LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
F.T. – domiciliata ex lege in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. MARRA Maria Teresa, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il 29 novembre 2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 27 ottobre 2009 dal Consigliere Dott. SALVATO Luigi;
con la partecipazione del P.M. in persona del S.P.G. Dott. RUSSO Rosario Giovanni.
RITENUTO IN FATTO
F.T. adiva la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi al Pretore di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con ricorso del 21.10.94, definito con sentenza del 22.12.97, avverso la quale era stato proposto appello il 25.6.98, deciso con sentenza del 6.7.04.
La Corte d’appello, con decreto del 29 novembre 2006, affermava che, poiche’ la sentenza che aveva concluso il giudizio era del 6 luglio 2004 ed era “divenuta definitiva il 6.7.2005, ovvero dopo un anno, secondo le regole generali che disciplinano il processo del lavoro”, “la domanda di equa riparazione sarebbe stata tempestiva solo se presentata entro il 6 gennaio 2005” e, conseguentemente dichiarava inammissibile il ricorso, compensando le spese del giudizio.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso F. T., affidato a due motivi; non ha svolto attivita’ difensiva t’intimato.
Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alla ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:
“1.- La ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, deducendo che la decisione diviene definitiva con il passaggio in giudicato e la domanda di equa riparazione va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di sei mesi da tale evento.
Nella specie, poiche’ la sentenza che ha definito il giudizio e’ del 6 luglio 2004, era impugnabile entro il 6 luglio 2005, con la conseguenza che il ricorso ex L. n. 89 del 2001, siccome proposto il 20 maggio 2005, e’ tempestivo e in questi termini e’ formulato quesito di diritto.
Il secondo motivo denuncia contraddittoria ed insufficiente motivazione su di un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui il decreto, benche’ abbia indicato che la sentenza che aveva concluso il giudizio presupposto era divenuta definitiva il 6 luglio 2005, ha poi affermato che la domanda avrebbe dovuto essere proposta entro il 6 gennaio 2005.
2 – Il secondo motivo sembra manifestamente inammissibile.
Il vizio di motivazione e’, infatti, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come mezzo per l’annullamento della sentenza che si impugna, solo per quanto attiene all’accertamento ed alla valutazione dei fatti rilevanti per la decisione e non anche – come nella specie – per quanto concerne l’interpretazione e l’applicazione di norme di diritto e la soluzione di questioni giuridiche, rispetto alle quali il sindacato di legittimita’ si esaurisce nel controllo della conformita’ al diritto della decisione impugnata (per tutte, Cass. n. 2469 del 2003; n. 10396 del 2001;n. 4526 del 2001).
2.1.- Il primo motivo sembra manifestamente fondato.
La L. n. 89 del 2001, art. 4 stabilisce che la domanda di riparazione puo’ essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, e’ divenuta definitiva.
Il riferimento alla nozione di decisione definitiva, allo scopo di identificare il dies a quo del termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda di equa riparazione, corrisponde all’omologa espressione contenuta nell’art. 35, paragrafo 1, della CEDU. Detto art. 35 (nel testo sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296), nel disciplinare le condizioni di ricevibilita’ del ricorso individuale alla Corte europea, al comma 1, stabilisce infatti: la Corte non puo’ essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, qual e’ inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.
La L. n. 89 del 2001, art. 4 cit. ricalca, quindi, la disposizione sovranazionale, in coerenza con l’esigenza di avere riguardo ad ogni tipo di procedimento nel quale sia ipotizzabile una violazione del principio di ragionevole durata e ad ogni possibile epilogo della vicenda processuale.
Questa espressione -appunto per la vasta gamma di processi ai quali e’ applicabile la L. n. 89 del 2001 e per la diversita’ della tipologia dei provvedimenti che possono definirli e degli effetti a questi riconducibili- non equivale a quella di sentenza passata in giudicato, ma e’ riferibile a qualsiasi provvedimento giurisdizionale idoneo (ex se, ovvero a seguito dell’inutile decorso dei termini per l’esperimento dei rimedi prefigurati dall’ordinamento al fine di rimuoverlo) a porre formalmente termine al processo, escludendo che possa considerarsi ancora pendente (Cass. n. 12858 del 2006; n. 1184 del 2006).
Nell’interpretare detta norma, questa Corte, con orientamento al quale va data continuita’, ha quindi affermato che il termine non decorre dalla data del provvedimento conclusivo del processo della cui durata ci si dolga, e neppure da quella in cui detto provvedimento e’ stato portato a conoscenza dell’interessato nelle forme eventualmente a cio’ prescritte dall’ordinamento (cosi’ a partire da n. 17261 del 2002; in senso conforme, successivamente, Cass. n. 14987 del 2006; n. 13287 del 2006; n. 19526 del 2004).
Il termine decorre invece «da quando quel provvedimento conclusivo e’ divenuto definitivo; e con tale espressione il legislatore ha inteso riferirsi al significato che comunemente si assegna alla nozione di definitivita’ di un provvedimento giurisdizionale: vale a dire al fatto che quel provvedimento non sia piu’ suscettibile di essere revocato, modificato o riformato dal medesimo giudice che lo ha emesso o da altro giudice chiamato a provvedere in un grado successivo (cfr. le sentenze supra richiamate).
Il riferimento e’, quindi, alla decisione finale che, appunto perche’ tale, e’ in linea di principio immutabile, perche’ non suscettibile di impugnazione, ovvero perche’ non impugnabile con i mezzi ordinari (Cass. n. 17818 del 2004; n. 13163 del 2004), con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, deve ritenersi definitiva – come e’ stato precisato – al momento stesso del suo deposito (ovvero al momento della pubblicazione), con conseguente tardivita’ della domanda, se proposta dopo sei mesi dal deposito (Cass. n. 7874 del 2006).
In applicazione di detto principio, che va formulato in relazione al quesito di diritto proposto, poiche’ la stessa Corte d’appello ha indicato che la sentenza che ha definito il giudizio presupposto e’ del 6 luglio 2004 ed avrebbe potuto essere impugnata con ricorso per Cassazione sino al 6 luglio 2005, da tale data decorreva, quindi, il termine della L. n. 89 del 2001, art. 4, con conseguente tempestivita’ della domanda di equa riparazione, proposta con ricorso del 25 maggio 2005.
In accoglimento del ricorso il decreto potra’ essere cassato e la causa rinviata alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, per il riesame della controversia, nell’osservanza del principio sopra enunciato, e perche’ provveda anche sulle spese della presente fase.”.
2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, con conseguente cassazione del decreto e rinvio della causa alla stessa Corte d’appello che, in diversa composizione, procedera’ al riesame della controversia, nell’osservanza del principio sopra enunciato, provvedendo anche sulle spese della presente fase.
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche in ordine alle spese della presente fase.
Cosi’ deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010