LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.P. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. MARRA Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore – domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale e’ rappresentata e difesa;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il 19.10.2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 27 ottobre 2009 dal Consigliere Dott. SALVATO Luigi;
con la partecipazione del P.M. in persona del S.P.G. Dott. RUSSO Rosario Giovanni.
RITENUTO IN FATTO
C.P. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 6.6.97, non ancora definito.
La Corte d’appello, con decreto del 19.10.06, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, liquidava per il periodo eccedente (pari ad anni sei) Euro 500,00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 3.000,00, in considerazione del fatto che il ricorso era stato proposto in via collettiva, non era stata presentata istanza di prelievo e del minimo valore della controversia, con il favore delle spese del giudizio.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso C. P., affidato a dodici motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:
1.- Con i primi sette motivi e’ denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonche’ della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:
a) la L. n. 89 del 2001, e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la L. Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).
b) Questioni concernenti la quantificazione del danno:
una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato per l’intera durata del processo (come sancito dalla giurisprudenza di Strasburgo) ovvero solo per il periodo eccedente tale durata) (secondo motivo), una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00/1.500,00 per ogni anno di ritardo? (terzo motivo) ed il decreto sarebbe carente di motivazione nel punto concernente la quantificazione dei danno in misura diversa da quella di Euro 1.500.00 (quarto motivo):
spetta un’ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (quinto motivo) e su questa domanda la Corte d’appello non si e’ pronunciata (sesto motivo), incorrendo in difetto di motivazione (settimo motivo).
1.1. – I motivi dall’ottavo al dodicesimo denunciano violazione dell’art. 6, par. 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. 794 del 1942, art. 24 delle tariffe professionali, nonche’ difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio.
2.- I motivi indicati nel par. 1 possono essere esaminati congiuntamente, perche’ giuridicamente e logicamente connessi, sembrano manifestamente fondati, nei termini ed entro i limiti di seguito precisati.
Relativamente alla questione sub a), va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent. n. 1338 del 2004, in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001. Qualora cio’ non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale, deve sollevare questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1,.
Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna.
In ordine alla quantificazione del danno, va affermato:
secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuita’, la precettivita’, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo;
per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante il terzo comma, lettera a), della L. n. 89 del 2001, art. 2, non incidendo questa diversita’ di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);
i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo. Resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entita’, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.
Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, cio’ non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, e’ probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facolta’ di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entita’ della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005; n. 19288 del 2005), purche’ motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006).
Il giudice del merito puo’, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus – qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che cio’ comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicche’ se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, cio’ sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 18012 del 2008).
Infine, nella quantificazione dell’equa riparazione in misura inferiore allo standard minimo annuo fissato dalla Corte europea in Euro 1.00,000 non puo’ aversi riguardo generico alla modestia della pretesa azionata, senza prendere in considerazione, comparativamente, le condizioni economiche dell’interessata e raffrontare la natura e l’entita’ della pretesa patrimoniale (c.d. posta in gioco) e la condizione socio – economica del richiedente, al fine di accertare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche di questo (Cass. n. 14955 del 2008; n. 23048 del 2007). In questi termini sono i principi che possono essere formulati in relazione ai quesiti in esame ed a quelli riferibili alla quantificazione del danno, anche alla luce del parametro della Corte EDU, che dimostrano la manifesta fondatezza delle censure.
Il decreto ha infatti liquidato la somma di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo, discostandosi in misura irragionevole dal parametro della Corte EDU, senza motivazione sufficiente e congrua. La circostanza della proposizione del ricorso in via collettiva e’, di per se’, priva di significazione al fine della misura del pregiudizio, mentre il valore della controversia, in assenza del suindicato giudizio comparativo, giustifica una quantificazione con riferimento al parametro minimo, non i suo dimezzamento.
In relazione alle censure che potrebbero essere accolte, il decreto potra’ essere cassato – con conseguente assorbimento del motivo e dei profili concernenti la liquidazione delle spese del giudizio, dovendo comunque esserne effettuata la riliquidazione – e la causa essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Pertanto, in applicazione degli standard della Corte EDU, ritenuto il periodo di irragionevole durata del giudizio in anni sei, come stabilito dal decreto, ed individuato, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius, anche in riferimento al citato bonus – nella somma di Euro 1.000,00 ad anno il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale, andrebbe riconosciuta all’istante la somma di Euro 6.000,00 (in relazione al periodo di anni sei), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Le spese potranno seguire la soccombenza, quanto al giudizio di merito, ed essere poste a carico della resistente per la meta’ quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.”.
2.- Il Collegio, premesso che il ricorso e’ da ritenersi tempestivo, siccome consegnato per la notifica il 4 dicembre 2007 (v. in tal senso l’annotazione dell’ufficiale giudiziario) reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, salvo la precisazione indicata di seguito in ordine al parametro di liquidazione dell’equa riparazione.
Al riguardo, va infatti ribadito il piu’ recente orientamento, secondo il quale, quando non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico – patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilita’ di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtu’ degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.
Pertanto, in accoglimento delle censure il decreto va cassato – assorbiti i motivi concernenti le spese del giudizio, dovendo procedersi alla loro riliquidazione – e la causa puo’ essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Ritenuto il periodo di irragionevole durata del giudizio in anni sei, come incensurabilmente accertato dalla Corte d’appello e del parametro da ultimo indicato (Euro 750,00 per anno di ritardo, per i primi tre anni di violazione, poi Euro 1.000,00 per anno), che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius, anche in riferimento al citato bonus (le deduzioni della parte si risolvono nella prospettazione di argomenti stereotipati e standardizzati che in nessun modo danno conto degli elementi concreti, gia’ sottoposti al giudice del merito, in grado di evidenziare la particolare rilevanza del giudizio e la ricorrenza dei presupposti per la liquidazione di una somma piu’ elevata, dunque, inidonei ad evidenziare vizi della motivazione censurabili in questa sede.), va riconosciuta all’istante la somma di Euro 5.250,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza – distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo – quanto al giudizio di merito e per la meta’ quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie il ricorso per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione (assorbiti i motivi sulle spese), cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 5.250,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali – per la meta’, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte – distratte in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 923,00 (di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 445,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimita’, in Euro 450,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Dispone che la Cancelleria provveda alle comunicazioni della L. n. 89 del 2001, art. 5.
Cosi’ deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010