Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1073 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

I.M.;

– intimato –

avverso il decreto n. 632/06 V.G. della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del 2/02/07, depositato il 27/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. DIDONE Antonio;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. PATRONE Ignazio.

RILEVA IN FATTO Il Ministero degli Affari Esteri ricorre per Cassazione avverso il decreto in data 27 marzo 2007, con il quale la Corte di appello di Bologna ha confermato il provvedimento del Tribunale di Modena con cui era stato accolto il ricorso proposto da J.M., cittadino ***** residente in *****, per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari a favore del minore J.E., fratello del ricorrente e a lui affidato in custodia “kafalah” con provvedimento del Tribunale *****.

La Corte d’appello ha osservato che il Tribunale non aveva assimilato la kafalah all’adozione, ma aveva soltanto ritenuto che l’istituto integrasse una delle forme di affidamento rilevanti ai fini del ricongiungimento.

OSSERVA IN DIRITTO Con i due connessi motivi di cui si compone l’odierna impugnazione il Ministero – nel denunciare (anche, non ritualmente, in termini di “vizi di motivazione”) la “violazione e falsa applicazione”, nella fattispecie, del D.Lgs. n. 21 del 1998, art. 29, dalla Corte territoriale posto a base del decreto impugnato (in correlazione all’art. 20 della Convenzione di New York, sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989) – formula conclusivamente (ex art. 366 bis c.p.c.) il seguente quesito di diritto: “se la kafalah di diritto islamico possa essere considerata rilevante al fine del ricongiungimento familiare ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29, comma 2 nonostante la sua natura esclusivamente negoziale”.

La tesi per cui al riferito quesito andrebbe data risposta negativa e’ sostenuta dall’Amministrazione ricorrente sulla base di un sillogismo argomentativo. La cui premessa maggiore e’ costituita dalla presupposta “natura eccezionale” (“in linea con le politiche di contenimento della immigrazione”) dell’istituto del ricongiungimento familiare, che la richiamata disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29 (non suscettibile per cio’, a suo avviso, di interpretazione analogica od estensiva) circoscriverebbe ai soli specifici rapporti (di filiazione, adozione, affidamento e tutela) ivi testualmente elencati. E la cui premessa minore si risolverebbe nell’assunto che a nessuno di tali rapporti – e non a quello in particolare dell’affidamento L. n. 184 del 1983, ex art. 4 (cui a torto, quindi l’avrebbe ritenuta equipollente la Corte bolognese) – sia viceversa equiparabile, per la sua natura prettamente “negoziale”, quello di kafalah.

Nessuna delle riferite premesse pare, pero’, condivisibile, alla luce di quanto recentemente statuito da questa Corte con la sentenza 20 marzo 2008, n. 7472.

Quanto, in primo luogo, alla norma del D.Lgs. n. 28 del 1998, art. 29, vale, infatti, per questa, come per ogni altra, il canone ermeneutico, di chiusura, della esegesi costituzionalmente adeguata.

Laddove, ove plurimi, ed antagonisti, siano i valori costituzionali di riferimento (come, appunto, nel caso del ricongiungimento familiare, con riguardo al quale vengono in gioco, da un lato, l’esigenza di protezione dei minori e dall’altro, la tutela democratica dei confini dello Stato), potra’ considerarsi “adeguata” solo quella interpretazione, della norma ordinaria, che realizzi l’equo bilanciamento di tali superiori interessi, alla luce anche della scala di valori presupposta dal Costituente. Bilanciamento questo – che con riguardo al T.U. sulle immigrazioni, la stessa Corte Costituzionale (Giudice naturale, in materia) ha gia’ avuto appunto occasione di operare (in sede di controllo di legittimita’ di altre sue denunziate disposizioni), nel segno di una tendenziale prevalenza del valore di protezione del minore, anche in relazione al minore straniero, rispetto a quelli di difesa del territorio e contenimento dell’immigrazione (cfr. sent.ze nn. 198 e 205/2003). Prevalenza che, a maggior ragione, appare peraltro coessenziale ad una esegesi costituzionalmente orientata della disciplina sul ricongiungimento, per lo specifico profilo che qui viene un rilievo, ove si consideri che – mentre ai “pericoli di strumentalizzazione ai fini di elusione della normativa in materia di immigrazione”, non irragionevolmente paventati dal Ministero ricorrente, puo’ comunque porsi in qualche modo rimedio attraverso i controlli interni al complesso e articolato procedimento autorizzatolo che (previo nulla osta dello Sportello Unico per l’immigrazione e visto d’ingresso dell’autorita’ consolare) si conclude con il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari – una pregiudiziale esclusione (come quella che pretende l’Amministrazione) del requisito per il ricongiungimento familiare per i minori affidati in “kafalah”, penalizzerebbe (anche con vulnus al principio di eguaglianza) tutti i minori, di paesi arabi, illegittimi, orfani o comunque in stato di abbandono, per i quali la kafalah e’ – come si dira’- l’unico istituto di protezione previsto dagli ordinamenti islamici.

