Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.1094 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI *****, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cola di Rienzo 212, presso l’avv. Giulio Mastroianni, rappresentato e difeso dall’avv. De Girolamo Antonio per procura in atti;

– ricorrente –

contro

C.L.J., C.F., C.L. e C.P., elettivamente domiciliati in Roma, viale Regina Margherita 46, presso l’avv. Ruggero Frascaroli, rappresentati e difesi dall’avv. Gentile Loreto per procura in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2932/04 del 21 giugno 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 settembre 2009 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

udito, per i controricorrenti, l’avv. Loreto Gentile, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza in data 20 luglio 2001 il Tribunale di Cassino accoglieva la domanda di risarcimento dei danni per occupazione usurpativa, con la quale C.L.J., C. F., C.L. e C.P., con atto notificato in data 11 febbraio 1992, avevano convenuto in giudizio il Comune di *****, deducendo che detto ente aveva occupato in via d’urgenza alcuni terreni di loro proprietà per la realizzazione di un programma di edilizia economica e popolare e che tuttavia gli atti della procedura espropriativa, compresa la dichiarazione di pubblica utilità, erano stati annullati dal TAR del Lazio, mentre nel frattempo l’opera pubblica era stata realizzata, e che solo successivamente il Comune aveva provveduto a rinnovare la procedura, senza ottenere però il decreto di esproprio. Il giudice di primo grado riteneva essersi verificato un caso di occupazione usurpativa ed aveva quantificato il danno in L.. 301.022.000 in base al valore venale del bene.

2. Con successiva sentenza n. 2932/04 del 21 giugno 2004 la Corte di appello di Roma respingeva il gravame proposto dal Comune di *****, così motivando:

2.a. era pacifico in causa che l’intera procedura ablativa, a partire dalla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, era stata annullata dal giudice amministrativo; ne conseguiva che l’occupazione e la successiva appropriazione dei terreni, per effetto della loro irreversibile trasformazione, si erano configurati come fatti usurpativi e quindi come comuni fatti illeciti, che, per un verso, avevano impedito il verificarsi della speciale fattispecie acquisitiva dell’accessione invertita e, per altro verso, in difetto di una causa di pubblica utilità che giustificasse il sacrificio della proprietà privata, imponevano il ristoro integrale del danno da perdita della proprietà per effetto della sua volontaria dismissione da parte dei signori C., in alternativa alla retrocessione, ormai non più utilmente realizzabile;

2.b. non poteva essere condivisa la tesi del Comune appellante, che, pur ammettendo l’avvenuto annullamento dell’intera procedura ablativa, assumeva che sarebbe rimasto fermo il collegamento dell’occupazione con la pubblica utilità, sia perchè tale collegamento risultava formalmente dagli atti annullati, sia perchè successivamente lo stesso Comune aveva provveduto a rinnovare l’intera procedura con atti validi, che valevano a confermare la pubblica utilità dell’opera, con la conseguenza che l’occupazione doveva considerarsi appropriativa, con applicazione del criterio riduttivo del computo del danno previsto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis; infatti, ad avviso della Corte di merito, l’annullamento degli atti della procedura ablativa, avendo fatto decadere la dichiarazione di pubblica utilità, aveva privato l’occupazione di ogni collegamento con l’interesse pubblico che giustificava l’appropriazione della proprietà privata, senza che la successiva rinnovazione della procedura fosse idonea a sanare una situazione ormai irrimediabilmente illecita;

