Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1088 del 21/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

V.V. – elettivamente domiciliato in ROMA, via Augusto Valenziani, 5, presso lo studio dell’avv. Lattanzi Alessandro, rappresentato e difeso dall’avv. Barba Americo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefetto di Lecce;

– intimato –

avverso il decreto del Giudice di pace di Lecce del 10.6.2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 27 ottobre 2009 dal Consigliere Dott. SALVATO Luigi;

con la partecipazione del P.M. in persona del S.P.G. Dott. RUSSO Rosario Giovanni.

RITENUTO IN FATTO

V.V. proponeva opposizione innanzi al Giudice di pace di Lecce avverso il decreto di espulsione adottato dal Prefetto di tale citta’, a seguito della revoca del permesso di soggiorno.

Il Giudice adito, con provvedimento del 10.6.2008, rigettava l’opposizione, osservando che l’impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato non comporta la sospensione del provvedimento di espulsione, legittimamente emesso, in difetto del permesso di soggiorno.

Per la cassazione di questo provvedimento ha proposto ricorso V.V., affidato ad un motivo; non ha svolto attivita’ difensiva l’intimato.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- L’unico motivo denuncia omessa motivazione circa fatti decisivi per il giudizio con riferimento al motivo di gravame, deducendo che nel giudizio di merito era stato dedotto che l’art. 10 Cost., comma 3 e art. 3 CEDU, escluderebbero l’ammissibilita’ dell’espulsione verso uno Stato in cui a parte puo’ essere vittima di persecuzione; che il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1 avrebbe imposto al Questore di rilasciare il permesso di soggiorno. In ordine a detti profili il decreto sarebbe carente di motivazione ed e’ dunque posto il seguente quesito di diritto: Con il presente motivo si chiede l’annullamento del provvedimento di primo grado per omessa motivazione, dacche’ esso non contiene alcuna pronuncia in ordine violazione dell’art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e art. 5, comma 6, reg. att. D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 11, art. 3 C.E.D.U., sebbene cio’ sia stato prospettato come motivo di nullita’ del decreto espulsivo col ricorso introduttivo”.

2.- Il motivo sembra manifestamente inammissibile.

La parte ha espressamente denunciato il vizio di motivazione, sicche’ si impone di ricordare e ribadire che detto vizio di motivazione, anche nella configurazione piu’ radicale della carenza assoluta della motivazione, puo’ costituire oggetto di ricorso per Cassazione esclusivamente in quanto incida sull’accertamento e sulla valutazione di punti di fatto rilevanti per la decisione e non anche quando riguardi l’affermazione o l’applicazione di principi giuridici (ex plurimis, Cass. S.U. n. 261 del 2003; Cass. n. 16640 del 2005; n. 21712 del 2004).

Pertanto, il mezzo e’ inammissibile, se inteso come diretto a denunciare un vizio di motivazione, poiche’, in contrasto con la rubrica, non denuncia errori nella ricognizione della fattispecie concreta.

Inteso come diretto a denunciare un vizio di violazione di legge, il motivo e’ manifestamente inammissibile, in quanto – a tacere d’altro – si conclude con un quesito assolutamente inconferente ed incongruo.

Al riguardo, va data continuita’ alla giurisprudenza di questa Corte, espressa anche a Sezioni Unite, secondo la quale il quesito deve consentire l’individuazione del principio di diritto che e’ alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio a cui auspicata applicazione ad opera della Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso: ove tale articolazione logico – giuridica manchi, il quesito si risolve in un’astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofitattica.

Il quesito non puo’, pertanto, consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello in ordine alla fondatezza della censura cosi’ come illustrata nello svolgimento del medesimo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre questa Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Cio’ vale a dire che deve potersi comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (per tutte, Cass. S.U. n. 3519 del 2008).

Dunque, il quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., e’ inadeguato, con conseguente inammissibilita’ del motivo di ricorso, quando non sia conferente rispetto alla questione che rileva per la decisione della controversia, quale emerge dall’esposizione del motivo (Cass. S.U. n. 8466 de 2008; n. 11650 del 2008); quando si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. S.U. n. 6420 del 2008); quando si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo (Cass. n. 19892 del 2007).

L’applicazione di detti principi, alla luce del tenore del quesito, nei termini in cui e’ stato formulato ne conclama la manifesta inammissibilita’.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, essendo appena il caso di sottolineare che non rileva la sopravvenuta abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1 in quanto non applicabile ratione temporis (ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5).

Peraltro, una ulteriore ragione di inammissibilita’ consegue dalla circostanza che il ricorrente, da un canto, deduce che non sarebbe stata considerata l’esistenza delle ragioni che non avrebbero consentito l’espulsione; dall’altro, in violazione del principio di autosufficienza, neppure ha riportato, trascrivendola, la domanda che avrebbe proposto in tali termini e, soprattutto, gli elementi di prova eventualmente sottoposti al giudice del merito a conforto della medesima. Elementi diversi ed ulteriori rispetto a quelli sottoposti alla Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, fermo restando che in sede di opposizione al decreto di espulsione non puo’ procedersi al riesame di detta decisione che e’, invece, quanto mira ad ottenere l’istante.

Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile; non deve essere resa pronuncia sulle spese di questa fase, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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