Negli ordinamenti musulmani, infatti – stante la sancita illiceita’ di qualsiasi rapporto sessuale fuori dal matrimonio, l’esclusa giuridicita’, ad ogni effetto, nei confronti del padre, dei figli naturali, e la considerazione di quelli adottati come “non veri figli” (Sura, 33A, versetto 4) – il dovere di fratellanza e di solidarieta’, cui pure esorta il Corano ivi, versetto 5, e’ assolto, nei confronti dei minori illegittimi, orfani o comunque abbandonati, attraverso l’unico strumento, appunto, di tutela e protezione dell’infanzia, definito “kafalah”. Mediante il quale il minore, per il quale non sia possibile attribuire la custodia ed assistenza (hadana) nell’ambito della propria famiglia (legittima), puo’ essere accolto da due coniugi od anche da un singolo affidatario (kafil), che si impegnano a mantenerlo, educarlo ed istruirlo, come se fosse un figlio proprio, fino alla maggiore eta’, senza pero’ che l’affidato (makful) entri a far parte, giuridicamente, della famiglia che cosi’ lo accoglie. Ogni singolo Paese di area islamica ha disciplinato, in maniera piu’ o meno dettagliata, la Kafalah. La quale – espressamente riconosciuta come istituto di protezione del fanciullo anche nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (sub. art. 20) – e’ nella maggior parte delle legislazioni disposta con procedura giudiziaria, o previo accordo (tra affidanti e affidatari) comunque autorizzato da un Giudice, e con previsione di autorizzazioni, da richiedersi dal Kefil all’Autorita’ competente, per atti di particolare rilievo, come, tra l’altro, l’espatrio. E cio’ anche nel caso specifico del ***** (cui appartengono il richiedente e il minore di cui si discute), che ha regolato, con tali modalita’, la kafalah (non espressamente menzionata nel Code du statut personnel et successoral) nel (successivo) dahir portant loi n. 1-93-165 del 10 settembre 1993 e nell’ancor piu’ recente D.P.L. n. 1-02-172 del 13 giugno 2002, intitolato alla “prise en charge des enfant abbandonnes”. Venendo allora al secondo assunto dell’Avvocatura, non si vede (alla luce di una interpretazione costituzionalmente adeguata, come detto, della normativa di riferimento) come possa quindi pregiudizialmente escludersi, agli effetti del ricongiungimento familiare, l’equiparabilita’ della Kafalah islamica all’affidamento. Atteso, in definitiva, che – fuori dai casi (per cui restano margini di dubbio) in cui la Kafalah abbia base esclusivamente negoziale, in assenza di controllo alcuno della autorita’ sull’idoneita’ dell’affidatario e l’effettivita’ delle esigenze dell’affidamento (quale invece previsto dallo Stato del *****) – tra la Kafalah islamica e il modello dell’affidamento nazionale prevalgono, sulle differenze, i punti in comune, non avendo entrambi tali istituti, a differenza dell’adozione, effetti legittimanti, e non incidendo, sia l’uno che l’altro, sullo stato civile del minore; ed essendo anzi la Kafalah, piu’ dell’affidamento, vicina all’adozione, in quanto, mentre l’affidamento ha natura essenzialmente provvisoria, la Kafalah (ancorche’ ne sia ammessa la revoca) si prolunga tendenzialmente fino alla maggiore eta’ dell’affidato. Per cui, conclusivamente, puo’ darsi risposta affermativa al quesito di diritto, come sopra formulato, con enunciazione — in continuita’ con la gia’ citata Cass., Sez. 1, 20 marzo 2008, n. 7472 – del principio per cui la Kafalah di diritto islamico, come disciplinata (nella specie) dalla legislazione del *****, puo’ fungere da presupposto per il ricongiungimento familiare, e dare titolo allo stesso, ai sensi, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29, comma 2.

In conclusione, ove si condividano i teste’ formulati rilievi, il ricorso puo’ essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendo i requisiti di cui all’art 375 c.p.c.”.

3.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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