LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.F. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. MARRA Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore – domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale e’ rappresentata e difesa;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il 25.10.2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 30 marzo 2009 dal Consigliere dott. SALVATO Luigi;
con la partecipazione del P.M. in persona del S.P.G. Dott. RUSSO Rosario Giovanni.
RITENUTO IN FATTO
M.F. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del gennaio 2000, definito con sentenza del 14.10.2005.
La Corte d’appello, con decreto del 25.10.06, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, liquidava per il periodo eccedente (pari ad anni tre) Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 3.000,00, con il favore delle spese del giudizio.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso M. F., affidato a dodici motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:
“1 – Con i primi sette motivi e’ denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonche’ della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:
a) la L. n. 89 del 2001, e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la L. Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).
b) Questioni concernenti la quantificazione del danno.
una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato per l’intera durata del processo (come sancito dalla giurisprudenza di Strasburgo) ovvero solo per il periodo eccedente tale durata) (secondo motivo); una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00/1.500,00 per ogni anno di ritardo? (terzo motivo) ed il decreto sarebbe carente di motivazione nel punto concernente la quantificazione del danno in misura diversa da quella di Euro 1.500,00 (quarto motivo);
spetta un’ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (quinto motivo) e su questa domanda la Corte d’appello non si e’ pronunciata (sesto motivo), incorrendo in difetto di motivazione (settimo motivo).
1.1.- 1 motivi dall’ottavo ai dodicesimo denunciano violazione dell’art. 6, 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. 794 del 1942, art. 24 delle tariffe professionali, nonche’ difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:
e’ legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot. add. CEDU direttamente applicabile al caso di specie? (ottavo motivo);
alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)? (nono motivo) e sulla liquidazione delle spese il decreto sarebbe carente nella motivazione (decimo motivo);
puo’ il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere a stessa liquidando spese, diritti ed onorari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese? (motivo undicesimo) e sul punto e’ denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso specifica nella quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in relazione ai diversi scaglioni (motivo dodicesimo).
2. – I motivi indicati nel 1 possono essere esaminati congiuntamente, perche’ giuridicamente e logicamente connessi, sembrano manifestamente infondati.
a) relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent. n. 1338 del 2004), in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001. Qualora cio’ non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale, deve sollevare questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1.
Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, b) Relativamente alla quantificazione del danno, va affermato:
secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuita’, la precettivita’, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo;
per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversita’ di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);
i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte Europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo. Resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entita’, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.
Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici Europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, cio’ non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, e’ probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facolta’ di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entita’ della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; (per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005; n. 19288 del 2005), purche’ motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006).
Il giudice del merito puo’, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus – qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che cio’ comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicche’ se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, cio’ sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 18012 del 2008).
In questi termini sono i principi che possono essere formulati in relazione ai quesiti in esame ed a quelli riferibili alla quantificazione del danno, anche alla luce del parametro della Corte EDU, che dimostrano la manifesta infondatezza delle censure, poiche’ il decreto ha liquidato la somma di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, facendo applicazione dei parametri della Corte EDU. 2.1.- I motivi indicati nel 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perche’ logicamente connessi, sembrano in parte manifestamente inammissibili, in parte manifestamente infondati, in parte manifestamente fondati. In linea preliminare, va evidenziata la manifesta inammissibilita’ delle censure (e dei corrispondenti profili dei quesiti) incongrue, in quanto non correlate alla ratio decidendi del decreto e che in nessun modo tengono conto della fattispecie, ovvero si risolvono in argomentazioni astratte e prive di pertinenza con il caso di specie. Tanto va rilevato in relazione ai motivi: ottavo e undicesimo, quanto alla possibilita’ del giudice di compensazione delle spese (non disposta) e di riduzione delle voci della nota spese, possibile se tanto risulta dalla applicazione delle norme.
Relativamente agli ulteriori profili di censura, da ritenere ammissibili, nella parte in cui correlano l’erroneita’ delle voci di tariffa applicata alla violazione del principio dell’inderogabilita’ ed al difetto di motivazione, le stesse sono fondate sulla base dei principi di seguito indicati, ed entro i limiti che si precisano:
la L. n. 89 del 2001 non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui all’art. 3, comma 4 e, in virtu’ del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis, e, successivamente, D.Lgs. n. 15 del 2002, art. 10 e 265) (Cass. n. 23789 del 2004);
le disposizioni dell’art. 91 c.p.c. e segg. in tema di spese processuali trovano applicazione, in linea generale, nel procedimento camerale nel caso in cui questo statuisca su posizioni soggettive in contrasto, come accade nella specie, senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla CEDU, ovvero dal Protocollo aggiuntivo (Cass. n. 12021 del 2004), restando esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. n. 1078 del 2003); dalla CEDU non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attivita’ dello Stato che miri alla distruzione dei diritti o delle liberta’ riconosciuti dalla Convenzione o ad imporre a tali diritti e liberta’ limitazioni piu’ ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione (Cass. n. 18204 del 2003);
la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilita’ della Tab. A-4 e della Tab.B-1.
In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato le spese in Euro 450,00 sembra rendere manifestamente fondate le censure, nella parte in cui sono ammissibili. Entro questi limiti i mezzi potrebbero essere accolti; il decreto dovrebbe essere cassato nel solo capo relativo alle spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate. Le spese di legittimita’ potrebbero essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.”.
2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione – salvo la precisazione indicata di seguito in ordine alle spese della presente fase – condividendo le argomentazioni che le fondano, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, pure indicata nella relazione (alla quale, in riferimento al principio che comporta l’accoglimento delle censure riferite alle spese del giudizio, adde, Cass. n. 29407 del 2008; n. 2389, n. 2384, n. 775 del 2009).
In relazione alle censure accolte il decreto va cassato e la causa puo’ essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante condanna dell’intimata a pagare le spese della fase di merito, nell’importo liquidato in dispositivo.
Le spese della presente fase vanno compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il parziale accoglimento del ricorso; la residua parte segue la soccombenza e va liquidata come in dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.
PQM
LA CORTE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato limitatamente al capo concernente le spese e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare le spese della fase di merito che liquida in complessivi Euro 923,00 di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 445,00 per onorario, nonche’ un terzo delle spese della presente fase (compensate la residua parte), che liquida in complessivi Euro 230,00, di cui Euro 30,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, con attribuzione al difensore, avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.
Cosi’ deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010