2.c. era infondato anche il secondo motivo di appello, con il quale il Comune aveva lamentato la mancata applicazione quale “ius supeveniens” della norma transitoria di cui al T.U. delle leggi sulla espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 55), che, con disposizione applicabile anche ai giudizi pendenti alla data del 1 gennaio 1997, aveva stabilito che, nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità e in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità alla data del 30 settembre 1996, ai fini della determinazione del risarcimento del danno si applicavano i criteri previsti dall’art. 43, con esclusione della riduzione del 40% e con l’incremento dell’importo nella misura del 10%, così assoggettando allo stesso regime sia l’occupazione acquisitiva, che quella usurpativa; secondo la Corte di appello, infatti, la norma citata era stata modificata con D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, che ne aveva limitato l’applicazione al solo caso di occupazione senza il decreto di esproprio (occupazione acquisitiva per accessione invertita), escludendo l’occupazione senza dichiarazione di pubblica utilità (occupazione usurpativa); di conseguenza il caso di specie, configurando un’ipotesi di occupazione usurpativa a causa della mancanza della dichiarazione di pubblica utilità a seguito dell’annullamento del relativo provvedimento, rimaneva soggetto alla regola generale stabilita in passato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il danno va ragguagliato al valore venale del bene, e la decisione del Tribunale, pur adottata in epoca anteriore all’entrata in vigore della citata disposizione transitoria (1 luglio 2003), restava ferma ricadendo sotto il vigore del nuovo testo dell’art. 55 citato, in quanto relativa ad un rapporto pendente alla data del 1 gennaio 1997.

3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Comune di ***** sulla base un motivo, a cui resistono gli intimati con controricorso e memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo di ricorso il Comune di *****, denunciando violazione o falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, e successive modifiche e integrazioni, censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito escluso l’applicazione della normativa sopra richiamata, sul presupposto che l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera aveva privato l’occupazione del suolo di ogni collegamento con l’interesse pubblico che giustificasse l’applicazione del principio dell’accessione invertita e l’acquisizione della proprietà dell’area privata, senza che la successiva rinnovazione della procedura ablativa da parte dell’Amministrazione fosse idonea a sanare una situazione ormai irrimediabilmente illecita. Deduce al riguardo il ricorrente che la rinnovazione della procedura, sia pure successiva all’acquisizione dell’area, “costituisce espressione della volontà di sopperire a precedenti carenze formali e di esercitare poteri ablativi finalizzati al perseguimento di pubblica utilità, estrinsecatisi nell’immissione in possesso dei terreni di controparte”, come confermato anche dall’opzione, esercitata da controparte, di agire per il risarcimento dei danni in luogo della pur possibile tutela restitutoria, opzione che costituirebbe riconoscimento, da parte dei C., della pubblica utilità dell’opera. Soggiunge il Comune che l’applicazione della norma invocata presuppone solo l’illegittimità dell’occupazione del suolo e la specificazione “per causa di pubblica utilità” appare finalizzata a circoscriverne l’operatività a iniziative che siano comunque connesse al perseguimento dell’interesse della collettività, più che essere riferibili a illegittimità verificatesi successivamente alla dichiarazione di pubblica utilità.

2. Il ricorso è inammissibile per carenza d’interesse.

In tema di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva – a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del D.L. n. 1992 del 333, art. 5-bis, comma 7-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 359 del 1992, nella parte in cui non prevedeva l’integrale ristoro del danno da occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato – nei giudizi in corso e in relazione ai quali il rapporto non si sia ormai esaurito in modo definitivo la liquidazione va fatta sulla base del valore di mercato del bene occupato (Cass. 2008/591; 2008/3189 in motivazione), trovando altresì applicazione la L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, lett. e), il quale – nel colmare il vuoto normativo conseguente alla pronuncia di illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, cit. art 5 bis, comma 7 bis, – ha modificato il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55 disponendo che nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene (Cass. 2008/8384).

Il Comune ricorrente non ha pertanto interesse, in questa sede di legittimità, a dolersi della mancata applicazione della disciplina della occupazione acquisitiva stabilita dal non più vigente D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 359 del 1992, dovendosi comunque, anche nell’occupazione acquisitiva così come nell’occupazione usurpativa, determinare il risarcimento del danno in misura corrispondente al valore venale del bene. Osserva al riguardo il collegio che l’interesse ad impugnare – il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va desunto dalla utilità che l’eventuale accoglimento della impugnazione possa determinare a favore della parte che la propone, di modo che la impugnazione va dichiarata inammissibile per difetto di interesse ove non sussista la possibilità, per la parte, di conseguire un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, dalla riforma o dall’annullamento della sentenza impugnata (cfr, Cass. S.U. 1992/4486; Cass. 2001/9777; 2006/11844; 2008/13373; 2008/26921).

3. Le considerazioni che precedono conducono alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso e le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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