaria da parte delle persone fisiche e giuridiche estranee e distinte a quest’ultima”;

considerato:

– che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, va premessa l’inammissibilità dei riferimenti a circostanze di fatto (asseritamente attestanti l’estraneità, alla società, dei titolari dei conti correnti posti a base della rettifica), che si rivelano nuove almeno in prospettiva di autosufficienza, poichè, mentre non sono evincibili dalla sentenza impugnata, la ricorrente non ha provveduto a precisare dove e come le stesse siano state dedotte nei pregressi gradi del giudizio e a descrivere, in ricorso, gli atti da cui ritiene possano essere desunte (v. Cass. 14.590/05, 13.979/05, 6656/04 5561/04);

che deve, inoltre, rilevarsi che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (che non vi è motivo di disattendere), il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 600 del 1973, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, come reso palese dal loro tenore letterale e come confermato dalla giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass. 11750/08, 138189/07, 18851/03, 6232/03, 8422/02, 10662/01, 9946/00), pongono una presunzione legale, ancorchè semplice, in forza della quale, le movimentazioni dei conti correnti bancari, riferibili al soggetto contribuente, ai soci ed ai familiari, vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questi non dimostri di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito;

– che, ciò posto, deve osservarsi, per un verso, che, sulla base degli elementi acquisiti in atti, il giudice a quo è pervenuto alla conclusione, in sè coerente, che, nel caso concreto, la società contribuente non ha assolto il suindicato onere probatorio e, per l’altro, che, a fronte dell’indicato convincimento del giudice a quo, il ricorso per cassazione della società contribuente, pur apparentemente prospettando una carenza di motivazione, rimette, in realtà in discussione, contrapponendovene uno difforme, l’apprezzamento in fatto del giudice del merito; apprezzamento insindacabile in questa sede, per quanto già detto in precedenza, giacchè espresso con motivazione ancorata alle: risultanze delle acquisizioni documentali ed in sè coerente (cfr. Cass. 22 901/05, 15693/04, 11936/03);

ritenuto:

che il ricorso va, pertanto, respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

che, per la soccombenza i contribuenti vanno condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 1.700,00 (di cui Euro 1.500,00, per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte: respinge il ricorso; condanna i contribuenti al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 1.700,00 (di cui Euro 1.500,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010

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